#EndTheSilence: Hadassah lancia una petizione contro la violenza di genere. Adesioni fino all’8 marzo

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di Sofia Tranchina
«Lo stupro non dovrebbe essere sanzionato come arma, ma come crimine – dichiara Carol Ann Schwartz, presidente nazionale dell’Hadassah (l’Organizzazione Sionista Femminile d’America) – e per questo abbiamo deciso di lanciare una campagna globale per porre fine al silenzio».

La campagna #EndTheSilence nasce come uno sforzo collettivo di sensibilizzazione riguardo alla violenza di genere sistematica, pianificata e perpetrata da Hamas durante l’attacco del 7 ottobre, e intende unire leader politici da tutto il mondo per denunciarne l’uso “come arma di guerra”: «stiamo riunendo centinaia di migliaia di volontari per porre fine al silenzio, aumentare la consapevolezza e chiedere giustizia».

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Hadassah porta così all’attenzione internazionale la raccapricciante realtà delle violenze avvenute, «pianificate, filmate e celebrate da Hamas», fornendo i fatti, necessari per «contrastare la disinformazione e i tentativi di giustificare tali azioni o negare che siano avvenute».

La Fondazione Hadassah, la Jewish Women International, il Consiglio nazionale delle Donne Ebree, e altre 55 organizzazioni, hanno inviato una lettera al Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, in cui, benché accolgano con favore la recente condanna della violenza di guerra, si dichiarano «profondamente preoccupati», in quanto la Commissione d’Inchiesta incaricata di condurre le indagini «ha una lunga e chiara esperienza di antisemitismo e pregiudizio contro Israele».

Ad esempio, il membro della Commissione Miloon Kothari ha rilasciato dichiarazioni che giustificano attacchi terroristici contro i civili israeliani, oltre ad aver suggerito che gli ebrei controllino i social media.

Il ritardo da parte dell’ONU nel condannare Hamas e nel riconoscere le prove di violenza di genere «ha minato la credibilità delle Nazioni Unite e di UN Women per quanto riguarda il loro ruolo nella protezione delle donne in tutto il mondo». Alcuni manifestanti, frustrati per la risposta tardiva delle organizzazioni internazionali, hanno infatti diffuso lo slogan “#metoo, unless you’re a jew”.

Affidare l’indagine su atti di violenza sessuale a una COI parziale «mette in serio dubbio l’intento e la capacità delle Nazioni Unite di condurre un’indagine completa, e costringerà le vittime e i sopravvissuti a rivivere il loro trauma in un ambiente che non è sicuro per loro».

Ricordando che l’indagine sulla violenza di genere deve essere condotta ponendo al centro i diritti della vittima, la coalizione ha lanciato una petizione per chiedere che le Nazioni Unite conducano un’indagine indipendente, completa e imparziale e perseguano un’azione penale vigorosa per ritenere Hamas responsabile, oltre a sollecitare il rilascio degli ostaggi tuttora detenuti «soprattutto alla luce delle prove che dimostrano torture e abusi continui».

La petizione si può firmare fino all’8 marzo

L’ARCCI (Associazione dei Centri Anti-Stupro d’Israele) ha rilasciato a inizio febbraio un report dal titolo “Grido Silenzioso: crimini sessuali nella guerra del 7 ottobre”.

Il report, redatto da Dr. Carmit Klar-Chalamish e editato da Noga Berger, raccoglie descrizioni grafiche di abusi sessuali, torture e omicidi, testimonianze dirette di sopravvissuti e soccorritori, video e foto, interrogatori dei terroristi arrestati, e analisi di esperti forensi.

«Quando la maggior parte delle vittime di aggressioni sessuali vengono uccise, abbiamo l’obbligo morale e umanitario di amplificare il loro grido silenzioso».

In base alle prove raccolte, donne, bambini e uomini sono stati tutti vittime di brutali abusi sessuali il 7 ottobre: «i terroristi di Hamas hanno utilizzato pratiche sadiche volte a intensificare il grado di umiliazione e terrore inerente alla violenza sessuale. I genitali sia delle donne che degli uomini sono stati brutalmente mutilati e in alcuni casi vi sono state inserite delle armi. I terroristi non si sono limitati a sparare: hanno tagliato e mutilato gli organi sessuali con i coltelli.»

Inoltre, le informazioni sulle aggressioni sessuali avvenute durante la prigionia hanno cominciato ad accumularsi dopo il ritorno di alcuni ostaggi in Israele: «spesso lo stupro è stato perpetrato davanti a un pubblico – partner, familiari o amici – in modo tale da aumentare il dolore e l’umiliazione di tutti i presenti».

«Questi atti costituiscono gravi violazioni del diritto internazionale e costituiscono crimini di guerra che, dato il numero delle vittime e l’ampia premeditazione e pianificazione degli attacchi, possono anche qualificarsi come crimini contro l’umanità – hanno affermato gli esperti delle Nazioni Unite – e non ci sono circostanze che giustifichino la loro perpetrazione».

Il pattern di abusi e brutalità contro le donne è stato indagato approfonditamente da un’inchiesta del New York Times, che ha intervistato i testimoni e preso visione dei materiali raccolti dalla polizia.

Nelle prime ore dell’8 ottobre, Eden Wessely, alla ricerca di un amico disperso, si è recata sul sito del Nova Festival. Lì, ha girato dei video per aiutare le persone a identificare i corpi dei propri cari dispersi.

In uno di quei video compare una donna supina con un vestito nero strappato, le gambe aperte, i genitali esposti, e il volto combusto: si tratta di Gal Abdush, 34 anni, madre di Eliav (10 anni) e Refael (7 anni), rimasti orfani nel sabato nero. Intrappolata in autostrada nel traffico di persone che cercavano di fuggire, è stata raggiunta dai terroristi, che l’hanno stuprata e uccisa.

Poco dopo la sua identificazione, è emerso che lo stupro rientrava in un più vasto pattern di violenza di genere perpetrato da Hamas.

Sapir, una testimone di 26 anni che era andata al rave con amici, ha visto nascosta tra gli alberi un centinaio di uomini armati uscire ed entrare dai veicoli lungo la strada, passandosi fucili d’assalto, granate, piccoli missili e donne ferite.

Corredata di fotografie catturate dal suo nascondiglio, la testimonianza di Sapir è tra le più vivide e dettagliate raccolte nell’inchiesta.

Ha visto «una donna dai capelli color rame con il sangue che colava sulle sue gambe, con i pantaloni abbassati fino alle ginocchia. Un uomo l’ha tirata per i capelli e l’ha piegata in avanti; un altro l’ha penetrata, e ogni volta che quella sussultava, le affondava il coltello nella schiena».

Ha poi visto un’altra donna fatta a pezzi: «mentre un terrorista la stuprava, un altro ha tirato fuori un taglierino e ha affettato il suo seno. L’ha lanciato a un terzo, che ha iniziato a giocarci finché questo è caduto per terra. Poi, gli uomini le hanno tagliato il viso».

Ha visto «altre tre donne violentate, e terroristi che trasportavano le teste mozzate di altre tre donne».

Il consulente di sicurezza Raz Cohen e il suo amico Shoam Gueta, nascosti, hanno visto «cinque uomini in vestiti civili uscire da un van bianco con coltelli e martelli, trascinando una donna giovane, nuda, che urlava. L’hanno circondata e l’hanno stuprata. Urlava, urlava senza parole. Poi un uomo ha alzato il coltello e l’ha sgozzata». Li hanno visti «parlare, ridacchiare e urlare, mentre uno di loro la pugnalava ripetutamente macellandola».

Un paramedico militare ha trovato i corpi di due adolescenti di 13 e 16 anni in una camera a Be’eri: una sul fianco, con i boxer strappati e ferite sull’inguine, l’altra distesa per terra con i pantaloni del pigiama abbassati fino alle ginocchia, con sperma sulla schiena e sulle natiche.

I medici volontari hanno trovato donne con le gambe aperte e senza biancheria intima nell’area della festa, lungo la strada, nel parcheggio e nei campi aperti attorno al luogo del rave. Yinon Rivlin ha raccontato che mentre scappava ha visto il corpo di una donna senza pantaloni e intimo, con le gambe aperte, e la vagina tagliata da parte a parte. I testimoni del centro di identificazione dei corpi hanno confermato di aver visto a loro volta diversi segni di violenza sessuale. Sul cadavere di una donna sono state trovate dozzine di chiodi conficcati nelle cosce e nell’inguine. Sui corpi di due soldatesse sono stati trovati colpi di arma da fuoco nei genitali.

«Molte persone cercano la prova d’oro, una donna che testimoni quello che le è successo. Ma non cercate questo, non esercitate questo tipo di pressione sulle donne, – ha spiegato Orit Sulitzeanu, direttore esecutivo dell’Associazione dei centri di crisi dello stupro in Israele – i cadaveri raccontano la storia a sufficienza».