Rivlin l’integerrimo, un falco molto amato dalle colombe

Israele

di A. B.

Lo Stato d’Israele volta pagina. Dopo Shimon Peres, il “Premio Nobel per la pace”, il nuovo Capo di Stato sarà adesso un uomo del Likud, esponente della corrente massimalista: Reuven Rivlin. Alcuni mezzi stampa si sono affrettati a sintetizzare argomentando che “dopo la colomba, arriva il falco’’. Ma come sempre, in Israele, le questioni sono molto più complesse e nulla è bianco, nero e nemmeno grigio: più lo si osserva da vicino e più Rivlin assume la forza di un personaggio scolpito, poliedrico e per nulla scontato e ovvio.

Non è un caso infatti che proprio fra le principali liste di destra in Parlamento (Likud e Israel Beitenu), Rivlin abbia racimolato ben pochi dei 63 voti necessari per la sua elezione alla Knesset. Il premier Benyamin Netanyahu – anche per ruggini personali – ha poi fatto di tutto per impedire la sua elezione. Invece fra i suoi estimatori più accesi si sono mobilitati esponenti della sinistra radicale: i laburisti Shelly Yechimovic e Micky Rosenthal; Ilan Ghilon del partito Meretz; Ahmed Tibi, di una lista araba. Sornione, il 74enne Rivlin ha mandato a dire a tutti che la sua figura sfugge alla banale dicotomia ‘colomba-falco’ e che un personaggio come il suo non può essere catalogato in maniera sbrigativa.

Cresciuto in una famiglia di Gerusalemme di notevole lignaggio e molto stimata, Rivlin è da decenni nel mondo della politica. Da membro del Likud ha mosso i primi passi nel municipio; poi è passato alla guida della squadra locale di football, il Betar Gerusalemme, legato storicamente alla destra nazionalista israeliana; quindi è approdato alla Knesset e per circa dieci anni ne è stato il Presidente.

Da Presidente del Parlamento Rivlin, il massimalista del Likud, il sostenitore a spada tratta dei coloni, ha fatto scintille scontrandosi successivamente con Ariel Sharon, con Olmert, e anche con Netanyahu. Custode della purezza ideologica del Revisionismo nazionalista, nel 2005 Rivlin ha duramente attaccato Sharon per il sorprendente disimpegno dagli insediamenti di Gaza e per lo sgombero forzato di 8000 coloni. È anche andato sul terreno per solidarizzare con quanti venivano costretti a sfollare.

Più forte ancora in lui è il senso delle Istituzioni e, nel caso particolare, della indipendenza del Parlamento. Non ha dunque stupito più di tanto che nel 2010, quando la parlamentare araba Hanin Zuabi fu attaccata (anche fisicamente) alla Knesset per aver participato alla missione della Marmara – la nave turca che cercò di spezzare il blocco di Gaza e sulla quale nove cittadini turchi rimasero uccisi in un blitz della marina israeliana – proprio Rivlin l’abbia difesa con tenacia e abbia impedito la sua espulsione, invocata dai duri del Likud. Prima ancora, Rivlin era stato uno dei pochi membri della Knesset (assieme a Yossi Sarid del Meretz, sinistra sionista), a voler sempre ricordare il genocidio degli armeni, nella data storica di memoria alla fine di aprile.

Di volta in volta i Premier gli mandavano a dire che non era il caso di stizzire la Turchia e irritarla con la questione armena: Turchia con la quale Israele manteneva – prima dell’incidente della Mavi Marmara – una cooperazione strategica di primo piano. Ma Rivlin (e Sarid) ogni anno invitavano egualmente i rappresentanti della comunità armene di Gerusalemme sulla tribuna degli ospiti di onore e dedicavano un’ora di dibattito, in seduta plenaria, alle lezioni storiche che il popolo di Israele poteva e doveva trarre dal genocidio del popolo armeno.

L’antipatia di Netanyahu nei suoi confronti ha due livelli: uno personale, l’altro istituzionale. A quanto pare, incontrando attivisti del Likud, Rivlin – un personaggio di carattere gioviale ed espansivo, volendo anche un po’ guascone – si sarebbe lasciato sfuggire una frase incauta: “Diversamente da Bibi (Netanyahu) a casa mia non comanda mia moglie’’. Vera o falsa che fosse, la citazione è giunta egualmente alle orecchie di Sarah Netanyahu, che è rimasta letteralmente fulminata. Per oltre un anno, Rivlin non ha più potuto scambiare nemmeno una parola con il Primo ministro. Inoltre, in occasione di una alleanza tattica fra il Likud e Kadima, Rivlin – da presidente della Knesset – chiese a Netanyahu di rendere pubblici ai deputati gli accordi raggiunti. Il premier si agitò per alcuni minuti sulla poltrona, cercando di svicolare: ma Rivlin fu implacabile. Allora Netanyahu chiese l’interruzione della seduta. Il Premier si sarebbe legato al dito quei minuti di supplizio e, alla prima occasione, avrebbe organizzato la defenestrazione di Rivlin e la sua sostituzione con un personaggio ritenuto più malleabile, Yuli (Yoel) Edelstein.

Nei giorni seguiti alla elezione, Rivlin ha chiarito che non cercherà di entrare nei panni di Peres, che – ha ammesso – non gli sono congeniali. Non si esprimerà sulla questione palestinese: né a favore di un accordo, né contro. Le sue convinzioni politiche da vecchio Revisionista “sono un’utopia”, ha riconosciuto, e non sono destinate a realizzarsi. Se il governo gli dirà un giorno di aver raggiunto un accordo con i palestinesi egli, ha assicurato, non sarà da impedimento: anche se dovesse implicare il trasferimento forzato dalle loro abitazioni di decine di migliaia di coloni. “Farei tutto il possibile affinché quell’accordo fosse realizzato”, ha promesso.

Un punto appare chiaro: a differenza di Peres, non cercherà di essere un “super-ministro degli esteri” perennemente in volo fra le capitali del mondo. Lui guarderà invece all’interno della società israeliana: fra gli affamati (ebrei ed arabi); fra i diseredati; fra i bisognosi; laddove la ingiustizia sociale grida ad alta voce. Gli sarà da esempio, ha precisato, un predecessore laburista: Yitzhak Navon. E conoscendolo, sarà così.

Falco? Colomba? La questione non si pone perché Rivlin è stato eletto innanzi tutto per il suo profondo rispetto delle istituzioni, e per la dirittura morale. “In definitiva – ha sintetizzato un commentatore televisivo – la Knesset ha scelto il candidato che aveva meno appartamenti”: nel caso specifico, uno solo, comprato decenni fa, in un rione borghese di Gerusalemme.

Nei mesi antecedenti l’elezione del nuovo Capo di Stato, diversi candidati si sono trovati con loro sorpresa torchiati dall’opinione pubblica. Poi messi alla gogna. Infine convocati da inquirenti della polizia. Il caso più clamoroso è quello di Benyamin Ben Eliezer, candidato del partito laburista, ex Ministro della Difesa, che a pochi giorni dal voto alla Knesset ha dovuto spiegare a inquirenti della polizia come avesse potuto acquistare a Jaffa una penthouse da 9 milioni di shekel (1,8 milioni di euro) e come mai avesse accettato per quella transazione il generoso finanziamento di un uomo di affari oggetto, peraltro, di una indagine separata della polizia. «Sono stato vittima di una esecuzione mirata», ha denunciato Ben Eliezer, alludendo ai suoi rivali politici. Ma pochi giorni dopo, nella sua cassetta di sicurezza, gli inquirenti hanno anche trovato un’ingente somma di denaro, in contanti. Costretto ad abbandonare la corsa alla Presidenza, Ben Eliezer rischia adesso di seguire la sorte dell’ex premier Ehud Olmert, condannato a sette anni di carcere per corruzione.

Come lui, altri candidati (Meir Shitrit, Dalia Yitzkik) sono usciti rovinosamente di scena quando nei loro confronti la Rete si è attivata per denunciare la loro simbiosi con l’alta finanza.  Secondo un commentatore di Haaretz, i naufragi di Olmert, Ben Eliezer, Shitrit e Yitzik  derivano dalla perentoria esigenza degli israeliani che i loro governanti pensino meno ad arricchirsi, e di più agli interessi della collettività. Rivlin – questo è sfuggito alla stampa internazionale – è stato scelto non perché falco oppure colomba: ma perché la sua persona appare in sintonia con una nuova atmosfera, un diverso spirito del tempo. Una onda lunga, forse, del movimento di protesta degli ‘indignati’ che agitò la memorabile estate del luglio 2011, fra gli attendamenti del Boulevard Rotschild di Tel Aviv. E che, come un ordigno a orologeria, ha scatenato i suoi effetti molto dopo, arrivando fin sugli scranni della Knesset.