Terrorismo e jihadismo, quali rischi per l’Italia? Intervista a Sandro Menichelli

Italia

di Nathan Greppi

Dopo i massacri del 7 ottobre e lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas le comunità ebraiche italiane, già attente alla propria sicurezza, si sono messe ancora più in stato di allerta per proteggere i propri membri, tenendo conto del rischio di attentati terroristici.

A questo punto, vale la pena di chiedersi quanto è alto questo rischio, considerando sia i livelli di antisemitismo in crescita, sia il fatto che comunque l’Italia non ha avuto negli ultimi anni attentati di matrice jihadista, diversamente dalla Francia e da altri paesi in Europa.
Ne abbiamo parlato con il già funzionario di pubblica sicurezza Sandro Menichelli, che dagli anni ’90 ad oggi ha ricoperto diversi incarichi amministrativi presso il Ministero dell’Interno, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la Rappresentanza Permanente d’Italia all’Unione Europea, occupandosi di sicurezza e controterrorismo. Ha scritto tre saggi di politica e storia contemporanea.

Nel suo libro Galassia islamica (Intermedia, 2019) ha raccontato le varie sfaccettature di questo mondo. In che cosa si differenzia l’Islam italiano da quello di altri Paesi?
Rispetto ad altre realtà europee, la differenza risiede innanzitutto nella genesi: non avendo noi un passato coloniale marcato come lo ebbero francesi e britannici, da noi l’Islam è giunto in tempi relativamente più recenti. Rispetto ai Paesi arabi, invece, lì sono più vicini alle loro tradizioni; mentre da noi, volenti o nolenti, sono costretti per ovvie ragioni ad adattarsi al tessuto sociale e normativo che abbiamo qui.

Rispetto ad altri Paesi europei, l’Italia non ha avuto attentati jihadisti. Come lavora la nostra intelligence su questo fronte?
Innanzitutto, dobbiamo allargare il perimetro valutativo: l’azione sul territorio non è fatta solo dai servizi di intelligence, ma anche e soprattutto da Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato. Questo perché oltre ad avere competenze generali, sono più radicati sul territorio. Vi è tutto un apparato che si occupa della prevenzione e, qualora si rivelasse necessario, della repressione dei rischi.

Perché da noi non si sono verificati attentati? Perché noi, forti dell’esperienza maturata negli anni ’70, ai tempi del terrorismo politico sia rosso che nero, abbiamo sviluppato una coscienza e una sensibilità verso il tema del terrorismo che altre realtà nazionali non hanno maturato.
Ciò fa sì che da noi esiste un sistema per cui tutte le informazioni a disposizione su una potenziale minaccia terroristica vengono portate a conoscenza di tutte le forze di polizia e dei servizi segreti, e scambiate all’interno di un comitato di analisi strategica antiterrorismo, che fa capo al Dipartimento della pubblica sicurezza. Una realtà, questa, che fa capo al Ministero dell’Interno, dove obbligatoriamente vengono poste a fattor comune tutte le informazioni raccolte sul terreno. Dopodiché, una volta fatta l’analisi di cui vengono condivisi i risultati, si sceglie chi deve operare (polizia, Carabinieri, ecc.), anche per evitare una sovrapposizione degli sforzi.
Un altro elemento importante che ci ha sempre aiutati molto nel prevenire attentati sul territorio nazionale, è che abbiamo una legislazione antiterrorismo molto efficace. Questa permette di enucleare dei soggetti che, con il loro comportamento, posso risultare pericolosi per la sicurezza pubblica, ed essere espulsi con un decreto del Ministro dell’Interno senza dover prima necessariamente passare attraverso il vaglio dell’autorità giudiziaria.

Dopo i fatti del 7 ottobre in Israele, come è cambiata la situazione in Italia per quanto riguarda il rischio di attentati?
Le vicende in atto in Medio Oriente sono all’ordine del giorno, e determinano il massimo stato di allerta da parte delle autorità competenti. Il tutto però avviene in un quadro dove il livello di attenzione era già molto alto; agli occhi di chi vorrebbe fare attentati, noi facciamo sempre parte dell’Occidente. In più, sul nostro territorio nazionale abbiamo la Chiesa Cattolica, un potenziale bersaglio per chi è ideologicamente affine al radicalismo islamico.

Negli stessi giorni dei massacri in Israele, ricorreva l’anniversario dell’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982. Nel prossimo futuro, ritiene che i luoghi ebraici rischino di essere presi di mira?
Le realtà ebraiche, adesso come in passato e come sarà in futuro, sono sempre state oggetto di possibili attentati. Per questo, saremmo degli stolti ad abbassare la guardia; tali realtà sono purtroppo oggetto dell’attenzione perversa da parte di frange islamiste radicali, e continueranno ad esserlo. Sta a noi, pur senza allarmismi, mantenere alto il livello di attenzione. Non solo come forze di polizia, ma anche al livello di tutta la cittadinanza.

 

 

Foto in alto:  Sandro Menichelli  (courtesy Italia Informa)