“Antisemitismo” è il verdetto finale

Italia

“Un insulto resta tale anche se inserito in un bel ragionamento;  il senso complessivo dell’elaborazione culturale non può redimere passaggi argomentativi in sé non ammissibili sul piano della liceità giuridica”. Con questa motivazione  la Corte di Cassazione di Cagliari ha confermato la condanna per antisemitismo di Pietro Melis, docente di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari.

La condanna arriva a otto dalla pubblicazione negli Annali dell’Università di Cagliari, di un articolo in cui Melis invocava “le camere a gas naziste per i maledetti ebrei”, ”colpevoli”, scriveva, di praticare la macellazione rituale.
Una “tesi” sostenuta dal Melis in nome della causa animalista e che i giudici della Cassazione hanno definito priva di qualsiasi dignità scientifica.

Il testo in questione fu inviato, oltre che a 140 biblioteche italiane e straniere, anche al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, accompagnato da una lettera in cui Melis scriveva: “Maledetti ebrei credenti…Per voi dovrebbero essere usate ancora le camere a gas…Non dovrebbe essere un reato giustiziare un ebreo credente”. Fu anche il contenuto di questa lettera che fece scattare la denuncia e poi il processo in cui la Comunità di Roma e le comunità ebraiche italiane si costituirono parte civile. Ed è ancora ad esso che i giudici della Cassazione hanno fatto riferimento per confermare l’accusa di antisemitismo nei confronti del Melis.

Melis tentò di difendersi dalla accuse sostenendo di aver manifestato semmai “avversione o antipatia” verso gli ebrei, ma non “odio”, tantomeno “incitamento in tal senso”. A nulla è servito anche il ricorso alla “libertà di pensiero”, respinto dalla Cassazione in quanto essa non può essere invocata né servire da giustificazione quando finisce con il travolgere il “rispetto di valori più alti, pure costituzionalizzati, quali la dignità umana”.

Melis dovrà pagare una multa di 4.000 euro e provvedere al risarcimento per danni morali della Comunità di Roma e di tutte tutte le comunità ebraiche italiane.

La corte di cassazione ha respinto anche l’appello alla libertà di pensiero invocata da Melis, spiegando che essa non può essere invocata né servire da giustificazione quando finisce con il travolgere il “rispetto di valori più alti, pure costituzionalizzati, quali la dignità umana”.