Per anni e anni le autorità israeliane

Israele

dovevano correre per il mondo e supplicare gli ebrei di investire in Israele. Mi ricordo come Pinhas Sapir, allora ministro dell’industria, andasse da un banchetto a un altro per convincere gli ebrei in Europa e negli Stati Uniti a investire anche in Israele.
Oggi la situazione è radicalmente cambiata. Secondo la Banca d’Israele nei mesi gennaio-marzo 2005 gli stranieri hanno investito nella Borsa di Tel Aviv 3 miliardi di dollari, ed il totale degli investimenti esteri in Borsa raggiunge alla fine di marzo i 56 miliardi di dollari.
La ragione della corsa alle azioni israeliane da parte di banche e istituti finanziari è semplice: nel primo trimestre di quest’anno il valore del loro investimento inziale è salito del 32%. Inoltre si registrano investimenti diretti in società israeliane per un totale di 33,5 miliardi di dollari con un incremento di 1,3 miliardi nel trimestre suddetto.
L’economia d’Israele si è pienamente ristabilita e nel 2004 il Pil è aumentato del 4,2%. Questo netto miglioramento, rispetto agli anni precedenti di recessione, si verifica senza inflazione alcuna. Grazie alla stabilità alla quale contribuì a suo tempo anche il governatore della Banca d’Israele David Klein, l’inflazione è sparita e si prevede per l’anno in corso un aumento del Pil del 3,5%, con un’inflazione dell’1%. Per il 2006 si prevede un incremento della crescita pari al 4,5% del Pil. La moneta del paese, lo shekel, si è apprezzata sia di fronte al dollaro sia di fronte all’euro, e gli esportatori sperano in una piccola svalutazione. Lo shekel è oggi una moneta del tutto convertibile, priva di controlli, e stabile.
Questa situazione brillante è naturalmente collegata a quella politica e alla tregua che bene o male i palestinesi hanno osservato. Inoltre la democrazia israeliana funziona bene, con una stampa del tutto libera e con una coalizione governativa che gode di una confortevole maggioranza parlamentare.
Il debito estero di Israele – ci dice il professor Haim Barkay, dell’Università di Gerusalemme – è di circa 17 miliardi di dollari mentre la Banca d’Israele detiene alla fine del primo trimestre del 2005, 27 miliardi di dollari: il saldo è quindi positivo. Inoltre il debito estero è sceso di 5,4 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2005. Il deficit del bilancio governativo è sceso dal 5,6% del Pil nel 2003, al 3,86% nel 2004. Secondo i parametri di Maastricht, ai quali Israele non è impegnato ma che servono da riferimento, il deficit non dovrebbe superare il 3%.
Il settore trainante dell’economia israeliana è di nuovo quello del “high tech”. Israele ha un netto vantaggio in questo settore sia per le ricadute civili dall’elettronica militare, sia per l’arrivo degli immigranti dalla Russia che hanno portato anche ricercatori e scienziati di valore, specializzati per esempio nella matematica teorica.
Verso la fine del 2004 sono riapparsi gli investitori stranieri e secondo la Banca di Israele gli investimenti esteri sono aumentati del 10% nel 2004. Il 91% di tali investimenti sono stati effettuati sul mercato borsistico di Tel Aviv. La Borsa di Tel Aviv che nel 2004 seguiva l’andamento di quella di New York, dal dicembre 2004 se ne è distaccata con una salita netta dell’indice “Tel Aviv 100”. Se il ritiro dei 21 insediamenti dalla striscia di Gaza si effettuerà come previsto nell’agosto 2005, ciò rafforzerà l’ottimismo degli operatori economici.
L’innovazione tecnologica in Israele prodotta nelle Università, negli istituti di ricerca scientifica e nelle “start up” ossia le industrie nascenti, riesce a trovare i capitali necessari ad espandersi. Spesso società di tre o quattro anni di vita vengono vendute per centinaia di milioni di dollari a giganti americani. Ciò è facilitato talvolta dalla presenza di tecnici israeliani nella Silicon Valley. Un altro metodo di finanziamento della ricerca è quello delle società sorte accanto agli istituti scientifici. Così per esempio la Yeda, fondata nel 1959 accanto all’Istituto Weizmann di Rehovot, è incaricata di commercializzare le scoperte degli scienziati. Nel 2004 ha ottenuto 3,5 miliardi di dollari di introiti per tre soli prodotti: il Copaxone, farmaco per la sclerosi multipla venduto alla Teva; il Rebif, farmaco venduto alla Ares Serono, e un algoritmo per la criptografia venduto alla News Corporation per essere usato nella televisione satellitare.
Nel ramo dell’immobiliare gli investimenti esteri nei mesi gennaio-maggio 2005 ammontano a 438 milioni di dollari, e per tutto l’anno si prevede un investimento estero di un miliardo di dollari. Dal 1998 ad oggi la cifra di investimenti esteri raggiunge 2,7 miliardi di dollari.
In un settore di avanguardia come la biotecnologia, gli investimenti esteri sono in forte aumento. Nell’ultimo trimestre del 2004 hanno raggiunto i 130 milioni di dollari e in tutto l’anno la somma di 268 milioni di dollari. È un settore molto promettente, ma è anche rischioso e i proventi maturano lentamente.
I fondi di venture capital israeliani sono alla ricerca di circa 4 miliardi di dollari e potrebbero costituire un buono sbocco per l’investitore pronto a rischiare.
Il 9 giugno scorso il neo eletto governatore della Banca d’Israele, prof. Stanley Fischer, ha raccomandato di aumentare gli investimenti nell’educazione e nella tecnologia, ed ha aggiunto: “Essere in prima fila per l’innovazione tecnologica è essenziale per la crescita economica”. Fischer mette in guardia contro l’acuirsi del divario sociale e dell’ineguaglianza, e raccomanda di continuare ed espandere gli aiuti governativi alla Ricerca e Sviluppo che sono stati un successo.
L’investitore estero che si diriga alla Borsa di Tel Aviv può utilizzare i servizi di consulenza delle maggiori banche israeliane per scegliere le azioni o i fondi comuni più allettanti. Gli uomini d’affari troveranno qui vari enti pronti ad aiutarli. A tutti raccomandiamo di venire e di effettuare una visita in Israele per rendersi conto personalmente della realtà del paese. E che i vostri investimenti crescano e si moltiplichino.

Sergio Minerbi, israeliano di origine italiana, già professore universitario e diplomatico, è scrittore e giornalista esperto di economia e di rapporti Israele-Vaticano.

(per gentile concessione di www.israele.net)