Il mondo amato e perduto della diaspora sudanese

Mondo

di Marina Gersony

La vita di una piccola comunità che fu attivissima e fiorente: professionisti, medici e commercianti di tessuti e gomma, che si stabilirono lungo il corso del Nilo e a Khartoum

 

Nel suo periodo di massimo splendore, la comunità ebraica in Sudan, fondata all’inizio del XX secolo, contava circa 250 famiglie provenienti da diverse aree geografiche mediorientali, una goccia nel mare rispetto alle altre comunità sparse in Nord Africa e in Medio Oriente, inclusi Egitto, Iraq e Siria. (Prima ancora la presenza ebraica era molto ridotta ed è poco documentata).
I primi ebrei stanziali, generalmente mercanti, si stabilirono a Khartoum pochi anni prima della costruzione della linea ferroviaria che collegava Alessandria d’Egitto con Khartoum (1896/1898). Costruita dai britannici, fu inizialmente progettata per “portare la civiltà” in Sudan o trasportare il cotone, ma in seguito a una politica instabile e mutevole fu utilizzata come ferrovia militare per rifornire l’esercito anglo-egiziano.

La storia narra di un rabbino, Suleiman Malka, nato in Marocco, che arrivò nel 1908 a Khartoum con la moglie e le due figlie maggiori su richiesta delle autorità ebraiche in Egitto. In seguito, per decenni, gli ebrei sudanesi hanno vissuto in pace e prosperità intrattenendo rapporti cordiali con i vicini musulmani e cristiani sudanesi fino a quando, con la dichiarazione di indipendenza di Israele nel 1948 e le successive guerre con i Paesi arabi, sono stati costretti a fuggire e disperdersi in Israele e in Europa come rifugiati apolidi. Da quel momento la situazione è peggiorata di giorno in giorno: la crisi di Suez nel 1956, il crescente nazionalismo panarabo e un antisemitismo sempre più evidente giunto al suo apice con la Guerra dei Sei Giorni del 1967 in Israele. Oggi, quello che rimane della presenza degli ebrei in Sudan è un cimitero abbandonato e la nostalgia di chi è stato costretto ad abbandonare i propri beni e la terra che amava.

Chi erano gli ebrei del Sudan?
Chi erano gli ebrei del Sudan? Come vivevano? Esistono testimonianze o documenti? Diversi articoli hanno riportato di recente la loro storia perlopiù sconosciuta alla ribalta, ma anche curiosando online si possono trovare varie ricostruzioni inedite e preziose di come viveva questa piccolissima comunità, grazie anche a una serie di foto, video-interviste e articoli esaustivi. Particolarmente ricco di informazioni e suggestioni è il sito Tales of Jewish Sudan creato da Daisy Abboudi, una giovane studiosa laureata in Storia antica al King’s College di Londra e attualmente vicedirettore presso Sephardi Voices UK, un’organizzazione che registra e archivia le esperienze degli ebrei del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Iran che si sono stabiliti nel Regno Unito.
«Tutti e quattro i miei nonni vivevano in Sudan e tre di loro sono nati lì. Come la maggior parte dei discendenti di questa comunità unica, sono cresciuta con le storie di questa terra immersa nella cultura, nel cibo e nei ricordi di uno stile di vita così lontano dal mio eppure così vicino da essere quasi tangibile».

Sollecitata dai racconti dei nonni e dei loro amici, ma soprattutto spinta dal desiderio di riappropriarsi delle proprie radici come spesso accade ai giovani di seconda o terza generazione, Abboudi, oggi trentenne, ha iniziato così a documentarsi per poi condividere il frutto delle sue ricerche sul suo sito web e sul suo account Instagram, Jewish Sudan.
Così, tra testimonianze, vicende personali, foto evocative, frammenti di storia e antiche ricette, si scopre la vita vibrante di una piccola comunità attivissima e fiorente, composta da professionisti, medici e commercianti di tessuti e gomma arabica che si stabilirono lungo il Nilo nelle “quattro città” di Khartoum; ebrei, perfettamente integrati in una realtà cosmopolita, dove greci, armeni, sudanesi, egiziani ma anche italiani convivevano in sintonia; intere famiglie che rispettavano le tradizioni, le festività ebraiche conducendo una vita sociale brillante.

Daisy Abboudi

Centro della vita religiosa, la minuscola sinagoga fondata nel 1926 nel centro di Khartoum, in sostituzione di un tempio ancora più piccolo, distrutta infine nel 1987 dopo essere stata utilizzata come banca. «Non avevano una scuola ebraica, frequentavano scuole cattoliche o scuole inglesi», racconta Daisy Abboudi in una recente intervista esclusiva su The Times of Israel a firma di Yaakov Schwartz. Si scoprono tuttavia anche episodi di antisemitismo, di arresti, di interrogatori e di discriminazioni, come quando, nel 1956, la vincitrice ebrea del concorso Miss Khartoum fu privata del titolo e della possibilità di competere per il titolo di Miss Egitto quando gli organizzatori scoprirono le sue origini. Conclude la storica: «Penso che oggi come oggi nessuno desideri tornare davvero a vivere lì, sono tutti troppo anziani e ormai si sono stabiliti da molti anni in Gran Bretagna. Penso tuttavia che amerebbero ritornarci come visitatori o turisti». Ed è dalle testimonianze di ebrei ex sudanesi sparsi per il mondo, che si possono leggere, vedere o ascoltare in rete, che si percepisce chiaramente lo struggimento e la nostalgia per un mondo lontano profondamente amato e che hanno dovuto lasciarsi alle spalle.

 

Per approfondire
https://www.haaretz.com/jewish/.premium-the-forgotten-jews-of-sudan-1.5345336
https://www.youtube.com/watch?v=5cXWUaGVlcM
https://www.youtube.com/results?search_query=The+Jews+of+Sudan