Gerusalemme: centinaia di migliaia di ultraortodossi nelle strade contro la coscrizione militare

Israele
di Anna Balestrieri (Gerusalemme)

Giovedì 30 ottobre, centinaia di migliaia di israeliani ultraortodossi si sono riversati nelle strade di Gerusalemme per partecipare a una manifestazione imponente, ribattezzata il “Million Man Rally”. L’obiettivo dichiarato: protestare contro gli arresti di studenti delle yeshivot accusati di eludere la coscrizione militare obbligatoria.

Dietro le parole di fede e di tradizione, tuttavia, si è stagliata una scena che racconta un’altra storia: quella di un Israele spaccato, dove un intero settore della popolazione rivendica il diritto di non condividere il peso della difesa comune.

Manifestanti (screenshot)

Scontri, feriti e una tragedia

Al termine della manifestazione, la calma apparente si è spezzata. Scontri con la polizia, idranti e disordini hanno attraversato la zona. Un ragazzo di 15 anni è morto precipitando da un cantiere edile dove decine di giovani erano saliti per assistere alla protesta. Le circostanze della sua morte restano oggetto di indagine (si presume un suicidio), ma il simbolo è già chiaro: un gesto collettivo di rifiuto trasformatosi in una tragedia nazionale.

I servizi di emergenza hanno contato oltre cento feriti, tra cui giornalisti e persino due soldati ultraortodossi aggrediti dai manifestanti. La protesta ha bloccato il paese, con un’interruzione del servizio ferroviario fino alle 13 ed una chiusura intermittente dell’autostrada 1, l’arteria principale del paese, tra Gerusalemme e Latrun nel corso di tutta la giornata. I manifestanti si sono dati appuntamento nella capitale e sono accorsi da tutto il paese, superando le tradizionali divisioni interne al settore haredi. Già dalla visita del presidente Trump, troneggiavano sull’autostrada 1 che porta a Gerusalemme manifesti con la provocazione “Signor Presidente, che ne sarà degli ostaggi ultraortodossi nelle carceri militari israeliane?”

Gli organizzatori hanno definito la protesta una “difesa della libertà di studiare la Torah senza interferenze”, denunciando le autorità per una presunta persecuzione contro gli studenti religiosi. Ma le parole si scontrano con la realtà: mentre migliaia di giovani laici e religiosi moderati servono al fronte, altri rivendicano il diritto di restare ai margini, protetti da un’interpretazione spirituale della legge.

Attacchi alla stampa e alla democrazia

Una giornalista attaccata dai manifestanti (screenshot)

Durante la protesta, giornalisti israeliani sono stati aggrediti, colpiti con bottiglie, bastoni e sputi. Le troupe di Channel 12 e Channel 13 sono state costrette a ritirarsi, simbolo di un clima in cui il dissenso è considerato profanazione. L’immagine di una reporter nascosta dietro un agente di polizia per poter continuare a trasmettere racconta più di mille parole.

Un fronte insolitamente unito, ma per difendere il privilegio

La manifestazione ha riunito fazioni ultraortodosse solitamente divise da rivalità ideologiche e rabbiniche. Persino gruppi più aperti all’integrazione con lo Stato hanno marciato accanto ai più oltranzisti. Un’unità rara, ma costruita attorno alla difesa del privilegio, non alla solidarietà nazionale.
Solo poche frange del Jerusalem Faction hanno scelto di boicottare l’evento, segnalando che anche dentro il mondo haredi il dissenso esiste, ma resta marginale.

La risposta della società israeliana

L’opinione pubblica ha reagito con frustrazione e sdegno. Il leader dell’opposizione, Yair Lapid, ha riassunto il sentimento diffuso: “Se potete marciare nelle strade, potete marciare anche nell’addestramento di base.”
Mentre il Paese continua a pagare il prezzo di una guerra prolungata e di un servizio militare sempre più gravoso, l’immagine di decine di migliaia di uomini che sfilano non per la sicurezza di Israele ma contro di essa lascia una ferita profonda.