Gli alberi salveranno l’uomo dai cambiamenti climatici. L’esempio del KKL in Israele

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di Paolo Castellano

Calamità naturali, incendi, siccità e desertificazione planetaria: sono solo alcune delle sfide che l’ente ecologico più antico  al mondo affronta con un’intensa attività di ricerca e sviluppo di soluzioni all’avanguardia. Intervista a Asaf Karavani

La questione climatica riguarda tutte le popolazioni, a qualsiasi latitudine. Il riscaldamento globale è altamente pericoloso non solo per la sopravvivenza dell’umanità, ma anche per le situazioni socio-economiche delle nazioni. A scuotere l’opinione pubblica è stata certamente Greta Thunberg, 17enne svedese, che ha raccolto gli ormai innumerevoli studi scientifici sul cambiamento climatico, invocando azioni concrete per preservare e migliorare la salute di un pianeta Terra inquinato e in affanno. Nel dicembre del 2018, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva infatti dichiarato: «La lotta contro i cambiamenti climatici è una questione di vita e di morte: non agire sarebbe un suicidio».
Tuttavia, esistono organizzazioni ambientaliste che da secoli hanno intrapreso una battaglia ecologista per garantire un futuro migliore alla razza umana. In prima linea c’è il Keren Kayemeth LeIsrael, il più antico ente di ecologia al mondo. Dal 1901 il KKL si occupa dello sviluppo e del rimboschimento d’Israele, tutelando l’ambiente e la natura in tutte le sue forme.
Bet Magazine ha intervistato Asaf Karavani, direttore del dipartimento della gestione forestale e coordinatore per la ricerca del KKL, per comprendere quali siano le attuali strategie israeliane per affrontare e – laddove sia possibile sconfiggere – gli effetti del riscaldamento globale.

Cosa sta facendo e cosa farà il KKL per combattere il climate change in Israele?
Israele è stato fortemente disboscato nei secoli passati. Aveva una bassissima copertura forestale all’inizio del XX secolo, il che ha reso il rimboschimento una scelta obbligata. Abbiamo dunque piantato nuovi alberi, anche nelle regioni semi-aride. La vegetazione israeliana è perciò passata dallo 0,2% nel 1948 al 4,5% nel 2018 in relazione alla superficie nazionale. Questa percentuale è considerevole se si pensa che circa il 40% del paese è ricoperto dal deserto. Di conseguenza, i boschi e i parchi israeliani sono tornati a essere rigogliosi. Quindi la mia e la nostra attuale missione riguarda la gestione e l’incremento della vegetazione esistente. Sono numerose le sfide causate dai cambiamenti climatici all’interno degli ecosistemi forestali mediterranei e semi-aridi: la crescente frequenza e gravità degli eventi meteorologici estremi; la diminuzione della disponibilità di acqua e siccità prolungate; l’aumento dell’intensità e della gravità degli incendi boschivi; la crescita dei danni provocati dai parassiti e dalle malattie delle foreste. Per mezzo di un’intensa attività di ricerca e monitoraggio, l’utilizzo di cinque stazioni di ricerca ecologica e un approccio innovativo al trattamento della terra, il KKL ha sviluppato diverse tecniche per irrobustire le foreste e per far fronte al Global warming.
Nel corso degli anni, abbiamo inoltre sviluppato tecniche per la raccolta dell’acqua piovana che consentono l’accumulo e la ridistribuzione dell’acqua di deflusso. Tale gestione idrica consente il rimboschimento e il ripristino di aree degradate, formando ambienti simili a savane che si adattano al clima delle regioni semi-desertiche. In questo modo siamo in grado di realizzare diverse pratiche: raccolta di cibo, legna da ardere e foraggio. Il recupero della vegetazione permette infine di abbassare il rischio di alluvioni. Inoltre, grazie a un sistema di alta tecnologia sviluppato dall’Università Ebraica di Gerusalemme siamo in grado di far nascere delle piantine resistenti a tre mesi di siccità. In passato questo processo avrebbe richiesto anni di monitoraggio.
Il KKL ha poi sviluppato un approccio innovativo per lo spegnimento degli incendi, evitando dispersione di carburante all’interno delle foreste e intorno agli insediamenti e limitando l’accumulo di sterpaglie per ridurre la biomassa. Infine operiamo un costante monitoraggio su alcune specie di parassiti per evitare di far ammalare le piante. Negli ultimi decenni, Israele è stato invaso da parassiti esotici che fortunatamente non hanno prodotto danni.

Quali sono i metodi che Israele sta utilizzando per combattere la desertificazione planetaria?
Israele si trova in una regione sensibile al clima, caratterizzata da una piovosità medio-bassa e situata tra il Mediterraneo e le regioni aride. Questa complessa realtà ha reso necessario lo sviluppo di metodi pratici e avanzati per cercare di recuperare e incrementare la presenza delle foreste. Sulla base delle nostre ricerche è stata progettata una strategia che consente di migliorare i servizi ecosistemici attraverso la riabilitazione delle terre danneggiate, la lotta alla desertificazione e il rimboschimento su larga scala.
I processi di desertificazione, nel passato e nel presente, sono principalmente causati dalle attività umane e dallo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali. Inoltre è subentrato un altro elemento, gli eventi climatici estremi, che possono causare una siccità prolungata. Gli ecosistemi ad alto tasso di desertificazione sono soprattutto presenti nel Negev settentrionale. Tuttavia, si cerca di dare a questi territori una valenza sociologica riabilitandoli attraverso un concetto di paesaggio culturale.
In questo contesto, i risultati sono chiaramente visibili, osservando i rigogliosi boschi che in precedenza erano invece terreni desertificati.
La foresta di Yatir è l’esempio più noto. È la più grande area verde di Israele che si estende per oltre tremila ettari, in una zona con basse precipitazioni. Per favorire la ricrescita degli alberi abbiamo adottato un particolare trattamento del terreno che si utilizza in campo agricolo e abbiamo costruito un serbatoio di acqua piovana per irrigare il suolo durante le stagioni estive. Inoltre è stata istituita una stazione di ricerca ecologica per monitorare e migliorare le tecniche agricole.

Photo: Francesco Fiondella

Israele sta lavorando in Africa, qual è il suo contributo?
Il KKL utilizza specifiche strategie per favorire uno sviluppo internazionale e sostenibile attraverso il miglioramento della condivisione di conoscenze e competenze ambientali. L’obiettivo è supportare e sviluppare le capacità ambientali in tutto il mondo. All’interno di una cooperazione internazionale, il KKL contribuisce alla qualità dell’ecosistema, cercando di aiutare gli altri paesi ad affrontare i cambiamenti climatici e contribuendo al sostentamento delle comunità locali in tutto il mondo. L’impegno globale rientra in un’ottica morale: tutti i cittadini del pianeta devono avere l’opportunità di apprendere gli elementi culturali, le competenze tecniche e altro ancora per migliorare la loro condizione. Nel corso degli anni il KKL ha poi collaborato attivamente con numerosi Stati stranieri ed enti internazionali. La nostra organizzazione è di supporto su una vasta gamma di argomenti: dalla silvicoltura al ripristino delle foreste e della vegetazione nelle zone aride.
Inoltre, insieme al ministero degli Affari Esteri di Israele, il KKL ha sviluppato un corso intensivo, internazionale e gratuito per formare professionisti e politici dei paesi in via di sviluppo per divulgare le conoscenze scientifiche e tecniche nel campo della silvicoltura delle terre aride e la riabilitazione di terreni desertificati.

Quali sono i più gravi fenomeni socio-politici che possono essere causati dai cambiamenti climatici?
Molti ricercatori, sia politologi che ecologi, ritengono che la riduzione della fertilità del suolo (cioè la desertificazione) sia una delle principali cause di disordini sociali, in quanto può portare a grandi ondate migratorie: le persone fuggono dagli ecosistemi desertificati, dalle carestie, per riconquistare soprattutto la sicurezza alimentare. Le migrazioni possono infine innescare conflitti tribali su terre fertili o tensioni all’interno di aree urbane: entrambi gli scenari potrebbero indebolire i governi, causando disordini civili locali e regionali.