Falso e tendenzioso definire Israele uno stato di “apartheid”. Parola di Richard Goldstone.

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“L’affermazione che Israele ha perseguito una politica di “apartheid” è “particolarmente perniciosa” e fa “un cattivo servizio a tutti coloro che hanno una speranza di giustizia e di pace”. E’ quanto scrive Richard  Goldstone, il giudice sudafricano  che ha presieduto l’inchiesta l’operazione Piombo Fuso, in un editoriale pubblicato sul New York Times del 31 ottobre.

Goldstone ha osservato che è importante separare la “legittima critica a Israele” dagli attacchi che mirano a “isolarlo, demonizzarlo e delegittimarlo”.

Nel suo articolo per il New York Times, il giudice Goldstone ha scritto che “conosceva fin troppo bene” il sistema dell’apartheid  e ha definito “una diffamazione ingiusta e falsa” utilizzarlo per definire Israele. Un modo calcolato “per rimandare piuttosto che far avanzare i negoziati di pace”.

Goldstone ha precisato che in Israele non vige alcun sistema di apartheid, e che niente in esso lo richiama. Ai sudafricani di colore furono negati i diritti di voto, di matrimonio misto, o anche solo di utilizzare gli stessi bagni pubblici. Niente di tutto ciò esiste in Israele.

Il giudice sudafricano ha anche osservato che Israele ha accettato “in teoria l’idea di uno stato palestinese che incorpora Gaza e gran parte della Cisgiordania” aggiungendo “che è disonesto utilizzare argomenti come il muro di sicurezza, costruito per fermare implacabili attacchi terroristici” per distorcere la realtà.

Il giudice Goldstone ha concluso che “L’accusa che Israele sia uno stato di apartheid è falsa e maliziosa e preclude, invece di promuovere, la pace e l’armonia.”

Lo scorso aprile il giudice aveva ritrattato le conclusioni chiave del suo rapporto, tra cui  quella secondo cui Israele avrebbe deliberatamente preso di mira i civili.
Il rapporto iniziale era stato duramente attaccato in Israele, descritto  come un’ “accusa del sangue” contro Israele da parte del presidente Shimon Peres.