Ebrei a Parma.

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Anche se la storia è nota, tante le testimonianze, i saggi, i documentari, i film, ogni volta, malgrado tutto, si avverte una sorta di smarrimento, di sorpresa che stordisce nel seguire la difficoltosa ma salda (così pareva!) emancipazione degli ebrei per arrivare, in brevissimo tempo, al baratro, le leggi razziali, i campi di concentramento, la shoa. E questo sentimento di stupore, pur sapendo esattamente quanto accaduto, si rinnova, anche se per pochi istanti – la consapevolezza storica capace di offrire distacco critico, desiderio di indagare con sguardo limpido – alla lettura del volume Ebrei a Parma, pubblicazione degli atti dell’omonimo convegno internazionale che si è svolto a Parma nel 2002. Nel cuore del libro presentato al Salone di Lettura Maria Luigia del Museo Bodoniano presso la Biblioteca Palatina – la relazione di Lucia Masotti (che è anche curatrice dell’opera) Dopo l’emancipazione.
Visibilità e invisibilità degli ebrei a Parma nella vita cittadina: con l’Illuminismo, la Rivoluzione Francese, Napoleone, lo Statuto Albertino, l’Unità d’Italia, tanti e sempre più numerosi i dati rincuoranti, con il miglioramento progressivo della condizione degli ebrei e il loro accesso facilitato alle nuove professioni, dovuto in particolare all’abitudine di vivere in città, la mentalità imprenditrice (esercitata di necessità, per l’antico divieto di possedere beni immobili), il diffuso livello di alfabetizzazione, la tradizione dello studio del diritto. Questo in una visione globale della situazione nella penisola, un insieme di “prerequisiti che delineavano questo vantaggio in un momento in cui si aprivano spazi professionali che non vedevano nell’appartenenza ad un corpo e non subordinavano all’identità religiosa le possibilità di inserimento e di carriera”. Ma a favorire l’ingresso degli ebrei nel contesto sociale maggioritario – così ricorda ancora la Masotti – anche “la partecipazione ai dibattiti di carattere tecnico, scientifico e letterario che si svolgevano nei salotti come nelle riviste”. Quindi, in tale contesto, lo sguardo ravvicinato su Parma, un’indagine articolata di grande interesse, a partire dall’interdizione per gli ebrei, sul finire del XVI secolo, di abitare a Parma e Piacenza, concessa invece la dimora in località minori, Fiorenzuola, Colorno, Soragna, Borgo S.Donnino (Fidenza), Busseto, Cortemaggiore e Monticelli, con un progressivo ritorno alla città sul finire del Settecento. I primi dati demografici certi sono del 1831 con ventisette nuclei familiari accertati, una piccola comunità che abitava le vie del centro, una sola persona analfabeta (e nel 1871 il tasso di analfabetismo di Parma era pari al 46,5 %), una particolare sensibilità per l’educazione, anche delle giovani. La Masotti dedica quindi uno spazio speciale alla “Rivista israelitica”, fondata a Parma nel 1845, primo giornale ebraico italiano pubblicato con una certa continuità, direzione di Cesare Rovighi, dove si apre un importante dialogo anche con studiosi non ebrei, e alla figura e l’opera di Gabriel Sacerdoti, medico, sindaco della natia Colorno, membro del Consiglio Provinciale, nel 1859 direttore della “Gazzetta di Parma”. E poi altri nomi, Eugenio Ravà, Cesare Tedeschi, la famiglia Carmi… Ruoli, professioni di prestigio. Una reale integrazione nel tessuto cittadino. In una direzione sembrava del tutto positiva. Accurata la presentazione di Giuseppe Melli, “una delle figure più eminenti che la città deve alla comunità ebraica”, che, più volte consigliere comunale, membro del consiglio d’Amministrazione dell’Università e commissario straordinario dell’Ordine degli avvocati, scrisse su giornali, mensili, critico teatrale, fondando nel 1912, insieme a Glauco Lombardi, la rivista “Aurea Parma”. Ma ecco, già nel ricco intervento della Masotti, l’evocazione del rovesciamento della situazione, molto di più di un ritorno indietro ai tempi bui della storia: “a Giuseppe Melli la morte improvvisa e prematura risparmiò di assistere al declino del percorso di parificazione raggiunta e non solo decretata che avrebbe visto interruzione a partire dalle leggi razziali del 1938”.
Ancora una volta quindi, anche per Parma, quella verità della storia che in qualche modo continua a creare sbigottimento: perché l’immane sofferenza di tanti è derivata non da un male assoluto, un terrificante nubifragio, qualcosa che ha fatto crollare improvvisamente questo prezioso cammino di naturale convivenza civile, ma dalla tenace volontà di più persone, ovunque circondate da vasta, diffusa indifferenza. All’intervento della Masotti in Ebrei a Parma – volume che, edito dal Comune di Parma, Assessorato alle Politiche Culturali, in collaborazione con l’Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme, verrà presentato questa mattina in Palatina dal professor Arturo Colombo dell’Università di Pavia – segue lo studio di Marco Minardi Gli ebrei parmensi tra discriminazione e deportazione, 1938-1945, una trentina di pagine che si leggono tutte d’un fiato, nomi, testimonianze, date, documenti, le diverse scelte, le separazioni, le paure… Poco prima delle leggi del ‘38 gli ebrei censiti residenti nel territorio erano 134, una piccola comunità. Minardi segue il destino di alcuni di loro. Ma a Parma c’erano anche molti docenti universitari, anche di altra provenienza, che furono costretti ad abbandonare l’insegnamento, “un duro colpo alla cultura”. Terribile lo strappo per i ragazzi che non poterono tornare sui banchi di scuola. Lucida la riflessione di un compagno di liceo di Giorgio Foà, amico fraterno: “ci fu un sussulto nei nostri cuori? L’ignobile provvedimento ci apparve in tutta la sua gravità e in tutte le sue tremende implicazioni? Io credo di dover ammettere per amore di verità che indifferenza e apatia contraddistinsero il nostro comportamento di allora, né dalla bocca dei docenti un pur minimo accenno all’infame reiezione ebbe a sortire, segno evidente dello sfascio ideale e morale che la dittatura aveva provocato in tante coscienze”. Con la guerra naturalmente la situazione peggiorò, gli ebrei facile capro espiatorio. E dopo l’8 settembre i fascisti consegnarono ai tedeschi gli elenchi degli ebrei inseriti nell’elenco del comune. “A partire dalla fine di novembre ebbe inizio anche nel Parmense la caccia all’ebreo”, spiega Minardi. “Noi li vedremmo volentieri fucilati” (3 dicembre ’43), scrive Pino Romualdi, direttore della “Gazzetta di Parma”, esponente di spicco del partito fascista locale. Angosce, smarrimenti. Trovando fortunatamente alcuni ebrei anche persone che seppero aiutarli, salvarli, proteggerli. Tra questi Minardi ricorda in particolare Pellegrino Riccardi, il pretore di Fornovo Taro che si adoperò moltissimo per favorire l’espatrio di molti ebrei da Parma, nel 1988 insignito dallo Stato di Israele della Medaglia dei Giusti.
Quando la Storia maggiore, specie se ancora così vicina nel tempo, si svela attraverso le storie delle persone, scelte familiari e individuali, separazioni, fughe e lutti, inevitabilmente si carica anche, pur nell’oggettività del lavoro, di sfumature emotive. Ma il libro Ebrei a Parma – la cui presentazione sarà introdotta da Elvio Ubaldi, Sindaco di Parma, Leonardo Farinelli, Direttore della Biblioteca Palatina, e Anna Maria Finoli, Presidente dell’Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme – ospita anche altre importanti relazioni, in apertura Ebrei a Parma: un passato da scoprire di Robert Bonfil e Parma e il suo territorio nelle fonti manoscritte ebraiche di Pier Francesco Fumagalli, mentre chiude il volume La confisca dei beni ebraici nel 1943-45 di Roberto Spocci. Bonfil, dell’Università di Gerusalemme, focalizza la sua attenzione sui secoli XIV-XVII, auspicando successivi studi sulla mentalità delle persone, secondo le indicazione della ricerca storiografica moderna, in particolare sull’immaginario dell’epoca, come venivano considerati gli ebrei dall’”opinione pubblica”. Monsignor Fumagalli, direttore della Biblioteca Ambrosiana di Milano, dà conferma del grande valore del fondo dei manoscritti ebraici conservato presso la Biblioteca Palatina, compiendo anche un prezioso percorso di rilevazione nei centri limitrofi, auspicando infine che, attraverso gli strumenti informatici, “in Parma si costituisca una base dati completa che raccolga queste varie informazioni sulla presenza ebraica. Un simile progetto avrebbe non solo lo scopo di servire la storia locale, ma anche dimostrare la complessità dei rapporti tra la minoranza ebraica e la maggioranza cristiana nei secoli XV-XVIII”. Percorsi aperti, filoni di studio, così come per le indagini di Roberto Spocci, dell’Archivio Storico Comunale, che relaziona sulle confische dei beni ebraici in epoca fascista, ricerca compiuta in collaborazione con la Commissione parlamentare presieduta dall’on. Anselmi.

(Per gentile concessione de La Gazzetta di Parma)