di Anna Balestrieri
Mercoledì 28 maggio, migliaia di israeliani sono scesi in piazza in diverse città per ricordare i 600 giorni dalla strage del 7 ottobre 2023 e chiedere il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas a Gaza. A Tel Aviv, circa 3.000 persone si sono riunite in Piazza degli Ostaggi e lungo via Shaul HaMelech, guidati da familiari, ex prigionieri e sostenitori.
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Le manifestazioni e i protagonisti
A 600 giorni dall’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas, i familiari degli ostaggi ancora trattenuti a Gaza hanno organizzato una conferenza stampa presso la sede del Forum degli Ostaggi a Tel Aviv, denunciando l’inerzia del governo israeliano e chiedendo con forza un accordo per il loro rilascio. Sulla spiaggia, alcuni manifestanti hanno indossato delle magliette gialle ed hanno formato il segno simbolo della lotta per il rientro degli ostaggi.
L’attore Lior Ashkenazi, volto noto delle manifestazioni organizzate dal Forum delle Famiglie degli Ostaggi, ha aperto la serata con un attacco diretto al governo: “600 giorni dall’inizio del disastro e 600 giorni di fallimento. Abbandono, inganno, insabbiamenti: il peggior fallimento della nostra storia.”
Iair Horn, liberato a febbraio, ha raccontato il terrore vissuto nei tunnel di Hamas: “Ogni giorno poteva essere l’ultimo. Durante i bombardamenti correvamo in cunicoli storti, pronti a crollare. Mio fratello Eitan voleva arrendersi. L’ho trascinato con me, ma ora non sono lì con lui per sostenerlo ancora.”
Horn ha chiesto al governo di siglare un cessate il fuoco: “La fortuna è finita. Ci serve un accordo, subito. Basta sacrifici. I soldati devono tornare alla vita.” E ha concluso rivolgendosi al premier: “Netanyahu, mi hai riportato a casa. Fallo di nuovo.”
Anche Ohad Ben Ami, liberato con Horn, ha parlato dei cinque ostaggi ancora prigionieri con lui: “Li ho visti nei video. Non sono più gli stessi. La paura nei loro occhi mi perseguita.” Ha chiesto al pubblico di non dimenticarli: “Non permettete che arrivi il giorno 601 come se nulla fosse.”
Idit Ohel, madre di un ostaggio, ha ricordato che il ritorno dei prigionieri è “la chiave per la ricostruzione del Paese”, secondo tutti i sondaggi. Miriam Lapid, fondatrice del movimento Gush Emunim, ha esortato il governo a porre fine alla guerra: “Non si lascia indietro nessuno.”
Anat Angrest, madre di Matan, rapito da un carro armato in fiamme durante i combattimenti a Nahal Oz, si è rivolta con durezza al governo: “Immaginate di essere al mio posto, di aver dato tutto allo Stato e di essere poi abbandonati. Questo può succedere a chiunque.” Ha previsto un aumento del numero di cittadini che rifiuteranno di prestare servizio militare o di mantenere la cittadinanza israeliana. “Non è solo la mia guerra. È una questione nazionale.”
Leah Goldin, madre del soldato Hadar Goldin ucciso a Gaza nel 2014 e la cui salma è ancora trattenuta da Hamas, ha sottolineato: “Anche Hadar fu abbandonato. Ora ci sono altri 58 Hadar Goldin a Gaza.”
Tra i presenti anche ex ostaggi, come Arbel Yehoud, detenuta per 482 giorni in isolamento, che ha nominato uno per uno gli ostaggi del kibbutz Nir Oz ancora in mano a Hamas, esortando il primo ministro Benjamin Netanyahu ad agire: “Trump ha aperto la porta, Edan [Alexander] è uscito. Ora quella porta deve restare aperta finché non tornano tutti.”
Yehoud era affiancata da Yarden Bibas, liberato a febbraio, ma che ha perso in prigionia la moglie Shiri e i figli Ariel e Kfir. La sorella di Yarden, Ofri Bibas, ha mostrato la foto del piccolo Kfir, morto a dieci mesi, e ha accusato il governo di non aver mai aiutato la famiglia: “Abbiamo gridato per mesi, ma nessuno è venuto. Primo ministro, hai fallito allora e hai continuato a fallire per 600 giorni.”
Yocheved Lifschitz, 85 anni, sopravvissuta del kibbutz Nir Oz, ha dichiarato che né lei né la vicina Nurit Cooper furono liberate immediatamente il 23 ottobre 2023, nonostante Hamas ne avesse offerto il rilascio: “È stata la seconda umiliazione nazionale, dopo il 7 ottobre.”
Sono intervenuti anche i familiari degli ostaggi Matan Zangauker, Bar Kuperstein e David e Ariel Cunio. “Come è possibile che Bar non sia ancora tornato?” ha chiesto Barak Oz, cugino di Bar Kuperstein, raccontando di aver sognato il suo ritorno.
Gli scontri
Tensione davanti alla sede del Likud a Tel Aviv, dove 62 manifestanti sono stati arrestati dopo aver forzato l’ingresso. Alcuni sono riusciti a raggiungere l’ufficio del primo ministro Netanyahu, altri si sono incatenati alle scale. Alcuni indossavano tute arancioni e maschere con il volto del premier. Sul palazzo è stata proiettata l’immagine di una bandiera del Qatar con la scritta “Ambasciata del Qatar in Israele”, in segno di protesta contro i presunti legami tra Netanyahu e Doha.
Il partito Likud ha condannato l’irruzione, definendola “un pogrom” e paragonando i manifestanti agli estremisti che assaltarono il Campidoglio americano il 6 gennaio 2021. “Questi sono criminali che vogliono seminare terrore politico,” ha dichiarato il partito.
A Gerusalemme
A Gerusalemme, centinaia di persone si sono radunate davanti all’abitazione del ministro per gli Affari Strategici Ron Dermer, incaricato da Netanyahu della trattativa per il rilascio degli ostaggi. “Dermer, dimettiti, non hai ottenuto nulla,” hanno gridato i manifestanti. Shlomo Alfasa, parente di due vittime del 7 ottobre, ha detto: “Netanyahu ha rimosso tutti: il ministro della Difesa, il capo dell’IDF, il capo dello Shin Bet. Ora tocca a Dermer.”
Nel resto di Israele
In tutta Israele, decine di iniziative hanno avuto luogo: cortei di studenti, marce di giovani, sit-in silenziosi e una carovana di auto da Latrun a Tel Aviv. A Piazza Bialik, la zia dei gemelli Ziv e Gali Berman, ancora prigionieri, ha affermato: “La vittoria non può esistere senza il ritorno di tutti gli ostaggi. Solo così potremo guarire.”
La cantautrice Rona Kenan ha chiuso la manifestazione cantando “Sahki, sahki”, un canto di protesta sociale scritto 120 anni fa. Secondo dati ufficiali, 57 ostaggi su 251 restano nelle mani di Hamas. Di almeno 35 si conosce la morte, mentre 20 sono ancora vivi. Le autorità temono seriamente per altri tre.
In parallelo alla conferenza, manifestazioni in varie città hanno chiesto un accordo immediato per il rilascio degli ostaggi e nuove elezioni. Alle 6:29 del mattino, ora dell’attacco di Hamas, cittadini israeliani si sono radunati formando il simbolo giallo degli ostaggi.
Sulla spiaggia davanti all’ambasciata statunitense a Tel Aviv sono comparse le scritte “58”, “600” e “Save Them Now”. In Hostages Square, i manifestanti hanno lanciato palloncini gialli al cambio del conteggio elettronico da 599 a 600 giorni di prigionia.
Altri raduni si sono svolti a Zikhron Yaakov, Giaffa, Ramat Aviv, Hadera, Holon, Kfar Saba, Modiin, Emek Hefer, e in una catena umana da Na’an a Sitriya. A Gerusalemme, cittadini si sono ritrovati vicino alla casa del ministro degli Affari Strategici Ron Dermer per una preghiera del mattino, criticando l’assenza di risultati concreti dalla sua nomina a capo dei negoziati, avvenuta oltre 100 giorni fa.
Alle 7:10, genitori in lutto hanno parlato davanti alla casa del presidente della Knesset Amir Ohana: “Da 600 giorni ci ignori. Ma noi non ci arrendiamo e continueremo a lottare.” Stanno preparando una proposta di legge per nuove elezioni, denunciando il rifiuto del governo di istituire una commissione d’inchiesta.
Blocchi stradali sono stati organizzati anche sull’autostrada Ayalon a Tel Aviv, con slogan come “Gli ostaggi a casa, il governo a casa.”
La situazione degli ostaggi
Attualmente si contano 58 ostaggi nelle mani di gruppi terroristici a Gaza, di cui almeno 35 sono considerati morti dall’IDF. Si ritiene che 20 siano ancora vivi, mentre ci sono forti preoccupazioni per altri tre.
Dall’inizio della guerra, Hamas ha rilasciato 30 ostaggi (tra cui 20 civili israeliani, cinque soldati e cinque cittadini thailandesi), oltre a otto corpi. A maggio, un cittadino israelo-americano è stato liberato come gesto verso gli Stati Uniti.
Durante una tregua di una settimana nel novembre 2023, Hamas aveva già liberato 105 civili. Quattro ostaggi erano stati rilasciati all’inizio del conflitto.
In cambio, Israele ha liberato circa 2.000 prigionieri palestinesi, tra cui terroristi, detenuti per motivi di sicurezza e sospetti catturati a Gaza. Otto ostaggi sono stati salvati vivi dalle forze israeliane; i corpi di 41 ostaggi sono stati recuperati, tra cui tre uccisi per errore dalle IDF durante un tentativo di fuga e quello di un soldato caduto nel 2014. Il corpo di un altro soldato ucciso nel 2014 è ancora trattenuto da Hamas ed è incluso nel conteggio degli ostaggi attuali.