Papa Francesco alla Sinagoga di Roma. “Voi siete i nostri fratelli e sorelle maggiori nella fede”

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I due co-presidenti della Comunità ebraica di Milano, Raffaele Besso e Milo Hasbani, salutano papa Francesco durante la sua visita alla Sinagoga di Roma

È una visita piena di emozione quella di papa Francesco alla sinagoga di Roma, domenica 17 gennaio. E’ il terzo pontefice ad entrare nel Tempio e, come a ricordato il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, “secondo la tradizione giuridica rabbinica, un atto ripetuto tre volte diventa chazaqà, consuetudine fissa” e quindi, ha aggiunto, “è decisamente il segno concreto di una nuova era”.

Prima di entrare nel Tempio, il papa ha voluto recarsi al ghetto in mezzo alla gente: si ferma nel Largo 16 ottobre 1943, davanti alla lapide che commemora la deportazione degli ebrei romani, dove depone dei fiori, poi raggiunge a piedi il Largo Stefano Gaj Tachè, luogo che ricorda l’uccisione del bimbo di due anni da parte del commando palestinese che assaltò la sinagoga nel 1982. Anche qui depone una corona di fiori e incontra la famiglia Taché e i feriti nell’attentato. Quindi raggiunge a piedi il Tempio Maggiore: ad accoglierlo  fuori dalla sinagoga, Ruth Dureghello, insieme al presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna. Presenti anche i due co-presidenti della Comunità Ebraica di Milano presentati al Pontefice da Ruth Dereghello. Poi, sotto al colonnato del Tempio, l’abbraccio con il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni.

Dopo gli interventi del presidente della Comunità Ebraica di Roma Ruth Dureghello, del presidente Ucei Renzo Gattegna e del Rabbino Capo di Roma Rav Riccardo Di Segni, ha preso la parola il Pontefice.

Il discorso del Papa (clicca qui per il discorso integrale)
Prendendo la parola, il Papa ha ringraziato in ebraico, «Todà rabbà», per la «calorosa accoglienza». Ha ricordato: «Già a Buenos Aires ero solito andare nelle sinagoghe e incontrare le comunità là riunite, seguire da vicino le feste e le commemorazioni ebraiche». Un «legame spirituale» che «ha favorito la nascita di autentici rapporti di amicizia e anche ispirato un impegno comune». Bergoglio ha citato il «legame unico e peculiare» tra ebrei e cristiani, che «devono dunque sentirsi fratelli, uniti dallo stesso Dio e da un ricco patrimonio spirituale comune».

Francesco ha fatto sua l’espressione coniata da Giovanni Paolo II per gli ebrei, «Fratelli maggiori», infatti «voi siete i nostri fratelli e le nostre sorelle maggiori nella fede. Tutti quanti apparteniamo a un’unica famiglia, la famiglia di Dio, il quale ci accompagna e ci protegge come suo popolo».

«Insieme, come ebrei e come cattolici, siamo chiamati ad assumerci le nostre responsabilità per questa città, apportando il nostro contributo, anzitutto spirituale, e favorendo la risoluzione dei diversi problemi attuali». Citando il documento conciliare Nostra aetate, il Papa ha ribadito il «no» a «ogni forma di antisemitismo, e condanna di ogni ingiuria, discriminazione e persecuzione che ne derivano». E ha ricordato l’importanza del lavoro di approfondimento teologico: «I cristiani, per comprendere se stessi, non possono non fare riferimento alle radici ebraiche, e la Chiesa, pur professando la salvezza attraverso la fede in Cristo, riconosce l’irrevocabilità dell’Antica Alleanza e l’amore costante e fedele di Dio per Israele».

Il Papa invita a «non perdere di vista le grandi sfide che il mondo di oggi si trova ad affrontare. Quella di una ecologia integrale è ormai prioritaria, e come cristiani ed ebrei possiamo e dobbiamo offrire all’umanità intera il messaggio della Bibbia circa la cura del creato. Conflitti, guerre, violenze e ingiustizie aprono ferite profonde nell’umanità e ci chiamano a rafforzare l’impegno per la pace e la giustizia».

«La violenza dell’uomo sull’uomo – ricorda Francesco – è in contraddizione con ogni religione degna di questo nome, e in particolare con le tre grandi religioni monoteistiche… Ogni essere umano, in quanto creatura di Dio, è nostro fratello, indipendentemente dalla sua origine o dalla sua appartenenza religiosa». E «là dove la vita è in pericolo, siamo chiamati ancora di più a proteggerla. Né la violenza né la morte avranno mai l’ultima parola davanti a Dio, che è il Dio dell’amore e della vita. Noi dobbiamo pregarlo con insistenza affinché ci aiuti a praticare in Europa, in Terra Santa, in Medio Oriente, in Africa e in ogni altra parte del mondo la logica della pace, della riconciliazione, del perdono, della vita».

Infine, Bergoglio ha ricordato lo sterminio degli ebrei: «Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie… Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli col cuore in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro. La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza a ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a coloro che sono oggi qui presenti. Shalom alechem!».