Daniele Nahum: abbiamo sottovalutato l’antisemitismo di sinistra

Italia

di Ester Moscati

Daniele Nahum, consigliere comunale a Milano, impegnato in politica fin da giovanissimo, prima con i Radicali di Marco Pannella poi nel Partito Democratico, è oggi approdato all’area Riformista.

Che cosa significa essere militante nell’area della sinistra e trovarsi in questo clima pesantemente anti-israeliano, antisionista e spesso antisemita, nelle piazze e nell’università?
Secondo me abbiamo sottovalutato il tema dell’antisemitismo a sinistra. Quello di destra c’è e va combattuto, ma in confronto è quasi folcloristico e numericamente contenuto. L’antisemitismo di sinistra è invece più pervasivo, influente, diffuso. Ha sdoganato il termine “genocidio” riferito alla guerra a Gaza e ha dato nuova forza all’odio contro gli ebrei. La vulgata delle “vittime trasformate in carnefici” nasce nella sinistra, così come la parola “sionismo” usata come un insulto. Sono sicuro al 1000 per cento che tutto ciò che si scrive sui muri delle nostre città contro gli ebrei e Israele viene oggi dalla sinistra radicale. Essere un ebreo di sinistra è quindi difficile, una battaglia continua. Sono uscito dal PD in polemica con il fatto che la dirigenza ha scelto di non intervenire in modo drastico per fermare questa deriva e perché i giovani del Partito hanno sposato la causa palestinese in modo non obiettivo, ma settario e antisionista, come dimostrano gli incontri che hanno organizzato a Milano (uno di questi, “Colonialismo & Apartheid in Palestina. Una lunga storia di occupazione illegale e Resistenza” è stato poi annullato proprio per le polemiche, ndr). Temo quindi che nel futuro prevarrà nel partito un’area massimalista. Io nasco come Radicale, poi sono stato 12 anni nel PD, ma ora spero di dare il mio contributo alla crescita dell’area riformista che si riconosce nei valori dell’Atlantismo, dell’Occidente e del sostegno a Israele.

Nel tuo impegno anche come Unione giovani ebrei italiani hai intessuto anni fa delle relazioni con i giovani musulmani. Queste relazioni sono proseguite nel tempo? Al di là della COREIS, con cui la comunità ha rapporti costanti e molto amichevoli, ci sono delle aree dove tu vedi la possibilità di una interlocuzione, di un dibattito civile e di un desiderio di comprendersi?
Oggi non vedo spazi di dialogo con i giovani islamici, al di là di quelli che si riconoscono nella COREIS. In genere, i giovani palestinesi in particolare che sono dietro alle manifestazioni di questi mesi, vogliono la “Palestina libera dal fiume al mare”, quindi la cancellazione di Israele. Non c’è dialogo possibile in questo momento. Purtroppo. (E.M.)