Il 23 giugno del 1858 veniva rapito dal papa il piccolo Edgardo Mortara

Italia

di Redazione
Era la sera del 23 giugno in quel fatidico 1858 quando, su volere del papa andarono a bussare alla porta della famiglia Mortara, strappando il piccolo Edgardo, un bambino ebreo di soli 6 anni. Fu un vero e proprio rapimento. Senza che i suoi genitori fossero a conoscenza venne battezzato, e proprio questo fu il pretesto che ebbe la gendarmeria pontificia per portarlo via.

Alla fine, Edgardo diventerà prete. Questa storia è uno tra i cupi capitoli delle vicende che riguardano il Vaticano, con cui si intreccia la storia degli ebrei, un’oscurità che si protrae fino a giorni nostri, in particolare dopo l’uscita del discusso film intitolato Rapito a cura del regista Marco Bellocchio.

Le ultime Grida di Potere

Come spiega Anna Magli, nell’articolo pubblicato su Focus, siamo in un periodo in cui il potere del papa circondava un area che da Roma si protraeva fino a Bologna, luogo in cui ha avuto luogo il terribile episodio. Sono le ultime grida di un uomo che si aggrappa agli ultimi brandelli di potere che lo rendono un sovrano. Lo Stato Pontificio nella bella Italia stava svanendo lasciando posto ad una nuova era, figlia dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese.

Il rapimento frutto di un tradimento

“Mi spiace il dirlo: loro sono vittima di un tradimento. Il loro figlio Edgardo è stato battezzato e io ho l’ordine di condurlo meco”. Sono le parole che si sentì dire il padre Momolo Mortara, un modesto commerciante ebreo, dal maresciallo Lucidi, quando bussò alla porta dell’abitazione nel centro storico di Bologna.

Anna Morisi era la giovane domestica cattolica che lavorava presso l’abitazione bolognese, colpevole di aver battezzato il ragazzino all’insaputa dei genitori, quando non aveva ancora raggiunto il primo anno di età. Lo aveva fatto perché era ammalato e  quindi per paura che morisse aveva deciso di battezzarlo. C’è da sapere che in quei tempi, mentre la città era sotto lo Stato Pontificio, era in vigore una legge che impediva agli abitanti di fede cristiana di svolgeva attività lavorativa presso gli ebrei, una regola che valeva anche per quest’ultimi.

Anna aveva solo 15 anni, era affezionata al piccolo Edgardo e pensava che quel gesto potesse conferirgli una salvezza per l’eternità. Fortunatamente guarì e successivamente la giovane ragazza tornò a San Giovanni in Persiceto, paese dal quale proveniva, per sposarsi.

Come si venne a sapere del caso? Una voce scappata da un segreto confidato a delle amiche o una confessione al prete?  Al tribunale dell’Inquisizione che era sotto la direzione di Pier Faletti sarebbe stata lei stessa a rivelare dell’accaduto.

Proteste ovunque. Risultato? Nulla fece cambiare idea a Pio IX

A nulla servirono le proteste dei genitori e di tutta la comunità ebraica. In base alle leggi emanate dello Stato Pontificio era vietato ad un bambino cristiano di crescere con persone di un’altra religione. Era obbligatorio che ricevesse un’educazione cattolica. Per tale ragione venne allontanato dalla propria famiglia.

Ad unirsi alla protesta si unì una mobilitazione internazionale, come molti governi: il Regno di Sardegna, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti.

La famiglia cercò di dimostrare che il battesimo non era avvenuto in piena regola. Non solo non era in reale pericolo di vita, ma la domestica appena quindicenne battezzò il piccolino utilizzando dell’acqua del secchio. Nonostante tutto, il papa decise di tenere con sé il bambino assumendosi in prima persona la responsabilità dell’accadimento, definendo addirittura che il battesimo era avvenuto secondo le corrette procedure.

Un caso (ritornato) internazionale

 Gli ebrei di diverse nazioni si mossero pubblicamente in difesa della famiglia ebraica Bolognese, con la speranza che il loro figlio fosse liberato. L’avvenimento mosse gli animi a tal punto da gettare le fondamenta per la nascita a Parigi dell’Alliance israélite universelle, l’organizzazione che ai nostri giorni si batte ancora per i diritti degli ebrei nel mondo.

Ne uscì un’immagine della chiesa che non aveva nessuna considerazione dei diritti umani, una pagina della storia di cui si servirono in molti, Cavour, Bismarck e Napoleone III.

Ed il risvolto della vicenda ha dell’amaro. Quando cadde lo Stato Pontificio era il 1870, Edgardo Mortara aveva 19 anni e decise di non tornare a casa, anzi, cercò di convertire anche i suoi famigliari.

Tra il 1873 e il 1874 divenne sacerdote in Francia, a Poitiers e morì a Liegi l’11 marzo del 1940 all’età di 89 anni. Il rapporto con la propria famiglia era confinato ad una corrispondenza molto sintetica, dove era presente sempre il tentativo di provare a convertirli. Egli fu infatti sempre fedele all’aggressore, a chi lo aveva rapito e convertito.

Il caso a distanza di così tanto tempo non si è mai spento, anzi, si è riacceso nelle diverse occasioni che la storia ha presentato, come quando nel 1986 Giovanni Paolo II fece visita al Tempio di Roma e il Presidente dell’Unione della Comunità Ebraiche Italiane gli ricordo del terribile episodio. A nulla servì a far svegliare le coscienze, perché nel 2000 proprio Giovanni Paolo condurrà la beatificazione di Pio IX, suscitando forte dissenso, e non solo da parte del mondo ebraico.

Il perché del rifiuto del piccolo Edgardo? Come spiega Elèna Mortara, una delle famigliari (la sua bisnonna era sorella di Edgardo), il piccolo aveva sviluppato quella che ben conosciamo come sindrome di Stoccolma che avviene quando il prigioniero manifesta una sorta di attaccamento affettivo verso il rapitore.

Foto in alto: dipinto realizzato nel 1862 da Moritz Oppenheim (1800-1882) raffigurante il rapimento di Edgardo Mortara.