di David Zebuloni
I media iraniani sostengono che tutti i sospettati abbiano confessato di collaborare con il Mossad, ma gli esperti internazionali mettono in dubbio l’attendibilità di tali confessioni, spesso estorte sotto tortura o minaccia. Nel corso del 2024, il regime ha giustiziato almeno 975 persone, con un aumento del 17% rispetto al 2023, quando furono 834.
La scorsa settimana, alcune fonti internazionali hanno confermato che la Repubblica Islamica dell’Iran ha eseguito la pena capitale nei confronti di Majid Musayebi, accusato di aver collaborato con il Mossad, il servizio di intelligence israeliano. Secondo quanto riportato dal sito d’informazione Mizan, sotto il pieno controllo del regime degli ayatollah, Musayebi sarebbe stato impiccato all’alba, a seguito della conclusione dell’iter giudiziario e dell’approvazione della sentenza da parte della Corte Suprema iraniana.
L’uomo era stato riconosciuto colpevole di aver tentato di trasmettere “informazioni sensibili” all’intelligence israeliana. La notizia giunge in un contesto di crescente tensione nella regione, e in particolare dopo l’attacco israeliano del 13 giugno, evento che ha riacceso le rivalità tra Teheran e Gerusalemme anche sul piano dell’intelligence.
Una caccia alle spie in corso
Nelle ore successive all’annuncio dell’esecuzione, il portavoce della magistratura iraniana, Asgar Jahangir, ha reso noto che tre individui sono stati arrestati nella provincia occidentale di Kermanshah con l’accusa di attività di spionaggio. Uno dei sospettati sarebbe, secondo le autorità iraniane, un cittadino europeo.
Fonti ufficiali israeliane non hanno commentato l’accaduto. “Non esistono conferme ufficiali, tantomeno da parte del Mossad”, afferma Moran Alalouf, esperta di Iran e Medio Oriente e membro del Forum Deborah, in un’intervista rilasciata al quotidiano Makor Rishon. “Del resto, queste non sono tipologie di notizie che il Mossad tende a confermare, smentire o discutere. Ed è un bene che sia così”.
Secondo la ricercatrice, quella in corso è una vera e propria campagna di propaganda condotta dal regime degli ayatollah, alla quale Israele ha scelto, almeno ufficialmente, di non rispondere. “Non mi stupiscono i recenti arresti. Dopo l’operazione magistrale condotta da Israele e il massiccio numero di eliminazioni mirate compiute nelle ultime settimane, il regime ha cercato di riprendere il controllo della situazione, lanciando un’operazione per la localizzazione di agenti segreti israeliani attivi nel Paese”.
Confessioni sotto pressione e pena di morte come monito
I media iraniani sostengono che tutti i sospettati abbiano confessato di collaborare con il Mossad, ma gli esperti internazionali mettono in dubbio l’attendibilità di tali confessioni, spesso estorte sotto tortura o minaccia. “L’obiettivo è duplice: rassicurare l’opinione pubblica interna e lanciare un segnale di deterrenza all’esterno”, spiega Alalouf. “Il regime si sente vulnerabile, esposto a infiltrazioni su larga scala. Reagisce quindi con misure drastiche, tentando però di trasmettere una parvenza di controllo e normalità”.
In questo clima, la pena capitale si conferma strumento privilegiato di repressione e intimidazione. “È anche una forma di guerra psicologica”, prosegue Alalouf.
“Un messaggio chiaro al nemico – cioè Israele – ma anche a chi, all’interno dell’Iran, potrebbe essere tentato di collaborare con potenze straniere. Un tentativo di farli desistere da azioni audaci”.
Una macchina repressiva senza freni
La repressione non si limita ai casi legati all’intelligence. Secondo i dati raccolti da organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International e Iran Human Rights, con sede in Norvegia, l’Iran è il secondo Paese al mondo per numero di esecuzioni, preceduto solo dalla Cina.
Nel corso del 2024, il regime ha giustiziato almeno 975 persone, con un aumento del 17% rispetto al 2023, quando furono 834. È il dato annuale più alto registrato dal 2008, e i numeri continuano a crescere.
Il mese di ottobre 2024 ha segnato un record particolarmente sinistro: 166 esecuzioni in 31 giorni, il livello mensile più alto degli ultimi vent’anni. Tra i condannati figurano membri di minoranze etniche – afghani, baluci e curdi – oltre a sei donne e a un cittadino ebreo, Erwin Nathaniel Kahramani.
Un’escalation che preoccupa l’Occidente
Alla fine di maggio, un altro nome è stato aggiunto alla lunga lista delle esecuzioni per spionaggio: quello di Padram Madani, 41 anni, arrestato nel 2020 con l’accusa di aver viaggiato in Israele. Dopo quattro anni di detenzione, è stato giustiziato, secondo quanto riportato dalla stampa ufficiale iraniana.
Nel silenzio delle diplomazie e nell’assenza di verifiche indipendenti, la macchina repressiva iraniana continua a funzionare senza freni, alimentata da tensioni regionali, strategie di controllo interno e dal desiderio del regime di mantenere il potere attraverso la paura.