La “ricetta” Mofaz

Israele

Rilanciare il processo di pace.

La ‘ricetta’ Mofaz per puntare alla pace: uno Stato palestinese dai confini provvisori, smilitarizzato, esteso sul 60 per cento della Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, dove il 99 per cento dei palestinesi dei Territori vivano senza più essere soggetti all’autorità israeliana. Uno Stato che potrebbe presentarsi alla ribalta internazionale ”al piu’ presto”, anche fra un anno. E se vincesse elezioni democratiche nei Territori, anche Hamas sarebbe un interlocutore accettabile per Israele, sempre che manifestasse la volontà di negoziare con lo Stato ebraico. Sarebbe infatti ”un Hamas con un’agenda diversa”, in linea con le richieste avanzate dal Quartetto (Usa, Onu, Russia, Ue). È la ricetta elaborata per mesi dietro le quinte dal n. 2 di Kadima (opposizione) Shaul Mofaz, ex capo di stato maggiore ed ex ministro della difesa.

In una conferenza stampa a Tel Aviv, Mofaz – che spera di essere il prossimo premier di Israele – non ha lesinato critiche né al primo ministro Benyamin Netanyahu (Likud) né alla leader del suo partito, Tzipi Livni. ”La quiete nei Territori è ingannevole – ha avvertito con toni allarmati –
Bisogna far presto, altrimenti andiamo verso un confronto violento, grondante di sangue”.
Il capo di Stato Shimon Peres e il leader laburista Ehud Barak lo hanno incoraggiato ad illustrare al pubblico il suo progetto di pace concepito in due fasi: la prima è quella dello Stato provvisorio e della annessione ad Israele di zone ebraiche di insediamento; la seconda prevede negoziati accelerati sullo
status definitivo sotto gli auspici degli Stati Uniti nonché lo sgombero dalla Cisgiordania di un quinto dei coloni, circa 60 mila. ”In definitiva i palestinesi riceverebbero quasi tutta la Cisgiordania”, ha previsto.

Per tutta la giornata la Livni si è chiusa in un silenzio totale, carico di elettricità e di malumore. Certo l’approccio di Mofaz non la persuade. A Gaza, Hamas è stato colto di sorpresa. In un primo momento un suo portavoce, Mushir al-Masri, si è compiaciuto che perfino un ex generale come Mofaz ”abbia compreso, sia pure in ritardo, che Hamas non può essere ignorato” quando si cerca una soluzione del conflitto. Presto però i toni militanti hanno prevalso: Hamas – ha detto Fawzi
Barhum – ”non farà mai compromessi sui diritti del popolo palestinese”. Il riconoscimento di Israele non ci sarà. Al massimo Hamas può offrire una tregua di lunga durata, in cambio di un ritiro israeliano da tutti i territori occupati nel 1967, Gerusalemme est compresa.
Il ‘Piano Mofaz’, è stato notato, è affine alla politica intrapresa nel 2005 da Ariel Sharon con il ritiro da Gaza, nei mesi antecedenti la fondazione di Kadima. Riflette da un lato un profondo scetticismo sulla possibilità di concludere un accordo definitivo di pace con l’Anp e dall’altro ribadisce la
necessità di garantire ad Israele confini difendibili. All’ANSA Mofaz ha spiegato che i palestinesi riceverebbero subito il 60 per cento della Cisgiordania e beneficierebbero di continuità geografica senza che fosse necessario per il momento cambiare la dislocazione delle forze armate israeliane.
Lo ‘Stato provvisorio’ da lui proposto avrebbe un altro vantaggio: consentirebbe ad Israele di ‘giocare di anticipo’ di fronte alle dichiarazioni del presidente americano Barack Obama e del premier palestinese Salam Fayad che puntano ad uno Stato palestinese (sulla intera Cisgiordania) nei prossimi due anni.
Il ‘Piano Mofaz’, ha notato Ari Shavit su Haaretz, ”è il progetto più serio e più realizzabile elaborato da un dirigente israeliano negli ultimi anni”.