Netanyahu ottiene l’approvazione del gabinetto di sicurezza per la conquista di Gaza City, nonostante gli avvertimenti dell’IDF

Israele

 di Anna Balestrieri

Il governo israeliano ha approvato nella notte tra giovedì e venerdì 8 agosto un piano presentato dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu per conquistare Gaza City. La decisione è stata presa nonostante l’opposizione espressa dai vertici militari, che temono un peggioramento della situazione umanitaria e rischi gravi per gli ostaggi ancora detenuti da Hamas.

Il piano approvato: un’operazione mirata ma con sviluppi potenziali
Secondo quanto comunicato dall’ufficio del Primo Ministro, l’operazione è formalmente limitata a Gaza City, centro densamente popolato nel nord della Striscia. Tuttavia, alcune dichiarazioni ufficiali lasciano intendere che la campagna potrebbe estendersi successivamente alle restanti aree non ancora sotto controllo israeliano.

Netanyahu aveva precedentemente affermato in un’intervista a Fox News la volontà di conquistare l’intera Striscia di Gaza, ma il piano approvato risulta più limitato nella sua formulazione attuale. Non si è parlato ufficialmente di “occupazione”, ma di “presa di controllo”, scelta lessicale dettata da considerazioni legali relative alle responsabilità civili.

Cinque condizioni per porre fine alla guerra
Il gabinetto ha approvato all’unanimità cinque principi da considerare indispensabili per la cessazione del conflitto:

  1. Disarmo totale di Hamas
  2. Rilascio di tutti gli ostaggi
  3. Demilitarizzazione della Striscia di Gaza
  4. Controllo della sicurezza da parte di Israele sul territorio
  5. Creazione di un’amministrazione civile post-bellica che escluda sia Hamas sia l’Autorità Palestinese

L’esclusione dell’Autorità Palestinese complica gli scenari futuri, poiché diversi Paesi arabi condizionano il loro sostegno alla ricostruzione a una partecipazione di Ramallah. Ciononostante, Netanyahu ha affermato che il controllo verrà passato a “forze arabe” dopo la fine dell’offensiva.

 

Critiche e preoccupazioni da parte dell’IDF
Durante la lunga riunione del gabinetto, durata 10 ore, il Capo di Stato Maggiore Eyal Zamir ha espresso una netta opposizione all’operazione. Secondo quanto riportato dai media israeliani, Zamir ha sottolineato alcuni aspetti controversi. La vita degli ostaggi sarà messa ulteriormente in pericolo. L’esercito è logorato e le attrezzature hanno bisogno di manutenzione. Una conquista totale richiederà dai 12 ai 24 mesi, con cinque mesi di combattimenti intensi iniziali.

Zamir ha presentato un piano alternativo, giudicato però insufficiente dalla maggioranza dei ministri per sconfiggere Hamas e ottenere il rilascio degli ostaggi.

 

Civili palestinesi e condizioni umanitarie
Circa 800.000 palestinesi, in gran parte sfollati, si trovano attualmente a Gaza City. Il piano prevede la loro evacuazione verso sud entro il 7 ottobre 2025, data simbolica che coincide con il secondo anniversario dell’attacco di Hamas a Israele.

L’IDF lancerà poi l’offensiva via terra, circondando la città e puntando all’eliminazione dei miliziani di Hamas ancora presenti. Un funzionario ha indicato che successivamente si procederà con l’occupazione delle restanti aree.

Il governo ha garantito la distribuzione di aiuti umanitari fuori dalle zone di combattimento, anche attraverso l’ampliamento della discussa Gaza Humanitarian Foundation, che aumenterà i punti di distribuzione da 3 a 16, operativi 24 ore su 24.

 

Famiglie degli ostaggi e opinione pubblica divisa
La decisione ha suscitato forte opposizione da parte delle famiglie degli ostaggi, che temono conseguenze fatali per i loro cari. Giovedì notte, migliaia di manifestanti hanno bloccato strade a Tel Aviv in segno di protesta, sfidando l’intervento della polizia.

Secondo queste famiglie e numerosi osservatori, l’approccio militare non ha portato risultati concreti sul fronte dei negoziati per la liberazione degli ostaggi. Hamas, nel frattempo, ha adottato tattiche di guerriglia, provocando circa 36 vittime tra i militari israeliani dopo la fine della tregua a marzo, quando Israele ha avviato l’operazione “Carri di Gedeone”.

Contesto politico e strategico
Netanyahu è fortemente condizionato dalla sua coalizione, che include forze di estrema destra favorevoli a un’occupazione permanente della Striscia e alla ricostituzione degli insediamenti israeliani.

Al contempo, il premier è accusato dai critici di non aver mai promosso seriamente un’alternativa politica a Hamas, contribuendo a prolungare il conflitto e rafforzare, paradossalmente, il ruolo del movimento islamista. La sua posizione ufficiale resta quella secondo cui nessuna forza alternativa potrà emergere finché Hamas non sarà completamente annientata.

 

Bilanci umani e prospettive
Il conflitto è iniziato con il massacro del 7 ottobre 2023, quando 5.600 miliziani di Hamas hanno attaccato Israele, provocando 1.200 morti e 251 ostaggi.

Secondo fonti israeliane, circa 20.000 combattenti di Hamas sono stati uccisi entro gennaio 2025, cui si aggiungono 1.600 miliziani eliminati durante l’attacco iniziale. Le forze israeliane hanno perso 459 uomini, tra cui poliziotti e civili del Ministero della Difesa.

Il Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, parla di oltre 60.000 morti o dispersi, ma i dati non distinguono tra civili e combattenti e non sono stati verificati da fonti indipendenti.

Il piano approvato rappresenta una nuova fase del conflitto, che mira alla sconfitta totale di Hamas ma solleva gravi interrogativi umanitari, militari e politici. Le tensioni interne, le divisioni tra alleati, le richieste delle famiglie degli ostaggi e la pressione internazionale pongono Israele davanti a una scelta difficile tra continuità militare e apertura diplomatica.

L’esito delle prossime settimane potrebbe ridefinire gli equilibri nella regione, ma anche segnare un punto di svolta nella relazione tra leadership politica, società civile e apparato militare israeliano.