Nir Barkat (al centro) con Eyal Avneri e Victor Massiah a Milano l'8 maggio

“Israele è impegnata in una guerra contro l’alleanza del male, che vuole una Guerra santa”

Israele

di Ilaria Myr
«Ci sono due grandi alleanze: l’alleanza della pace e quella del male. Ne fa parte Hamas, che ci ha colpito il 7 ottobre con una brutalità che non vedevamo dalla Shoah, ma anche l’Iran, gli Houthi, Hezbollah, i Fratelli Musulmani e il più pericoloso di tutti: il Qatar, che li finanzia. L’obiettivo di questa alleanza del male è che il mondo sia musulmano: gli Usa e Israele sono Satana, e vogliono uccider e tutti in una logica di guerra santa. Mentre dell’altro schieramento fanno parte Israele, i paesi occidentali e gli Stati Uniti, così come i Paesi arabi, come Egitto (da 40 anni) e Giordania (35), che hanno siglato la pace negli scorsi decenni e che temono l’Iran, a cui si aggiungono quelli che hanno siglato gli Accordi di Abramo, come gli Emirati Arabi, che riconoscono che non è una questione territoriale, ma di Guerra Santa». Con queste parole Nir Barkat (al centro nella foto), Ministro dell’economia israeliano, per dieci anni sindaco di Gerusalemme, ha introdotto l’incontro organizzato mercoledì 8 maggio dal Keren Hayesod per i suoi sostenitori a Milano, una sala del SuperLab Bicocca. Alla presenza di alcuni membri dell’organizzazione, di partecipanti alla Women’s Division e di alcuni rappresentanti del consiglio della comunità ebraica di Milano e il vicepresidente dell’Ucei, il ministro, invitato dallo shaliach del Keren Hayesod Eyal Avneri (a sinistra) e dal presidente in Italia Victor Massiah (a desra),t ha dato ai presenti un quadro molto chiaro della difficile situazione che sta affrontando Israele.

Prima di tutto, si è soffermato sul ruolo centrale del Qatar, il grande finanziatore del terrore nel mondo, “un lupo travestito da agnello”. “Mentre l’Iran è concentrato sul versante militare il Qatar lo è su quello economico: finanziano Isis, Hamas, Hezbollah e altre sigle nel mondo, non solo contro Israele. Ma comprano anche l’opinione pubblica: hanno speso negli ultimi vent’anni di dollari nelle università, nei social media – hanno 40.000 persone che lavorano per loro sulle varie piattaforme social -. Ma i governi israeliani e il mondo ebraico hanno fino a oggi ignorato questa sfida, e il 7 ottobre ci ha dimostrato che siamo davanti a una minaccia esistenziale. L’attacco missilistico dell’Iran, che abbiamo sventato, ce lo ha confermato: Israele e il mondo ebraico sono minacciati e dobbiamo essere uniti in questa battaglia”.

Barkat ha sottolineato come, dal ritiro di Israele, nel 2006, a Gaza abbiano usato enormi finanziamenti per costruire le armi i tunnel e organizzare la guerra contro la guerra, nascondendo le infrastrutture nei luoghi civili (scuole, ospedali, moschee, case). “Per questa guerra che stiamo combattendo a Gaza abbiamo due obiettivi: portare a casa gli ostaggi e eliminare Hamas, così come furono eliminati i nazisti alla fine della seconda guerra mondiale. Stiamo quindi cercando a Gaza di distruggere le infrastrutture e purtroppo sono tutti edifici civili, ma non abbiamo scelta. Lo facciamo con la metodologia della decrescita di vittime civili: quando individuiamo un palazzo di Hamas, mettiamo sopra il tetto una bomba, che scoppierà un’ora dopo, in modo di avvisare agli abitanti e consentire loro di scappare”.

Per perseguire questi obiettivi, ha spiegato Barkat, l’esercito è entrato a Rafah, con il consenso di tutto il gabinetto di sicurezza, composto dalle diverse forze politiche, e sostenuto dal 90% della popolazione. “L’impegno dell’esercito è ridurre il più possibile le morti civili, è nel nostro Dna, Ma purtroppo in guerra è inevitabile.  Sul numero delle vittime a gaza, che è riportato essere più di 34.000, non si considera che almeno la metà sono terroristi. Nelle guerra è sempre stato così:  I morti americani a Pearl Harbour sono stati 2.400, la reazione americana ha causato 3,5 milioni vittime giapponesi. I morti nelle Torri Gemelle furono 2.900, gli iracheni 4.000”.

Per il futuro l’obiettivo è chiaro: “rafforzare l’alleanza per la pace, togliendo fondi e forza al Qatar e allo schieramento terroristico, coinvolgendo maggiormente gli emirati e i sauditi nella nostra alleanza, in modo che influenzino i palestinesi. Gli israeliani meritano dei vicini come sauditi ed Emirati, e i palestinesi meritano di diventare come queste popolazioni: nel momento in cui i palestinesi sceglieranno di abbandonare la guerra per la pace troveranno Israele disponibile a fare la pace con loro, così come abbiamo fatto con gli altri vicini. I palestinesi dovranno cambiare il loro sistema educativo, che incita a uccidere un ebreo dando a chi lo fa 1 milione di dollari, così come hanno fatto di recente gli emirati seguiti dai sauditi tre mesi fa. Hanno scelto la via della pace, e vogliono avvicinarsi al resto del mondo”.

Venendo all’economia, Barkat ha spiegato come il 25% del Pil di Israele viene dalla tecnologia, contro ad esempio il 7 % negli Usa.

«Abbiamo il classico high tech, e siamo molto attivi nelle tecnologie per il mondo della salute e biologia (le health life sciences), e con oltre 160 startup in questo settore, siamo secondi al mondo dopo gli Usa, con un altissimo livello di innovazione – ha spiegato -. Grazie alle tecnologie che abbiamo, sarà l’intelligenza artificiale a cambiare totalmente il mondo medico. Siamo molto forti anche computer science: pensate all’app Waze, che è stata inventata in Israele. Ma ci stiamo anche concentrando nell’Acquatech, con innovazione che utilizza l’acqua marina, e agrotech, con tecnologie per ottimizzare l’agricoltura, così come nello sviluppo di tecnologie nel deserto. Ad oggi esportiamo dall’hi tech per 1,65 miliardi di dollari, e il mio obiettivo è di arrivare a 3 miliardi nei prossimi 15 anni. E parleremo anche con l’Italia per esportare la nostra tecnologia. Israele è resiliente: abbiamo un debito del 65% rispetto al PIL, nonostante la guerra (l’Italia è al 137%, ndr)».

Rispondendo alle domande dei presenti, Barkat ha affrontato diversi temi caldi. Innanzitutto il rapporto con Fata e Turchia. «Fatah ha ancora l’obiettivo di distruggere Israele: basta ascoltare quello che dicono in arabo (non inglese). Il loro obiettivo è uccidere gli ebrei, non creare uno Stato. Mentre la Turchia comincia ad avere politiche problematiche soprattutto per il commercio, ma Israele troverà un modo per fare a meno di loro».

Barkat ha poi parlato dell’impatto economico della guerra. «Abbiamo centinaia di famiglie che hanno perso i loro amati, 10.000 feriti, oltre a tutti gli sfollati dal sud e dal nord. Il governo si occupa quindi di costruire scuole e infrastrutture per loro, così come di aiutare economicamente chi è stato impattato fortemente dal 7 ottobre. Abbiamo riservisti che per mesi hanno lasciato il lavoro, ma questo non avrà conseguenze perché avremo sicuramente una crescita dopo la guerra». Interessante è anche l’impegno di Israele nel settore della sicurezza, che esporta l’80% di quello che viene prodotto. «E sicuramente questa quota crescerà nel futuro, per l’interesse degli altri Paesi».

Un tema che è più volte emerso dalle domande del pubblico è stata la difficoltà di difendere le istanze di Israele in un momento così difficile e drammatico. «È importante collaborare con le comunità e le organizzazioni nei vari Paesi per fare in modo che lavorino sulla comunicazione, facendo conoscere tutti i fatti che vengono ignorati – ha spiegato Barkat -. Stiamo investendo proprio per sviluppare queste attività, cercando di combattere la propaganda contro di noi, prima di tutto sui social. Un altro fronte sui cui lavorare è fermare gli investimenti del Qatar sui media e nelle università. E poi dobbiamo spiegare meglio quello che succede in guerra quotidianamente, ma non attraverso esponenti militari. In generale si deve fare emergere quello che oggi è Israele: uno Stato resiliente, che fornisce tecnologie utili al mondo e che lotta contro il terrorismo che minaccia tutto l’Occidente».

 

(Credit foto: Andrea Jarach)