All’ultimo sangue, la corsa a ostacoli per la Presidenza

Israele

di Aldo Baquis

Le lotte di potere alla Trono di Spade sono niente in confronto. Quella che si prospetta per la successione del Presidente della Repubblica israeliana è una sfida all’ultima calunnia, all’ultimo scandalo, all’ultimo altarino scoperto. I sette anni di Shimon Peres da Capo dello Stato sono volati in un attimo e a fine giugno i 120 deputati della Knesset devono essere convocati per sceglierne a scrutinio segreto il successore. Sulla carta, un non-evento data la solidità del governo di Benyamin Netanyahu che gli consentirebbe comodamente di imporre un proprio candidato. Invece la politica israeliana ha riservato una serie di colpi di scena, in tutto simile alla serie televisiva statunitense House of Cards: dove il congress-man Frank Underwood scala metodicamente il potere grazie a raffinate manovre di corridoio, disorientando di volta in volta lo sprovveduto spettatore.

Mai e poi mai, concordano gli analisti, la corsa alla Presidenza di Israele è stata talmente ricca di passioni, emozioni, tranelli, colpi bassi, fango. Al momento del voto (semai ci sarà), le telecamere si fisseranno sul volto del vincitore. Ma i veri protagonisti saranno piuttosto nel loggione: personaggi anonimi per il grande pubblico, spin-masters capaci, dietro le quinte, di affondare una candidatura con una fuga di notizie ben calibrata, o di lanciare al traguardo un totale outsider. Professionisti – per dirla con Underwood – “induriti come una bistecca da due dollari’’.

A 90 anni, Peres è un fenomeno politico con pochi eguali al mondo, in moto perpetuo fra le capitali di tutti i continenti, ospite d’obbligo nei convegni di Davos e di Cernobbio, oggi in visita in un asilo del Neghev e domani a tu per tu con Barack Obama. Entrare nei suoi panni darebbe le vertigini a chiunque. Eppure, ad un mese dal voto, una decina di personaggi – fra cui l’ex Presidente della Knesset Reuven Rivlin (Likud) e l’ex Ministro della difesa Benyamin Ben Eliezer, laburista – ritenevano di avere le carte in regola per sostituirlo egregiamente. Ci sono, insegna Underwood, personaggi politici che bramano il potere “più di quanto i pescecane amino il sangue”.

La moltiplicazione dei candidati non sarebbe avvenuta se Netanyahu si fosse impegnato a sostenere con determinazione la candidatura di Rivlin (74 anni): un parlamentare del Likud molto stimato alla Knesset, con sostegni anche nella sinistra sionista e nelle liste arabe. Ma per motivi arcani, nel salotto privato dei Netanyahu – dove talvolta vengono prese decisioni politiche cardinali – Rivlin risulta indigesto. Pur di intralciargli la strada, nota Haaretz, il primo ministro ha fatto tutto l’immaginabile “eccetto ordinare al Mossad la sua eliminazione fisica”. Avesse capito l’antifona, Rivlin si sarebbe fatto da parte. Invece ha continuato tenacemente la partita mettendo Netanyahu di fronte a un dilemma crudele: trovarsi nei prossimi anni con un presidente scomodo e abrasivo; oppure accettare l’elezione di un esponente dell’opposizione e l’implicita sconfitta del governo. Il Premier ha allora escogitato un’ardita fuga in avanti: e se annullassimo del tutto – si è detto – l’istituzione del Capo di Stato, ricavando inoltre un cospicuo risparmio per la Casse di Stato? Oppure, al contrario, se facessimo di Israele una Democrazia Presidenziale? In entrambi i casi bisognerebbe rinviare in extremis le elezioni presidenziali di sei mesi. Underwood lo sa bene: “la democrazia è spesso sopravvalutata’’. Peres però non si presta a questi artifici: a fine luglio farà ineluttabilmente le valige. E se Netanyahu davvero insiste, la residenza del Capo dello Stato in Rehov ha-Nassì, a Gerusalemme resterà vacante.

CACCIATORE O SELVAGGINA?

Prima di giungere a questi sviluppi stupefacenti c’era già stata la bagarre. Fra i primi a lanciarsi nella mischia c’è stato, con una certa dose di coraggio, uno scienziato del Technion insignito del Premio Nobel, il professor Dan Shechtman.

Se ai suoi albori lo Stato ebraico offrì la Presidenza ad Albert Einstein – deve essersi detto -, e se poi ha avuto Capi di Stato scienziati illustri come Haim Weitzman ed Efraim Katzir, perché non farsi avanti?

La sua candidatura è decollata a sorpresa, con una eloquente intervista alla TV di Stato. Ma poco dopo, il Premio Nobel è scivolato su una buccia di banana banale, quando ha ammesso di non amare un cantante pop israeliano, di estrazione proletario-sefardita. La banale sortita ha fatto titoloni. Allora lo scienziato ha convocato la stampa per far sapere che sarebbe andato al concerto di un altro cantante sefardita, che invece gli piace tanto. Ma il momento magico era passato. Nella corsa al potere, House of Cards-Mister Underwood, occorre scegliere se “essere cacciatore, o selvaggina”. Shechtman ha compreso di non avere la stoffa per rientrare nella prima categoria.

SESSO E ROULETTE

Peggio ancora è andata all’ex Ministro degli esteri Silvan Shalom (55 anni), un dirigente del Likud che si considera un possibile futuro primo cittadino.

All’inizio dell’anno si chiedeva se candidarsi alla carica di Capo dello Stato – uscendo forzatamente dalla politica attiva per i prossimi sette anni -, oppure se restare nel governo attuale, adottando una posizione attendista e aspettando una congiuntura favorevole che un giorno lo proietti nella poltrona di Netanyahu. Questi calcoli complessi sono stati però sconvolti da un’intervista alla radio militare di una donna misteriosa secondo cui 15 anni fa, in un albergo di Gerusalemme, Shalom le avrebbe imposto un atto sessuale dall’alto della sua veste ministeriale. Vero o falso che fosse, l’episodio era di sicuro in prescrizione. Ma alla luce del doloroso precedente di Moshe Katzav – l’ex Capo dello Stato condannato a sette, ignominiosi, anni di carcere per stupro -, la magistratura ha aperto una inchiesta. Per Shalom, un padre di famiglia con cinque figli, sono stati due mesi di supplizio da cui non sarà facile riprendersi, anche dopo che ai primi di maggio il dossier è stato felicemente chiuso. Ma la cicatrice è rimasta.

Queste sventure avrebbero potuto forse incoraggiare il candidato laburista Ben Eliezer (78 anni), se non fosse stato lui stesso stritolato, giorno dopo giorno, da rivelazioni, o presunte tali, diffuse sul web da un giornalista informatissimo che ha cominciato a investigare sui beni personali dell’ex ministro e sulle sue attività da Ministro dell’energia. “Argomenti indegni di commento’’, ha replicato in TV Ben Eliezer, ignaro che era appena l’inizio di un’offensiva e l’inizio del diluvio. Presto infatti, sarebbero apparse in TV cinque tessere emesse da altrettanti Casinò di Londra a nome di Ben Eliezer nel 2002: quando fungeva da Ministro della Difesa. “Ma non giocavo mica d’azzardo”, ha replicato. Quando passava da Londra, ha spiegato, i suoi parenti (di origine irachena, come lui), lo invitavano a pranzo. Vedi caso, appunto in quei Casinò.

DETECTIVE SCATENATI

Le attività nascoste dei lobbysti sono così venute alla luce. Una luce livida. In genere le tessere dei Casinò non compaiono di propria spontanea volontà. Qualcuno, viene ipotizzato, avrà investito somme cospicue per ingaggiare investigatori privati. “Hanno perfino indagato sul mio primo matrimonio”, ha denunciato l’ex Ministro. E si sono impadroniti della sua cartella medica, che è stata subito inoltrata alle redazioni televisive per aggiornare la Nazione che l’anziano candidato dovrà sottoporsi a un delicato intervento chirurgico.

Per riassumere, quindi: gli ispiratori dei titoli su Schechtman; gli ideatori della campagna anti-Shalom; gli investigatori attivi a Londra; i consiglieri che per Netanyahu hanno elaborato gli espedienti istituzionali. Tutti loro, – più dei candidati – sono stati i grandi protagonisti delle elezioni presidenziali 2014. Tutto resta possibile ed incredibile, in dosi eguali: che il voto includa candidati dell’ultimo momento, o che l’elezione del primo cittadino sia rinviata in extremis. Non c’è alcun stupore: come dice House of Cards-Mister Underwood, “la strada per il potere è cosparsa di ipocrisie e di vittime”.