Alla Corte dell’Aia sei giorni di udienze sulla legalità dell’occupazione israeliana in Cisgiordania

Mondo

di Giovanni Panzeri

 

La Corte di Giustizia Internazionale (ICJ) ha aperto una sessione di sei giorni di udienze in seguito alla richiesta delle Nazioni Unite, inoltrata lo scorso Dicembre, di fornire un parere legale sui “57 anni di occupazione israeliana delle terre destinate a formare uno Stato Palestinese”.

 

Le udienze si sono aperte lo scorso lunedì 19 febbraio con l’intervento dei rappresentanti del governo palestinese e nei giorni seguenti vedranno l’intervento di “51 governi e 3 organizzazioni internazionali”.

 

È importante sottolineare che il parere della Corte in questo caso non è vincolante a livello legale, e in ogni caso Israele, come riporta il Time of Israel, “non riconosce la giurisdizione della Corte sul suo controllo della Cisgiordania (…) affermando che la Corte non dovrebbe rilasciare consigli se la natura della disputa è politica, non legale”. Per questa ragione Israele ha scelto di non mandare una delegazione all’Aia, a difesa delle sue posizioni.

 

Il parere della Corte non avrebbe dunque ramificazioni legali concrete per Israele ma, come riporta ancora il ToI, “un parere legale critico (…) aumenterebbe ulteriormente la già pesante pressione diplomatica sul paese”.

 

L’arringa palestinese

Durante il primo giorno di udienza il Ministro degli Esteri palestinese, Riyad Al Maliki, dopo aver accusato Israele di compiere un “genocidio” a Gaza, ha descritto l’occupazione delle terre palestinesi come un tentativo di annessione, su cui Israele ha costruito un “sistema di discriminazione razziale e apartheid”. “Questa occupazione (…) rappresenta una cinica, deliberata, perversione della legge internazionale- ha affermato Al Maliki – (…) e dev’essere portata ad una fine immediata, totale e incondizionata.”

La parola è poi passata a Paul Reichler, il rappresentante legale palestinese, che ha descritto la fine dell’occupazione come “l’ultima e la migliore possibilità per la soluzione dei due Stati, così vitale per i bisogni di entrambe le popolazioni”.

 

Come riporta il ToI, Reichler ha inoltre citato le passate risoluzioni dell’Onu, (in particolare la 242, 478 e 2334) come prova dell’illegalità dell’occupazione, definendo lo stabilimento in Cisgiordania di oltre 700.000 israeliani come “un vasto progetto coloniale”.

 

La reazione Israeliana

 

Già alla fine dell’anno scorso Israele aveva  condannato l’apertura del procedimento, definendolo un tentativo di impedire ad Israele di esercitare il suo diritto a difendersi e di aggirare i procedimenti diplomatici, accusando i palestinesi di aver “condotto i negoziati sulla questione ad un punto morto”.

 

Per anni la leadership palestinese si è opposta a negoziati diretti sulla risoluzione del conflitto – ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri israeliano, reagendo alla prima giornata di udienze – mentre sosteneva il terrorismo, incitava all’antisemitismo e forniva finanziamenti a terroristi responsabili dell’assassinio di ebrei”.

 

“Tutto ciò è stato nascosto alla Corte dalla natura distorta e parziale  della richiesta presentata dall’Assemblea Generale dell’Onu- ha continuato il portavoce- che sta cercando di predeterminare i risultati di questo processo, ignorando tutti i principi di base della legge internazionale.”

 

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