Dopo 30 anni Israele e Libano discutono i confini marittimi

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di Paolo Castellano

Il primo incontro tra la delegazione israeliana e quella libanese si è concluso nella mattina del 14 ottobre ed è servito per presentare i soggetti che saranno parte attiva dei negoziati sui confini marittimi tra Israele e Libano. La riunione si è svolta a Naqoura, località libanese, in cui è presente una base dell’ONU. Gli incontri sono iniziati alle 10.00 e sono durati due ore. Durante i colloqui preliminari sono anche stati introdotti i temi della trattativa.

Come riporta Formiche.net, il generale di brigata libanese Bassam Yassin ha espresso l’auspicio di trovare un accordo in “tempi ragionevoli”. Insieme alle delegazioni, si è presentato ai negoziati anche David Schenker, vicesegretario di Stato americano per gli Affari del Vicino Oriente. L’Amministrazione Trump e l’ONU hanno poi rilasciato un comunicato congiunto in cui hanno descritto lo scopo della mediazione: «Durante questo primo incontro i rappresentanti hanno avuto colloqui produttivi e hanno ribadito il loro impegno nel continuare le negoziazioni».

Nazioni Unite, Stati Uniti, Libano e Israele hanno infine compilato un’agenda per stabilire i prossimi contatti. Il secondo incontro è stato infatti programmato verso la fine di ottobre.  Non sono mancate le critiche del gruppo terroristico libanese Hezbollah che ha chiesto alla delegazione del Libano di non trattare con Israele sulle risorse naturali.

Israele e Libano provano a parlarsi nonostante siano ancora in guerra

Il 14 ottobre Israele e Libano hanno inaugurato i colloqui per stabilire il confine marittimo. L’obiettivo è reciproco: iniziare le esplorazioni per scovare nuovi giacimenti di petrolio e gas. Il tratto di mar Mediterraneo conteso è infatti ricco di combustibili fossili. Dunque, un comune interesse economico potrebbe essere la leva adatta per ristabilire i rapporti diplomatici che, come ha sottolineato l’ex consigliere legale del Ministero degli Esteri israeliano Alan Baker, si sono interrotti dal 1990. Un secondo incontro è già stato programmato per il 28 ottobre, lo ha scritto The Times of Israel.

Come riporta Algemeiner, gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo importante nel ricondurre al tavolo delle trattative Israele e Libano. Per la precisione, è da 3 anni che gli USA hanno intrapreso colloqui con le diplomazie libanesi e israeliane. In questi anni gli americani hanno fatto pressione sulla politica libanese e sul gruppo terroristico Hezbollah, che ha molta influenza in Libano ed è sostenuto dall’Iran. L’organizzazione armata ha perso una parte del suo consenso dopo la terribile esplosione avvenuta nel porto di Beirut, poiché molti ritengono che sia stata causata da un incidente accaduto in un suo deposito di armi.

Dopo il successo degli Accordi di Abramo, l’Amministrazione Trump sta cercando di riappacificare il mondo arabo con Israele. Il dibattito sul confine marittimo potrebbero essere il principio di un riavvicinamento che fino a pochi mesi fa sembrava quasi impossibile. Il ministro all’Energia Yuval Steinitz in un’intervista televisiva ha ribadito che i colloqui con il Libano non fanno parte di un piano di pace: «Le nostre aspettative sui negoziati economici sui confini marittimi con il Libano dovrebbero essere realistiche. Non si tratta di un negoziato di pace e di normalizzazione, ma di un tentativo di risolvere una disputa tecnico-economica che da dieci anni ritarda lo sviluppo delle risorse naturali in mare a beneficio delle popolazioni della Regione».

Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, invece è convinto che se Israele e Libano riusciranno a trovare un accordo sul comune tratto di mare, i negoziati si sposteranno anche sui confini terrestri.

Le trattative tra i libanesi e gli israeliani stanno avvenendo nella base dell’UNIFIL, le forze di pace delle Nazioni Unite, che si trova a Sud del Libano. Secondo una fonte libanese, i colloqui sono diretti attraverso un mediatore. Come hanno dichiarato esplicitamente i rappresentanti di Stato, gli interessi economici sono il motore dell’incontro. Soprattutto per il governo libanese che si trova ad affrontare la peggiore crisi economica dalla guerra civile del 1975-1990, aggravata dall’esplosione di Beirut e dal Covid-19.