Emanuele Fiano: “Il passato caratterizza la mia sfida elettorale, ma in gioco ci sono due visioni opposte per il futuro dell’Italia”

Italia

di Francesco Paolo La Bionda

Intervista a Emanuele Fiano – “Il passato caratterizza la mia sfida elettorale, ma in gioco ci sono due visioni opposte per il futuro dell’Italia”

Emanuele Fiano, deputato uscente del Partito Democratico, alle prossime elezioni correrà per il Senato nel collegio uninominale di Sesto San Giovanni, che oltre all’omonimo comune comprende anche una serie di centri limitrofi e i Municipi 8 e 9 di Milano.

Fiano, classe 1963, architetto, è stato in passato consigliere e poi presidente della Comunità Ebraica di Milano. È inoltre impegnato da molti anni nella politica nazionale per il centrosinistra, con un percorso che lo ha visto ricoprire le cariche prima di consigliere comunale e poi, a partire dal 2006, quella di deputato.

La sfida che lo vede ora impegnato per conquistare un seggio a Palazzo Madama ha assunto una particolare carica simbolica. In primo luogo perché si tiene, almeno in parte, in quella Sesto San Giovanni che durante la prima repubblica fu la “Stalingrado d’Italia” e oggi invece è governata dal centrodestra. Soprattutto, perché a sfidare il candidato democratico, convinto antifascista e figlio di Nedo Fiano, sopravvissuto alla Shoah, c’è Isabella Rauti.

Isabella Rauti, candidata oggi per Fratelli d’Italia, oltre ad avere alle spalle una carriera politica a destra di lungo corso, è anche figlia di Pino Rauti, che dopo aver combattuto per la Repubblica di Salò divenne poi nel dopoguerra uno dei principali e più radicali esponenti del neofascismo italiano.

Un incrocio di vicende familiari e personali casuale ma nondimeno paradigmatico di quelle politiche nazionali, tanto che Furio Colombo su La Repubblica l’ha definita “una sfida tra due Italie incomunicabili”.

Onorevole Fiano, in queste elezioni si scontrano visioni molto diverse per l’Italia. A partire dai rapporti con l’Europa.

 Siamo di fronte a una scelta binaria. Da una parte, il Partito Democratico di cui faccio parte ha permesso che l’Italia guadagnasse fiducia in campo europeo e che si arrivasse a quella svolta determinante che è rappresentata dal Recovery Fund, finanziato dal debito comune in virtù del concetto solidale di Europa che ci appartiene. Al contrario, i nostri avversari a destra hanno espresso più e più volte sentimenti euroscettici, a partire dagli slogan sull’uscita dall’euro ma non solo.

Noi inoltre abbiamo espresso una posizione netta, e coerente con quella europea, sulla guerra russo-ucraina: totale solidarietà con gli aggrediti. A destra invece abbiamo registrato molte più ambiguità nel condannare la brutale invasione voluta da Putin.

 Per quanto riguarda le proposte economiche invece?

 Noi siamo fautori di una politica economico-sociale che favorisca equità e tutela delle fasce più deboli. Il centrodestra invece propone formule inique come la flat tax, che finirebbe per avvantaggiare i più ricchi a discapito dei più poveri Inoltre, sia nella versione della Lega sia in quella di Forza Italia, il rapporto tra costi e benefici sarebbe insostenibile: stiamo parlando di una spesa per le casse pubbliche di decine di miliardi di euro.

Un tema su cui lei si è impegnato molto nel corso della sua carriera, e che la destra ha scelto come uno dei principali terreni di scontro politico, è quello dei migranti. Quali sono le vostre proposte per gestire questo fenomeno così complesso?

Soluzioni come il blocco navale, che propongono i nostri avversari, sono irrealizzabili specialmente se portate avanti da un singolo Paese, a meno di non essere disposti a comportamenti di totale disumanità.
Secondo noi serve un maggiore sostegno a livello europeo, che purtroppo finora non c’è stato, e una ripresa di un impegno mirato in politica estera, in particolare in Nord Africa. A questo riguardo, un valido esempio è il memorandum che firmò il governo Gentiloni, di cui facevamo parte, nel 2017 col governo libico e che permise una drastica riduzione degli sbarchi. Coltivare le relazioni internazionali serve anche per sviluppare piani di rimpatrio realistici: voglio ricordare che quando Salvini è stato ministro dell’Interno i rimpatri sono diminuiti, nonostante ne avesse fatto un cavallo di battaglia elettorale.

Infine, ma non meno importante, bisogna investire e impegnarsi per consentire a chi ha diritto a rimanere di integrarsi

La sua candidatura oggi la vede contrapposto a Isabella Rauti, non solo per idee politiche ma anche per storia familiare e personale. Come sta vivendo questo aspetto?

 Per me, ebreo e antifascista, la caratterizzazione è inequivocabile. Si gioca una partita storica, anche se non l’ho scelto io. Come ho già detto, le colpe dei padri non ricadono sui figli ma è lecito interrogarsi su quale visione si abbia della nostra storia. E la mia interpretazione non può coincidere con la sua.

A questo riguardo, nonostante le recenti prese di distanza di Giorgia Meloni dal fascismo, nel suo partito continuano però a emergere episodi di contiguità ideologica. 

Abbiamo assistito negli anni a un florilegio di episodi di apologia del fascismo che hanno visto protagonisti esponenti di Fratelli d’Italia. Poi, è chiaro, io non sono certo preoccupato di un ritorno del fascismo di stampo mussoliniano al potere. Quello che preoccupa oggi è invece la vicinanza a modelli europei di democrazia illiberale, come l’Ungheria di Orban. Senza dimenticare che uno dei punti di riferimento della destra europea è stato Donald Trump, la cui complicità nell’assalto dei suoi simpatizzanti al Senato statunitense oltre a essere gravissima è anche indicativa del suo fondo antidemocratico.

Anche l’antisemitismo continua a trovare spazio in alcuni segmenti della società. Come si può combattere con maggiore efficacia?

L’antisemitismo è una questione soprattutto culturale e di conoscenza e quindi il suo contrasto dovrebbe partire dalle scuole. Oggi negli istituti superiori alla storia sono dedicate appena un paio d’ore alla storia, nonostante sia fondamentale che i ragazzi la apprendano, anche quella recente. Anche per capire che il principio fondamentale della libertà, che oggi sembra sempre disponibile in automatico, è stato invece spesso negato e si è dovuto conquistare, anche al prezzo di immani sacrifici e tragedie.

Dobbiamo spiegare perché e come si è potuta verificare la Shoah. Spiegare come in situazioni di crisi radicale delle condizioni sociali, come quelle dell’Italia dopo il primo conflitto mondiale, o quelle della Germania con la crisi della Repubblica di Weimar, la figura dell’uomo forte al comando e del presunto diverso usato come capro espiatorio dei propri problemi, possano sedurre la popolazione e come evitare che ciò si ripeta. Questo diventa tanto più importante a fronte della progressiva e ineluttabile scomparsa della generazione dei testimoni diretti, come mio padre o Liliana Segre, che hanno potuto raccontare e raccontano ancora per fortuna, le loro esperienze personali.

Infine, è necessaria anche l’azione repressiva: non possiamo continuare a permettere che, malgrado le leggi, l’apologia del fascismo e del razzismo continuino a essere praticate così diffusamente e apertamente.