Jewish Media Summit: viaggio dentro Shtisel

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di Ilaria Myr
GERUSALEMME – «Inizialmente nessuno voleva produrlo e, quando poi è stato trovato un produttore, fra di noi ci dicevamo ‘tanto non lo guarderà nessuno. Invece, con grande sorpresa di tutti, Shtisel è diventato un successo internazionale». Con queste parole Neta Riskin, l’attrice ha impersonato Ghiti nella famosa serie israeliana su una famiglia ortodossa a Gerusalemme, ha sorpreso i giornalisti di tutto il mondo che hanno partecipato al Jewish Media Summit 2022 a Gerusalemme dal 19 al 22 dicembre. Nel suo interessante intervento, nel terzo giorno del summit, ha raccontato alcuni aspetti ed episodi inerenti alla famosa serie, in cui ha recitato la parte di una dei protagonisti.

«Quando l’autrice mi ha chiesto di leggere il copione, ho subito rifiutato – ha spiegato -: io vengo da un mondo completamente non religioso, mi dicevo “non c’entro nulla con quello che mi propongono”. Alla terza volta in cui l’autrice ha insistito affinché la leggessi, ho ceduto, pur sapendo che, dal momento che avrebbero girato in agosto, non mi sarei mai vestita da ortodossa con il caldo… Ma quando l’ho letto, mi sono detta: è lo script più bello che abbia mai letto. È sì una serie su una famiglia ortodossa, ma con la religione non ha niente a che fare. È invece una fiction sulle persone, sugli esseri umani e le loro vite, aspetti universali».

Una volta accettato, l’attrice ha dovuto imparare a diventare Ghiti, una donna completamente diversa da lei, ortodossa e con cinque figli, e per fare questo le è stata affidata una coach. «La prima volta mi ha chiesto di camminare da un punto all’altro della stanza – ha continuato – e quando, perplessa, sono tornata, mi ha detto: “abbiamo molto lavoro da fare… Esisti troppo, devi minimizzare te stessa. E l’unica risposta che devi dare a qualsiasi cosa ti chiedano è Baruch hashem (grazie a Dio)».

Neta Riskin nei panni di Ghiti in Shtisel

Mostrando anche degli spezzoni della serie, Neta-Ghiti ha spiegato come il suo personaggio è scritto come se fosse debole ma in realtà è molto forte. Questo è evidente all’inizio della prima serie, quando il marito, Lippe, perde se stesso in Sud America, per poi tornare in Israele, pentito.

«Non sapremo mai cosa Lippe abbia fatto davvero, perché avremo solo la versione che Ghiti, non volendo ascoltarlo, si crea. Rifiutando di parlargli, non gli si dà la possibilità di avere una storia. E così salva l’equilibrio della famiglia (anche se non comunicare non è un espediente che consiglio…)».

Come è normale che sia, fare una serie su una famiglia ortodossa implicava molte restrizioni – non toccarsi, non muoversi in un certo modo – e per farcelo capire l’attrice ha mostrato il pezzo della serie in cui Ghiti partorisce e Lippe, non potendole stare vicino, deve mostrarle il suo amore da un’altra stanza.

Ma come mai questa serie ha avuto così tanto successo, anche internazionale? «Quando abbiamo iniziato era un piccolo show – ha spiegato -. Nessuno voleva produrlo, e fra di noi ci dicevamo ‘tanto nessuno lo guarderà’. Non avevamo neanche chi ci facesse le pubbliche relazioni! Le persone hanno però iniziato a guardalo e a parlarne fra loro, e addirittura nel mondo ortodosso hanno cominciato a guardarlo (non avendo la tv, lo guardavano dal telefono, e molti negavano di averlo guardato…). Addirittura, in un matrimonio ortodosso hanno cantato una canzone creata apposta per la serie, che la madre di Shulem in un sogno gli canta. Ma era stata creata dal nostro autore!».

«Il successo internazionale? Non ho idea di come abbia raggiunto tanta popolarità al di fuori di Israele e mondo ebraico – continua -. Forse è perché siamo riusciti  ad attraversare un ponte invalicabile e a coinvolgere le diverse anime. Ma soprattutto perché parla di valori universali da un punto di vista molto specifico, appunto quello haredì».

Salutandola, una domanda aleggiava nell’aria: ci sarà una quarta stagione? La risposta è stata evasiva: “non penso”. Ma, come si dice, la speranza è l’ultima a morire…