di Marina Gersony
Harvard, una delle università più prestigiose al mondo, si trova ora al centro di un’inchiesta federale. Dopo anni in cui l’ateneo ha rappresentato il simbolo dell’eccellenza accademica americana, l’amministrazione Trump ha deciso di metterlo sotto la lente d’ingrandimento. La stessa sorte era già toccata alla Columbia University, e ora Harvard rischia maxi-tagli ai finanziamenti federali a causa delle recenti proteste pro-Gaza che hanno infiammato il campus.
Tre agenzie governative – il Dipartimento dell’Istruzione, quello della Salute e dei Servizi Umani e la General Services Administration – stanno passando al setaccio circa 9 miliardi di dollari in sovvenzioni e contratti che legano Harvard al governo federale. Una cifra enorme, ora oggetto di un attento esame.
Ma qual è il vero motivo di questa indagine? Il nodo centrale è la gestione delle accuse di antisemitismo all’interno del campus, un tema che ha acceso dibattiti infuocati negli Stati Uniti.
Questa inchiesta non è un caso isolato: fa parte di una strategia più ampia dell’amministrazione Trump per spingere le università americane a rivedere le loro politiche su questioni che stanno dividendo profondamente il Paese.
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Linda McMahon, segretaria dell’Istruzione, è stata chiara: secondo lei, Harvard non ha fatto abbastanza per proteggere gli studenti dalle discriminazioni antisemite. «Harvard ha sempre rappresentato il sogno americano, ma ora ha l’opportunità di fare le cose nel modo giusto», ha dichiarato. Il messaggio del governo è forte: le università devono essere ambienti sicuri per tutti, senza eccezioni. (AP News).
Ma la questione non riguarda solo Harvard. Negli ultimi mesi, il trattamento del conflitto israelo-palestinese ha trasformato le università americane in campi di battaglia ideologici. Molti atenei sono stati accusati di non fare abbastanza contro l’antisemitismo. Come sottolineato dal Times of Israel, Harvard è solo uno dei tanti istituti sotto osservazione.
Il presidente di Harvard, Alan Garber, ha risposto alle accuse con una dichiarazione decisa: se i finanziamenti federali venissero tagliati, ricerche scientifiche fondamentali sarebbero a rischio. Allo stesso tempo, ha ammesso che l’università deve fare di più per contrastare il problema. «Abbiamo fatto progressi, ma il lavoro non è ancora finito», ha detto, assicurando la massima collaborazione con le agenzie federali. (Reuters).
All’interno dell’università, la tensione è alta. Quasi 800 docenti hanno firmato una lettera indirizzata al consiglio di amministrazione, chiedendo a Harvard di resistere alle pressioni politiche e di difendere la libertà di espressione. «Questi attacchi alle università minacciano i principi fondamentali della democrazia», hanno scritto, esortando l’ateneo a non cedere alle richieste della Casa Bianca. La lettera ha scatenato un acceso dibattito.
Nel frattempo, un altro evento ha fatto discutere: Harvard ha licenziato i dirigenti del Center for Middle Eastern Studies, accusandoli di mancare di “equilibrio” nei dibattiti su Palestina e Israele. La decisione ha provocato polemiche tra i docenti, che la vedono come un attacco alla libertà accademica. L’American Association of University Professors ha espresso forti critiche, temendo che questa scelta possa compromettere l’indipendenza dell’ateneo.
Intanto, l’Anti-Defamation League (ADL) ha aggiornato il suo rapporto sull’antisemitismo nelle università americane, assegnando a Harvard una “C”, in miglioramento rispetto alla “F” dell’anno scorso. Un piccolo passo avanti, ma la strada è ancora lunga. Le università devono trovare un equilibrio tra la lotta alle discriminazioni e la difesa della libertà di espressione.
E ora, la domanda che tutti si pongono: come può Harvard, da sempre sinonimo di eccellenza accademica, bilanciare la libertà di parola con la protezione dei suoi studenti da ogni forma di discriminazione? Questo caso non riguarda solo Harvard, ma tutto il sistema universitario americano, chiamato a dimostrare di poter difendere i propri valori anche di fronte a sfide sempre più complesse.