di Nina Deutsch
Mentre negli Stati Uniti si regolamenta l’insegnamento del conflitto israelo-palestinese, anche in Italia cresce la discussione sul ruolo dell’istruzione tra memoria, guerra e libertà di pensiero. Le scuole e le università diventano terreno di confronto su come educare alla pace in tempi di polarizzazione. (Nella foto la UCLA).
La California, come riporta il Forward, ha approvato una nuova legge – nonostante le obiezioni del più grande sindacato degli insegnanti dello Stato – per contrastare l’antisemitismo. La norma impone alle scuole pubbliche di garantire programmi di studio «fattualmente accurati» e privi di «bias, ossia pregiudizi, politici o opinioni personali». Firmata dal governatore Gavin Newsom, nasce dopo anni di polemiche sul curriculum di studi etnici reso obbligatorio per il diploma nel 2021.
Quel programma, pensato per valorizzare le minoranze, ha suscitato forti critiche da parte di gruppi ebraici, che denunciano la diffusione di materiali ostili a Israele. In alcune scuole, per esempio, un insegnante – nel gennaio 2025 – aveva definito Israele «uno Stato coloniale» e mostrato un video intitolato Il sionismo non è la stessa cosa dell’ebraismo, con un portavoce del gruppo antisionista Neturei Karta. Il Dipartimento dell’Istruzione dello Stato ha poi giudicato la lezione discriminatoria verso gli studenti ebrei e imposto al distretto scolastico di fornire una formazione agli insegnanti su come presentare argomenti controversi in modo equilibrato e non discriminatorio.
Ma non solo: un curriculum alternativo, creato dal Liberated Ethnic Studies Model Curriculum Consortium, ha attirato forti critiche per aver descritto Israele come uno Stato coloniale e per aver omesso la discussione sull’antisemitismo, pur trattando altre forme di pregiudizio. Ad esempio, definisce il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) come «un movimento sociale globale che mira a stabilire la libertà per i palestinesi che vivono in condizioni di apartheid».
La nuova legge istituisce un Ufficio per i Diritti Civili e un coordinatore per la prevenzione dell’antisemitismo, incaricati di raccogliere segnalazioni, fornire linee guida ai docenti e coordinare la formazione sull’antisemitismo. «Non c’è nulla in questo disegno o nella legge esistente che impedisca agli insegnanti di affrontare conflitti internazionali o questioni controverse, e di offrire agli studenti l’opportunità di impegnarsi con pensiero critico», ha spiegato David Bocarsly, direttore del Jewish Public Affairs Committee of California (JPAC).
Non tutti sono d’accordo. «È permesso parlare dell’occupazione della Cisgiordania o della Nakba palestinese? Non è chiaro», avverte Jenin Younes, dell’American-Arab Anti-Discrimination Committee, che teme un effetto censura.
Il dibattito travalica i confini californiani: in Texas, Kansas e Arizona sono state introdotte o proposte leggi simili per controllare presunti pregiudizi anti-israeliani nelle scuole. Per i sostenitori si tratta di proteggere gli studenti ebrei; per i critici, di un nuovo terreno di scontro politico che rischia di trasformare le aule in un campo di battaglia ideologico.
E in Italia? Il conflitto israelo-palestinese entra anche nelle aule
Anche in Italia il tema dell’educazione si intreccia con il conflitto in Medio Oriente, che negli ultimi mesi ha polarizzato il dibattito politico e infiammato le piazze pro-palestinesi. Non mancano episodi di lezioni o interventi giudicati ideologici, né le tensioni nei campus universitari.
Hanno fatto rumore, la scorsa settimana, le parole della ministra Eugenia Roccella, che hanno acceso i social e la discussione pubblica. Intervenendo sull’antisemitismo e sulle proteste pro-Palestina, la ministra ha invitato le università a «tornare a essere luoghi di riflessione, non di militanza». Ha criticato la decisione di alcuni atenei, come quello di Bologna, di sospendere accordi con istituzioni israeliane, e ha avvertito del rischio di una «non-riflessione» che alimenta slogan estremi.
Parole che hanno diviso l’opinione pubblica ma che hanno anche riportato l’attenzione su un nodo cruciale: come insegnare la guerra, i conflitti e la pace ai ragazzi?
La scuola come laboratorio di convivenza
Fin dall’infanzia la scuola è il primo luogo in cui si impara a vivere insieme, a confrontarsi e a comprendere l’altro. L’educazione non dovrebbe limitarsi alla trasmissione di conoscenze, ma aiutare a sviluppare empatia, senso critico e responsabilità civile.
Analizzare le radici storiche dei conflitti – dall’antisemitismo alla Shoah, fino alle crisi contemporanee – permette di capire il presente e di evitare semplificazioni. Ma serve anche imparare a gestire le emozioni e a discutere in modo costruttivo. «La pace non è assenza di conflitto, ma capacità di gestirlo con rispetto», ricordano gli esperti di educazione civica. Attività pratiche, laboratori di dialogo e progetti di solidarietà possono rendere gli studenti protagonisti attivi di una cultura della pace. Le visite nei luoghi della memoria, come Auschwitz, diventano così esperienze di consapevolezza e non solo di commemorazione.
Le università e la responsabilità del pensiero
Secondo l’Osservatorio Antisemitismo, alcuni studenti israeliani nei campus italiani raccontano episodi di isolamento, ma anche inaspettati gesti di solidarietà da parte di compagni e docenti. Il panorama resta complesso: tra polarizzazione e tentativi di dialogo, le università sono oggi il riflesso di un conflitto che attraversa l’opinione pubblica globale. Dove le guerre si combattono anche con le parole.
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