I giovani e la vergogna di Durban II

Mondo

Proteste a fianco di Elie Wiesel.

“Shame! Shame! Shame!” sono queste le parole con cui un centinaio di ragazzi della EUJS – Eurpean Union of Jewish Students – hanno accolto Ahmaninejad, a Ginevra per la Durban II, davanti all’aula della conferenza stampa.
Stavolta non gli è bastata la scorta né il servizio di sicurezza a risparmiarlo dalla rabbia degli studenti. No, i ragazzi lo hanno atteso e gli hanno gridato “Vergogna”.

La Durban Review Conference che si è tenuta a Ginevra, a otto anni dalla tristemente famosa Durban I, è stata indetta con lo scopo di verificare e rivisitare gli eventuali progressi compiuti dagli Stati membri nell’ambito del raggiungimento dei Diritti Umani.

Già oggetto di numerose critiche, dovute in larga parte alla partecipazione di Iran e la Siria alla Commissione di pianificazione della Conferenza, la seduta si è aperta con importanti assenze. Israele, Stati Uniti, Canada e alcuni Stati europei, tra cui l’Italia, hanno ritenuto doveroso non mettere piede ad un evento, strumentalizzato fin dalla partenza per divenire un mezzo attraverso il quale governi di paesi nei quali sono calpestati quotidianamente i Diritti Umani fondamentali hanno avuto la possibilità di giudicare i comportamenti degli altri.



Che cosa ha spinto, invece, tanti giovani ebrei di tutto il mondo ad incontrarsi in Svizzera?

Il desiderio di far sentire la propria voce. L’orgoglio di essere ebrei e di lottare per le ingiustizie nel mondo. La voglia di sventolare la Bandiera di Israele davanti al Palazzo delle Nazioni Unite, fieri di quella stella gialla che da sempre li accomuna, quella stessa che i deportati portarono cucita sul petto.

La promessa che si erano fatti due mesi fa, durante l’ultimo incontro preparatorio, era stata: “Questa volta non saremo noi a subire gli oltraggi e le offese razziste, come accadde a Durban I, ma ci difenderemo e faremo sentire la nostra voce! Nel mondo ci sono realtà che vanno protette dalla discriminazione e dal Razzismo e noi dobbiamo sostenerle, perché nessuno le ascolta”.


Ed eccoli sfilare nella Piazza delle Nazioni Unite, in corteo verso il Palazzo dell’ONU , portando con sé cartelloni raffiguranti le vittime del pregiudizio ed un cerotto sulla bocca in segno di protesta contro il silenzio di molti potenti. E poi ancora a manifestare insieme ai rifugiati, perché il genocidio in Darfur possa presto avere fine, per riportare di nuovo l’attenzione del mondo su quella tragedia, di cui ancora troppo poco si parla. “Nazioni Unite ascoltate: salvate il popolo del Darfur!” hanno gridato in coro i ragazzi, mentre le lacrime solcavano i visi dei rifugiati che tenevano stretto tra le mani, quel logo della EUJS con la stella di Davide, unico scudo sulle loro teste.

Sempre in Piazza per ricordare il giorno della Shoah, in una serata illuminata dalle candele, accese in memoria delle vittime, mentre dal palco eretto davanti all’ONU, la voce carica di profonda amarezza di Elie Wiesel, uno tra gli ultimi testimoni dei campi e Premio Nobel per la Pace, esprimeva il “Dovere della Memoria”. E si chiedeva: “Se neppure Auschwitz ha potuto guarire il mondo da quel male terribile che è l’antisemitismo, che cosa mai potrà farlo?”



Giorni intensi ed emozionanti, molti gli incontri con grandi personalità come: David Harris, Direttore Esecutivo dell’American Jewish Commitee, Irwin Cotler, Ministro della Giustizia in Canada e Francois Zimeray, Ambasciatore francese della Human Rights e molti altri ancora.
Numerose le domande sulle quali i ragazzi si sono interrogati, come ad esempio quella che Gil Troy, professore presso la McGill University ed autore, ha posto loro: “Gli Ebrei ed Israele: cosa legittima le critiche antisemite?”



“Israele non è perfetta! – si alza in piedi una studentessa israeliana – Riconosco che molti sono i punti su cui deve ancora lavorare, ma io l’ho servita per cinque anni di militare e mi sono trovata a fare di tutto, ma proprio di tutto! Ma ne vado fiera, perché so che finché Israele sarà salda, tutti gli ebrei nel mondo saranno più sicuri. È facile criticarla se vissuta dal di fuori, ma poi quando nel mondo ci sono dei problemi e la gente si sente minacciata, esiste lo Stato di Israele che è sempre pronto ad accoglierla. Israele è la patria di tutti!”