Tra le Dolomiti, il buon tenente che salvò Moena

Italia

di Fiona Diwan e Giorgio Jellici

Dalla Grande Guerra alla Shoah: un destino del XX secolo
È la storia di Riccardo Löwy, ufficiale imperial-regio di Francesco Giuseppe che salvò la vita agli abitanti di Moena e Val di Fassa. Vent’anni dopo, in fuga da Vienna e dai nazisti, nel 1938, la famiglia ebraica dei Löwy si nasconderà proprio qui. Oggi, una mostra rievoca l’avventura  di un Giusto ebreo (e di chi fece di tutto per salvarlo)

Simonin Chiocchetti, Valeria Jellici, Johanna e Richard Löwy, Martha e Hermann Riesenfeld (Moena 1943)
Simonin Chiocchetti, Valeria Jellici, Johanna e Richard Löwy, Martha e Hermann Riesenfeld (Moena 1943)

 

«È la preoccupazione per l’Altro che fonda la misura autentica della soggettività umana, è incontrando il Volto dell’Altro che prendo coscienza di chi sono. Ed è tramite l’essenza dell’altro che comprendo la mia stessa essenza», scriveva, con parole divenute celebri, il filosofo francese Emmanuel Lévinas. Parole che riflettono in modo commovente la storia di Riccardo Löwy, ufficiale ebreo dell’esercito imperial regio di Cecco Beppe, Löwy che chinandosi sul volto di ciascuno degli abitanti di Moena non riuscì a sottrarsi all’urgenza di salvarli, nel 1915, dalla carneficina in atto nelle trincee del Fronte orientale, destinandoli a incarichi più sicuri e protetti. Riccardo Löwy, che salvò un’intera valle dolomitica dalla macelleria della Prima Guerra Mondiale e che fu a sua volta ripagato con nascondimento e protezione, vent’anni dopo, nel 1938, da quegli stessi uomini e donne che era riuscito a salvare decenni prima dalle granate.
Non risulta che un Comune del Trentino (provincia sud dell’Impero asburgico fino al 1918), abbia mai concesso la cittadinanza onoraria a un militare del Kaiser Franz Joseph. Salvo in un caso: Moena, che la diede nel 1916 a questo giovane tenente ebreo viennese che durante la Guerra 1914-18 si era comportato come una specie di angelo custode del paese (una mostra dedicata a Lowy aprirà i battenti proprio a Moena nel corso del 2017, vedi box). Ma chi era quest’ufficiale? Un ingegnere civile (Bauingenieur), Comandante a Moena nel 14-18, amato e decorato per i suoi meriti, nel 1938 costretto a fuggire da Vienna a causa delle leggi antiebraiche, rifugiato in Italia, nel 1944 arrestato e deportato con tutti i suoi famigliari ad Auschwitz, da dove non tornò mai più. Richard Löwy nasce in Boemia, in una famiglia ebraica di lingua tedesca, nel 1886, a Zásmuk (oggi Zásmuky), un borgo a 45 km ad est di Praga. La Boemia è da secoli un fiorente centro dell’ebraismo che passa da periodi di pace e prosperità ad altri di persecuzioni, roghi di sinagoghe e angherie d’ogni sorta. Nei decenni a cavallo fra il XIX ed il XX secolo, dai ghetti di Boemia e Moravia uscirà il fiore della cultura Mitteleuropea, gli anni migliori della Kultur ebraico-tedesca, della grande Prager deutsche Literatur; gli anni in cui il classico regalo per i ragazzini che celebrano il Bar-mitzwah sono le opere di Goethe, Schiller e Hölderlin. Un decennio più tardi, il tedesco sarà la lingua dei loro assassini.
Cosa accade in quei primi decenni del Novecento? Siamo in guerra. Il Comandante Löwy riesce a ottenere che molti giovani e uomini adulti di Moena, invece di andare incontro a una “morte da eroi” al fronte, in Galizia o in Bucovina, vengano occupati nelle squadre militari a costruire ponti, trincee e strade. Organizza inoltre turni tali da consentire agli uomini di curare il lavoro dei campi e boschi. Monta una sartoria dove le donne di Moena confezionano pezze da piedi per i soldati e soprascarpe di vimini e paglia per riparare dal freddo e allestisce una lavanderia, garantendo così alle famiglie un’entrata costante. Innumerevoli sono le sue opere di bene verso il paese tormentato dalla guerra. Löwy è sostenuto da una forte carica umana e da talento organizzativo. Per i suoi meriti è decorato nel 1916 con il Signum laudis, massimo riconoscimento dell’Imperatore per gli ufficiali in guerra. Nel dicembre dello stesso anno il Consiglio comunale di Moena delibera un riconoscimento e un vitalizio.
Il 24 ottobre 1918 l’armata germanico-austro-ungarica è sconfitta a Vittorio Veneto. Il multi-nazionale Impero asburgico è allo sfacelo. Da questo momento anche la sorte di Richard Löwy inizia a scivolare su un piano inclinato, fino alle Leggi di Norimberga e all’Anschluss. Il 16 agosto 1938 Richard e la moglie abbandonano Vienna per rifugiarsi nell’unico posto dove sanno di trovare amici: Moena. Alcuni mesi dopo lo seguono la sorella Martha col marito Hermann Riesenfeld e la madre Hedwig. Nonostante la propaganda e l’odio razziale, Moena accoglie i Löwy come figli del luogo. Una maestra mette loro a disposizione un’abitazione. A vent’anni di distanza l’ex Comandante ritrova una popolazione che non ha cessato di stimarlo. Rivede i giovanotti, ora padri di famiglia, che costruirono trincee e ponti sotto la sua direzione. Molti di loro gli devono la vita e non l’hanno dimenticato. Löwy sbarca il lunario dando qualche lezione di tedesco, confeziona con la moglie delle lampade da tavolino, all’inizio gli arriva qualche sussidio dal Comitato ebraico di assistenza di Milano, ma soprattutto riceve cibo dalla popolazione di Moena – una borsa di patate, un litro di latte, mezzo chilo di burro, qualche rapa, una slitta di rami di larice per la stufa -. Conversazioni, serate di lettura, gite in montagna e feste che i coniugi Löwy e Riesenfeld trascorrono insieme ad amici, tra cui la maestra Valeria Jellici, e che fanno loro dimenticare per qualche momento la catastrofe mondiale. Dopo l’Armistizio dell’8 settembre 1943, le truppe del Terzo Reich occupano la penisola. La macchina mortale della Endlösung si scatena. Per gli ebrei non c’è più scampo: all’alba del 4 gennaio 1944 i coniugi Löwy e Riesenfeld sono arrestati dai tedeschi. Uno di loro fredda con un colpo di rivoltella la cagnetta della signora Martha, davanti ai suoi occhi terrorizzati. I prigionieri sono trasferiti alle Carceri giudiziarie di Trento. Qui, gli uomini vengono separati dalle donne, nel rigore di gennaio. Il 22 febbraio 1944, con lo stesso convoglio che trasporta Primo Levi, sono deportati ad Auschwitz. Il treno giunge al campo dopo quattro giorni e quattro notti attraverso l’Europa gelata. Molti arrivano già cadaveri o fuori di senno. Se i Löwy sono ancora in vita, non verranno selezionati per le squadre di lavoro e tatuati sull’avambraccio sinistro, come Primo Levi (Nr. 174517), allora ventenne. Vengono fatti spogliare e indirizzati nelle camere a gas come tutti gli anziani, gli ammalati e le mamme con i loro bambini.
Nel 1984 il Comune di Moena intesta al suo cittadino onorario la via principale del paese. Sulla targa stradale c’è scritto: “Richard Löwy, vittima dell’odio razziale”.

 

 

LA GRAN VERA: UN PARCO DELLA MEMORIA
PER NON SMARRIRE L’IDENTITÀ

«Per noi ladini, come per voi ebrei, coltivare la memoria significa non voler perdere l’identità, non voler mai dimenticare la nostra storia e chi siamo. Per questo abbiamo voluto dedicare una mostra-evento alla figura di Riccardo Löwy (a cui è stata intitolata la via principale di Moena), quello che noi chiamiamo l’Oskar Schindler di Moena, ovvero l’ebreo a cui dobbiamo la salvezza dei nostri nonni e parenti durante la Grande Guerra e che si rifugiò proprio qui dopo Anchluss. Per questo abbiamo allestito una mostra che oggi diviene permanente dedicata a La Gran Vera, la Grande Guerra, 1914-1918 Galizia-Dolomiti, in un progetto di Parco della Memoria che coinvolge tutta la Val di Fassa». Così, con passione, parla Michele Simonetti Federspiel, uno dei curatori, insieme a Mauro Caimi, di tutto il progetto che si avvale dell’appoggio del Comune di Moena e dei volontari dell’associazione Sul Fronte dei Ricordi. «La mostra nasce per ricordare e non celebrare il passato! Con le sue molteplici sezioni espositive ha raggiunto finora i 90.000 visitatori. La memoria dimenticata dei combattenti Ladini–Italiani e Tedeschi del Sud Tirolo trova qui un luogo dove mostrarsi, supportato da una seria analisi storica», dice Simonetti. Oltre alla mostra su Riccardo Löwy, che sarà l’evento clou del 2017 (sarà inaugurata in giugno), il tema della Grande Guerra viene affrontato sia da un punto di vista generale che attraverso una spettacolare ricostruzione della vita in trincea, delle condizioni dei civili, dei diari e della propaganda di guerra. A 100 anni esatti dall’evento che ha sconvolto l’Europa e provocato un’incolmabile frattura tra il mondo antico e quello attuale, la mostra porta a conoscere e rivivere gli elementi cardine di quell’ondata di follia, prologo imprescindibile di un’altra pazzia, quella del Secondo conflitto mondiale. Un percorso dentro la storia, un invito a conoscere i fatti compresi tra il 1914 e il 1918, come li hanno vissuti gli uomini con addosso un’uniforme, quella imperiale di Francesco Giuseppe: ebrei, italiani, austriaci, russi, ungheresi, bosniaci, tedeschi… Da non perdere.

Info: Moena (Trento), Teatro Navalge,
“La Gran Vera” dal 21/12 al 10/01, tutti i giorni 10.00-12.30 e 16.00-19.00; dall’11-01 al 03-04, 15.00-19.00. Ingresso € 5. Info point: 331.8029886 / 346.2415776, 0462.760182. Uff. “Perle Alpine” – tel. 0462.565038
e_mail: perla@moena.it