Sergio Della Pergola

Israele

Un’intervista a Sergio Della Pergola non è cosa nuova per i media italiani, ebraici e non ebraici. La grande fama raggiunta da questo demografo e studioso di origine italiana va ben al di là dei confini del suo Paese d’origine e di Israele, dove continua a insegnare e a fare ricerca. Questa intervista, non è nata da un dialogo diretto con lui, ma piuttosto da quella pluralità di domande cui Della Pergola ha avuto la cortesia di rispondere nel corso di una recente serata milanese. Se le risposte sono autenticamente sue e sono emerse nel corso di un suo lucido e appassionante intervento dedicato al futuro del popolo ebraico, alle sue prospettive di sviluppo e di sopravvivenza, le domande, invece, non appartengono in esclusiva a un singolo intervistatore, ma fanno parte di un patrimonio comune a tutti coloro che hanno preso parte alla serata.Nato in Italia, dal 1966 Sergio Della Pergola si trova in Israele. Dopo la laurea all’Università di Pavia in Scienze politiche, ha conseguito il dottorato di Ricerca all’Università Ebraica di Gerusalemme ed è professore Ordinario di Studi sulla Popolazione Ebraica presso il Dipartimento di Studi Ebraici Contemporanei all’Università di Gerusalemme. E’ stato a lungo Direttore dello stesso Dipartimento, ed è anche Ricercatore capo presso l’Istituto di Programmazione Politica del Popolo Ebraico a Gerusalemme.Della Pergola è un noto esperto mondiale di demografia del popolo ebraico nella Diaspora e in Israele e ha pubblicato numerosi libri e articoli sulla demografia storica, la famiglia, le migrazioni internazionali, gli aspetti quantitativi dell’educazione ebraica e le prospettive demografiche nella Diaspora, in Israele, e in particolare a Gerusalemme.Ha tenuto conferenze in oltre 50 Università e istituti di ricerca in molti paesi nel mondo, ed è consulente del Governo d’Israele e di molte delle maggiori organizzazioni ebraiche mondiali. Nel 1999 gli è stato assegnato il Premio Marshall Sklare per l’eccellenza nella ricerca da parte dell’Associazione Americana per lo studio Scientifico dell’Ebraismo. Nel 2004 e nel 2005 è stato coordinatore responsabile del Rapporto strategico sulla Situazione del popolo ebraico.

Questo Rapporto, professore, è stato recentemente preso in esame dal Governo di Gerusalemme che ci ha voluto dedicare un’apposita seduta. A cosa serve. Qual è la sua importanza strategica?

Lo studio e il rapporto di cui ci siamo fatti carico serve a comprendere dove sta andando il popolo ebraico in Israele e nel mondo. Ma anche a definire nuove politiche per salvaguardare la sua esistenza e il suo sviluppo. Il 60 per cento della popolazione ebraica vive ancora nella Diaspora. Ci sono sfide comuni da affrontare? E’ necessario comprendere che un futuro non è assicurato al popolo ebraico, ma che ci sono opportunità importanti a disposizione.

Quale lezione si può trarre dai risultati di uno studio scientifico cui hanno collaborato non solo insigni demografi, ma anche altri studiosi di diverse discipline?

Che questo popolo ha molta forza, ha energie da spendere e che abbiamo il futuro nelle nostre mani. Molto dipenderà da quali scelte saranno compiute. Purtroppo la logica dei politici è spesso quella di affrontare le emergenze momentanee, perdendo di vista le prospettive più ampie. Ora si deve comprendere che grandi cambiamenti possono avvenire anche in un arco temporale abbastanza breve. Circa 15 o 20 anni. Abbiamo di fronte il rischio di declinare o la possibilità di rifiorire.

Come può essere inquadrata la situazione demografica in Israele?

Sulla terra dell’ex mandato britannico (Israele e Palestina) vivono circa 10,5 milioni di persone. Gli ebrei rappresentano circa il 50 per cento di questa popolazione. Gli arabi israeliani sono circa 1,3 milioni, mentre nei territori vivono circa 3,3 milioni di palestinesi. Se la tendenza demografica attuale sarà confermata ci troveremmo di fronte entro il 2050 a una popolazione di tutto il territorio in cui gli ebrei sarebbero solo il 35 per cento del totale. Per questo è necessario realisticamente rendersi conto che Israele non potrà essere contemporaneamente grande (cioè esente dalle concessioni territoriali), ebraico e democratico. Sarà necessario rinunciare almeno a una di queste tre prerogative e credo responsabilmente il Governo è orientato a fare delle concessioni territoriali.

Anche l’operazione di Gaza può essere motivata sulla base delle strategie demografiche?

Certo. E questa logica determinerà probabilmente anche altre future concessioni.

Ma il rapporto contiene ben altre considerazioni.

C’è per esempio un’importante analisi delle condizioni economiche e sociali che potrebbe determinare nuove politiche di investimenti. Nella classifica sulla qualità della vita dell’Onu, che misura salute, istruzione e ricchezza di 180 nazioni, Israele si piazza al ventitreesimo posto. Una collocazione onorevole, ma non ancora sufficiente per risvegliare nuove ondate di immigrazione. L’88 per cento degli ebrei che vivono nella Diaspora, per esempio, vivono oggi in Paesi che sono meglio collocati di Israele in questa classifica e solo il 12 per cento si trova in condizioni peggiori.

Strategie e politiche per garantire la continuità del popolo ebraico non bastano ancora per rispondere trovare le ragioni di questo progetto di continuità.

In quanto popolo abbiamo un progetto e un messaggio da trasmettere a tutti. Quello del tikkun aolam, di migliorare il mondo. Possiamo riuscirci, soprattutto se saremo capaci di lasciare spazio e di sviluppare la creatività.