Yair Lapid (AP Photo/Miriam Alster/Flash90)

Knesset: un leader naturale

Israele

di Mara Vigevani

Yair Lapid (AP Photo/Miriam Alster/Flash90)

Non vuole essere né contro i religiosi, né contro i coloni; è sionista e ama il suo Paese più di ogni altra cosa. Vuole rappresentare gli israeliani silenziosi, di cui nessuno parla ma che portano avanti il Paese: coloro che lavorano, pagano le tasse, fanno il servizio militare. Quella fetta di Israele normale, insomma, che vuole una vita comoda, all’occidentale e che è stufa di lavorare anche per tutti gli altri. Yair Lapid, col suo nuovo partito, vuole essere la loro voce e il loro uomo alla Knesset.

Bello, popolare, mediatico, Lapid, 48 anni, è l’anchorman del notiziario più seguito, quello del venerdì sera sul Canale Due, ma è anche scrittore con 12 romanzi all’attivo, giornalista, editorialista di Ma’ariv. Ex playboy, ora è felicemente sposato con la bella Lihi ed è padre di tre ragazzi. Ha respirato giornalismo fin dalla nascita: il nonno fu uno dei fondatori del quotidiano Ma’ariv, il padre uno dei principali editorialisti e la madre scrittrice di best sellers. Fu il primo in famiglia ad avere il coraggio di passare “dall’altra parte” e accettare la proposta di Yedioth Ahronot, il più grande quotidiano israeliano e maggiore concorrente di Ma’ariv, per scrivere un commento settimanale. Negli anni gli argomenti trattati sono passati dalla comune vita di famiglia alle problematiche per il futuro dello Stato ebraico. I suoi articoli possono senza dubbio essere considerati il manifesto del “sano” mainstream israeliano, i “benpensanti” del ceto medio. Laico, ma attaccato alle radici ebraiche, favorevole a compromessi con i palestinesi, senza dimenticare le volontà dei coloni, progetta una Israele occidentale ma con un aroma mediterraneo. È figlio di Tomy Lapid, di origini ungheresi, sopravvissuto all’Olocausto. Fu il padre, prima di lui, ad abbandonare il giornalismo per la politica: fondò il partito “Shinui” (Cambiamento), per controbilanciare la forza politica degli ultraortodossi. Conquistò 15 seggi alle elezioni, ma alla seconda tornata non riuscì a mantenere il successo. Yair lo ha già fatto sapere: vuole essere diverso, più “politico” del padre. In un suo post su facebook ha già lanciato la prima campagna intitolata: dove sono i soldi? Questo è ciò che interessa al mainstream israeliano: dove sono i soldi per una migliore educazione? Dove quelli per aiutare le giovani coppie a comprare un appartamento? Dove sono i soldi che servono ad aiutare i più deboli? Per i pensionati e gli ultimi sopravvissuti all’Olocausto? E in generale dove sono i soldi che rendono un Paese “normale” e confortevole per i suoi cittadini? Le risposte le sanno tutti: i soldi sono nella sicurezza (che spesso li spreca), nei sussidi alle colonie, ai religiosi e nelle mani delle poche famiglie che detengono l’economia del Paese. Lapid Junior si butta in politica con la volontà di dare sostegno a chi lavora duro e non sempre vede i frutti del suo lavoro.

Senza dubbio lo charme e la simpatia di Lapid lo aiuteranno a raccogliere voti, ma soprattutto la sua onestà e la sensazione che sia “l’uomo della strada”, che la pensi esattamente come l’israeliano medio.

Yossi Verter, un giornalista del quotidiano israeliano Haaretz, ha scritto che Lapid si presenta come “L’israeliano perfetto, quello che ci capisce, che ha fatto il servizio militare e che paga le tasse, quello che parla la nostra lingua ed esprime i nostri desideri”.

In molti però lo criticano, dicono che il suo partito indebolirà Kadima di Tzipi Livni e il Labour, rafforzando quindi la destra israeliana. L’ingresso in politica di Lapid sembra preoccupare anche la maggioranza di governo: è in discussione alla Knesset una proposta di legge, molto criticata, che sembra avere come unico scopo quello di ostacolare l’impegno politico dell’ex conduttore televisivo. La legge, il cui iter parlamentare sta improvvisamente accelerando, era già stata discussa nel giugno 2010: stabilisce che i giornalisti debbano aspettare alcuni mesi (da sei a un anno) dalla fine dell’esercizio della loro professione, prima di poter essere eletti a cariche pubbliche.