La storia ripropone gli orrori di ieri: il mercato delle schiave

Mondo

di Paolo Salom

schiaveLa Storia sembra essersi rimessa in moto. A passo leggero? Macché: di corsa. Ma, a leggere certe notizie che compaiono di sfuggita sui media del lontano Occidente, sembra aver assunto un moto a ritroso. Immaginiamo lo scorno di Francis Fukuyama, studioso nippo-americano che ebbe l’ardire di teorizzare la “fine della Storia”. Magari. Ora, se il suo vaticinio si fosse realizzato davvero, chiudendo in un armonico Eden di democrazia e benessere i palpiti delle civiltà, non dovremmo assistere al risorgere dei mercati degli schiavi. Sì, avete letto bene. C’è una parte del mondo dove esseri umani (soprattutto donne) vengono venduti in catene al miglior offerente. Non crediate che soltanto i ricchi possano godere di questi “privilegi”. Con una somma che parte da 50 dollari fino a un massimo di 4-500 (una miseria se trasformata in euro) a Mosul ci si può aggiudicare persino una “vergine”.

Ci sono dei limiti, tuttavia. Se non nel censo, nella religione degli acquirenti. Che devono essere per forza musulmani. Perché ad essere vendute come bestie sono persone delle minoranze cristiane e yazide (un’antica setta proto-islamica) che un tempo abitavano quelle terre catturate in questi ultimi, disgraziatissimi mesi dai macellai dell’Isis, che hanno “fondato” lo Stato Islamico a cavallo di Siria e Iraq del Nord ma aspirano a conquistare l’intero Medio Oriente. Sia chiaro, una scappatoia le schiave ce l’hanno: basta che si convertano (e, magari, sposino il proprio padrone), perché possano tornare a essere “libere”. Per quanto questa parola, in quei luoghi, abbia un sapore più di beffa atroce. Una beffa aggravata dall’indifferenza quasi patologica di tutti gli Stati che fino a ieri si proclamavano “modello” per il resto del mondo.

È un mistero che appare intricato spiegare. Se Israele fa proprio un fazzoletto di terreno (conteso, d’accordo, ma non di esclusiva pertinenza di nessuno) per armonizzare un blocco di insediamenti che entreranno in ogni futuro accordo entro i propri confini, le reazioni delle cancellerie sono rapide e inappellabili. Ma la vicenda, reale, non fittizia, cruda, non interpretabile, di esseri umani ridotti in catene? E non c’è solo l’Iraq: anche nella Nigeria frequentata dagli estremisti di Boko Haram (il nome di questo gruppo significa: “La cultura occidentale è peccato”) le donne sono ridotte a oggetti in vendita. Qualche sito ne parla. Qualche Tweet le cita. Qualche post su Facebook si indigna. Ma dai Grandi del mondo, i Grandi del lontano Occidente, solo silenzio.

Invece di chiamare la realtà per quello che è, orrenda e inaccettabile, si glissa rilanciando su altri temi. Non meno importanti, per carità. Ma la schiavitù, quella reale, non quella letteraria, credevamo davvero fosse finita per sempre  nel cestino (immondo) della Storia. E invece no.
(P.S. Vi sarete accorti che non ho citato le Ong “umanitarie”: c’è bisogno di spiegare perché?)