Voci di Donne del Mediterraneo: storie, diritti e dialoghi a Palazzo Lombardia

Eventi

di Davide Servi
In un incontro promosso da Regione Lombardia, Centro Studi Mediterranei e Women Care , donne provenienti da Israele, Afghanistan, Somalia, Marocco e Libano si sono confrontate su violenza di genere, diritti, migrazione e libertà. Un racconto corale tra testimonianze personali e posizioni politiche, per rivendicare un ruolo attivo nel cambiamento.

 

Il 19 giugno 2025, nella cornice istituzionale di Palazzo Lombardia, si è tenuto il primo tavolo di dialogo “Voci di Donne del Mediterraneo – Dialoghi fra donne, presente e futuro e ritratti di vita”, promosso dalla Regione Lombardia in collaborazione con il Centro Studi Mediterranei e l’associazione Women Care. L’evento si è svolto nella Sala Marco Biagi e ha rappresentato un momento di confronto sul ruolo delle donne nel bacino mediterraneo, con particolare attenzione ai temi della violenza di genere, dei diritti umani, del dialogo interculturale e della partecipazione politica.

Ad aprire gli interventi, introdotti dalla dirigente regionale Alessandra Negriolli, è stato il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che ha sottolineato l’importanza di occasioni come questa per promuovere una cultura della convivenza: “Il Mediterraneo è sempre stato un crocevia di culture. Oggi più che mai è necessario che queste culture imparino a convivere pacificamente. Le donne, spesso le prime a subire le conseguenze dei conflitti e delle disuguaglianze, devono essere protagoniste attive del cambiamento. Sono fiducioso che da questo convegno nasceranno buone opportunità”. Fontana ha poi ricordato l’importanza del Piano Mattei come occasione per costruire “iniziative condivise di coabitazione pacifica” e ha condannato con fermezza ogni forma di antisemitismo, commentando un recente episodio di aggressione a due giovani ebrei a Milano.

Daniela Ravera, presidente del Centro Studi Mediterranei, ha evidenziato come l’iniziativa sia nata con l’obiettivo di aprire uno spazio di parola libero e trasversale, in cui le donne potessero raccontare le proprie sfide quotidiane, le violenze subite e i percorsi di autodeterminazione: “Voci di Donne del Mediterraneo vuole essere un punto di partenza, una porta aperta verso il futuro, per costruire ponti fra donne di culture diverse”.

Olga Cola, presidente dell’associazione Women Care, ha portato al centro il tema della violenza di genere, snocciolando dati drammatici: “Una donna su tre in Italia subisce una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Ogni tre giorni, una donna muore a causa della violenza di genere. E mentre noi siamo qui a parlare, da qualche parte nel mondo, una donna viene uccisa ogni dieci minuti”. Ha poi sottolineato l’importanza dell’educazione fin dai primi anni di scuola: “A sette anni una bambina già percepisce i limiti imposti dagli stereotipi. Per questo lavoriamo sulla gentilezza come potenza, sulla prevenzione, sull’educazione finanziaria e sull’autonomia economica delle donne, che è la prima condizione per uscire dalla violenza”.

Angelo Vaccarezza, intervenuto in qualità di rappresentante istituzionale, ha posto l’accento sul ruolo degli uomini: “Gli uomini devono imparare ad ascoltare, comprendere la condizione femminile. Oggi in piazza si inneggia a paesi che calpestano i diritti. Bisogna riconoscere il problema culturale, educare alla denuncia e alla consapevolezza”.

Il giornalista Klaus Davi ha sollevato la questione del silenzio delle femministe occidentali rispetto agli abusi subiti da donne in paesi come l’Iran, o durante gli attacchi del 7 ottobre in Israele. Daniela Ravera ha definito quel silenzio “imbarazzante“, osservando come Israele sia “l’unico paese del Medio Oriente in cui le donne, anche arabe, sono davvero libere”. Olga Cola ha ribadito che “lo stupro non può mai essere usato come arma di guerra” e che “la questione è prima di tutto umana, prima ancora che politica o religiosa”.

Fiamma Nirenstein, giornalista e scrittrice, ha riportato il contesto drammatico vissuto in Israele, parlando di attacchi missilistici e dell’importanza del ruolo delle donne nella società israeliana, sia civile che militare. “La storia d’Israele è anche la storia delle sue donne. Da Golda Meir alle soldatesse, da chi coltivava la terra a chi ha difeso il Paese imbracciando un fucile. E oggi, molte israeliane sentono il peso del silenzio dei movimenti femministi”.

La senatrice Mariastella Gelmini ha sottolineato il valore simbolico e geopolitico del Mediterraneo come “culla di civiltà” e della necessità di una rappresentazione veritiera: “Non si possono ribaltare i ruoli di aggredito e aggressore. Si fa spesso la morale a Israele, ma ci si dimentica di chi governa l’Iran o Hamas. La lotta per i diritti delle donne riguarda anche il nostro Paese: approveremo presto il reato di femminicidio”.

Laura Ravetto, deputata della Repubblica, ha ribadito che il grado di civiltà di una nazione si misura dalla condizione femminile. Ha sottolineato la necessità di coinvolgere gli uomini nelle battaglie per i diritti e ha ricordato come le leggi non siano sufficienti senza un cambio culturale: “Sono firmataria di una proposta per introdurre l’educazione al rispetto della donna nell’insegnamento dell’educazione civica”. Ravetto ha anche sostenuto un approccio giuridicamente più solido alla definizione del reato di femminicidio, ponendo l’accento sull’indipendenza economica femminile come leva per l’autodeterminazione.

Chiara Rinaldi, drafter legislativa e giornalista, ha ribadito la necessità di affrontare l’emergenza femminicidi come priorità nazionale. Ha ricordato l’importanza della legge Golfo-Mosca per l’accesso delle donne ai vertici aziendali e la persistenza di un divario retributivo significativo. Ha inoltre evidenziato il ruolo decisivo della formazione per magistrati, forze dell’ordine e media, al fine di evitare la “vittimizzazione secondaria” e cambiare la narrazione della violenza sulle donne.

Maryam Younnes, attivista e ricercatrice israelo-libanese, ha offerto una testimonianza personale. Figlia di un comandante dell’Esercito del Sud del Libano, è cresciuta in Israele dopo essere fuggita nel 2000 con la famiglia. “La mia poteva essere una storia tragica, ma la forza della mia comunità e delle donne che ho incontrato mi ha reso ciò che sono oggi. Parlo ebraico, festeggio le mie e le loro feste. Sono un ponte tra religioni e paesi. Posto in arabo per raccontare Israele da dentro”.

Dounia Ettaib, presidente delle Donne Arabe d’Italia, ha raccontato la sua esperienza di doppia discriminazione: come donna e come immigrata. “Nel 2001 mi dissero che non ero adatta a un lavoro per via della mia religione. Nel 2007 ho subito violenze dentro casa e aggressioni per strada da estremisti islamici. E quando sono andata a denunciare, mi hanno consigliato di non farlo per non compromettere il permesso di soggiorno. Le donne straniere subiscono una violenza in più: l’indifferenza e la paura”.

Maryan Ismail, antropologa somala, ha parlato del suo triplice ruolo di donna, musulmana e italiana. Ha denunciato la violenza di genere come strumento di oppressione e auspicato la costruzione di un “tavolo interdisciplinare” per politiche concrete: la pace si costruisce con la giustizia, non con l’oblio. La storia del Mediterraneo è anche fatta di donne protagoniste, spesso cancellate dalla narrazione.

Frozan Nawabi, avvocata afghana per i diritti umani ed ex diplomatica, ha denunciato in inglese la condizione delle donne nel suo paese. Dopo il ritorno dei talebani nel 2021, le donne hanno perso tutto: il diritto allo studio, al lavoro, alla libertà di movimento. È apartheid di genere. Un paese senza leggi, senza Costituzione, dove le donne sono vive, ma non vivono.

Souad Sbai, già parlamentare italiana, presidente dell’associazione Donne Marocchine in Italia, ha tracciato una storia lucida e critica dell’immigrazione femminile in Italia. L’integrazione funzionava, poi è stata sabotata dalla Fratellanza Musulmana, “un movimento politico criminale, finanziato da paesi del Golfo”, che ha stravolto le comunità. “Le femministe non ci hanno aiutato. La legge contro le mutilazioni genitali in Italia non l’ha fatta una femminista, ma un uomo. Noi lavoriamo insieme, uomini e donne, per fermare la radicalizzazione e salvare le nostre figlie”.

L’evento si è concluso con il ringraziamento alle presidentesse delle associazioni promotrici, al presidente Fontana per l’ospitalità, e a tutte le partecipanti che hanno reso il confronto ricco e coraggioso. Il primo tavolo di dialogo si è rivelato non solo una vetrina di testimonianze, ma anche un laboratorio di futuro, in cui le donne del Mediterraneo hanno reclamato il diritto di essere protagoniste del cambiamento, nella vita e nella storia.