Iron Dome: quando la fantascienza diventa realtà

Israele

di Ilaria Myr

P1070626Era un’atmosfera piena di emozione, interesse e ammirazione quella che si respirava mercoledì sera nell’Aula Magna della Scuola Ebraica in occasione dell’incontro con Daniel Gold, l’inventore del sistema di protezione antimissilistica Iron Dome, organizzato dal Keren Hayesod. Oltre 400 le persone di tutte le fasce di età – molti anche i ragazzi – che hanno affollato la sala. A fare gli onori di casa Samy Blanga, presidente del Keren Hayesod, e Andrea Jarach, che ha introdotto i discorsi iniziali. Walker Meghnagi, presidente della Comunità di Milano, ha sottolineato il ruolo fondamentale del Keren Hayesod nel sostenere Israele. Riccardo Pacifici, venuto apposta da Roma, ha invece riflettuto su quanto la condivisione continua delle notizie durante il conflitto abbia unito più che mai la diaspora e Israele, ognuno preoccupato per le sorti dell’altra parte.

Una standing ovation ha poi accolto Dani Gold, il “padre” di Iron Dome, da tutti i presenti riconosciuto come l’ideatore di un vero “miracolo”. Durante il suo intervento, Gold ha catalizzato l’attenzione dei presenti, raccontando prima di tutto come è nato il progetto e le numerose difficoltà incontrate all’inizio.
«L’idea è nata nel 2004, quando sono stato nominato capo della ricerca e sviluppo del Ministero della Difesa. Studiando il problema dei missili che arrivavano in Israele, mi sono reso conto che dovevamo intervenire in modo urgente: cominciavano a esserci varie vittime civili. Ho quindi chiesto un budget per sviluppare un progetto, ma mi fu rifiutato. La motivazione era che dal punto di vista scientifico un progetto di questo tipo non poteva essere realizzato: tutti pensavano che fosse fantascienza. “Ci vorranno 15 anni, e milioni di dollari – dicevano – non dà garanzie e non è strategico”. Come responsabile della ricerca e sviluppo, avevo però un budget che mi veniva da 1500 start up che gestivo, e grazie anche al contributo del mondo dell’industria, con 40 milioni di dollari iniziali abbiamo iniziato il progetto. Mi ero ripromesso che in due anni avrei convinto il governo ad aderire al progetto, aggiungendo altri investimenti, e così è stato; anche dopo, però, è stato un percorso difficile per i vari ostacoli burocratici e tecnologici. Ma quando, nell’aprile del 2011, è arrivato il “momento zero”, tutto è funzionato alla perfezione». Il sistema, partito con fondi israeliani, ha poi goduto di finanziamenti americani, che ne hanno reso possibile lo sviluppo.

irondomeslideAttraverso numerosi video e slide – ricreando uno scenario davvero fantascientifico – Gold è riuscito a spiegare il difficile funzionamento di questo precisissimo sistema, che tramite appositi radar è in grado di calcolare la traiettoria balistica del razzi e di intercettarli efficacemente, e inviare contro di essi, tranmite le cosiddette “batterie”, un missile particolare capace di annientare, in tutte le condizioni climatiche, i razzi lanciati dai nemici da luoghi nel raggio di 70 km. «Ciò significa che il sistema riesce a “capire” se un missile andrà, ad esempio, in mare – ha spiegato – e dunque invia soltanto il numero di missili necessario a distruggere quelli ritenuti pericolosi. E’ assolutamente autonomo». Del resto, la pericolosità di molti dei missili che possono arrivare su Israele è un dato di fatto. Si pensi, ad esempio, che un missile percorre una distanza di 700 metri a una velocità di 2520 km/h: cosa, questa, che spiega perché ci vogliano solo 15 secondi per mettersi in salvo. A oggi Iron Dome è riuscito a intercettare il 90% dei missili.

P1070634Interessante, poi, è l’ottica nella quale è stato costruito questo sistema. « L’abbiamo realizzato dal punto di vista dei civili – ha spiegato Gold -. Ciò  evidente nel fatto che i missili dell’Iron Dome sono progettati per distruggere quelli nemici solo in aria, così da non danneggiare il territorio. Inoltre, esso capisce quali andranno su una zona popolata e manda solo il numero di missili necessario. In questo modo il governo risparmia molti soldi, e anche questo è un beneficio per i civili. Prevenendo infatti dei danni molto onerosi, grazie a Iron Dome l’economia israeliana non si paralizza, e la vita delle persone può continuare più o meno normalmente».

Per il futuro, ci saranno senza dubbio delle novità, perché il sistema è in continua e incessante evoluzione. Aumenterà sicuramente il numero delle batterie, oggi 9, e ci sarà un affinamento ulteriore delle tecnologie, sempre nell’ottica di garantire sicurezza alla popolazione civile.

Avvicinato poi da Mosaico, a margine dell’intervento, Gold ha dato altri importanti elementi per capire l’importanza per Israele di avere un sistema di questo tipo. «Non saprei quantificare quante vittime ci sarebbero state senza l’Iron Dome, sia nel conflitto del 2012 che in quest’ultimo – ha spiegato, rispondendo a una nostra domanda -. Sicuramente molte, soprattutto se si pensa che senza l’Iron Dome ci sarebbe stata una guerra totale, con molte più vittime da entrambi le parti».
Per quanto riguarda la diffusione del sistema al di fuori di Israele, Gold non ha escluso che possa essere acquistato da altri Paesi – un interessato è la Corea del Sud – ovviamente previo consenso del governo israeliano.

Ma cosa pensa della critica dell’Onu sul fatto che Israele non ha condiviso l’Iron Dome con Hamas? «È una dichiarazione che non merita molti commenti – dice sorridendo -. Senza i lanci di missili da Gaza noi non avremmo bisogno dell’Iron Dome. Che smettano di sparare missili…».