I luoghi della Shoah: la memoria oltre la testimonianza, nell’era del digitale

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di Giovanni Panzeri
Qual è il ruolo dei luoghi della Shoah per tramandare la memoria? Questo il tema centrale del seminario “I Luoghi della Memoria per raccontare la Shoah”, destinato ad un pubblico di studenti e insegnanti di tutti i livelli e tenutosi mercoledì 18 gennaio all’Università Cattolica di Milano nella sede del PIME.

Al seminario hanno partecipato i rappresentanti di diverse associazioni italiane e lombarde legate ai luoghi della Shoah e, dopo i saluti del direttore del dipartimento di Pedagogia Pierluigi Malavasi, ha preso la parola la direttrice scientifica del progetto Milena Santerini, coordinatrice nazionale per la lotta all’antisemitismo.

“ Le visite ai luoghi della memoria” spiega Milena Santerini “ sono sempre state fondamentali non solo per la conoscenza storica dei fatti legati alla deportazione e alla distruzione degli ebrei in Europa, ma soprattutto per la formazione di una coscienza morale e civile delle nuove generazioni. Quei luoghi parlano, e fanno nascere nei visitatori un silenzio che porta a farsi domande, e credo che questo sia il modo migliore di far conoscere questa realtà ai ragazzi.”

Tuttavia, ricorda sempre Santerini, l’evidenza storica in se non basta, e la replica infinita “di parole e di immagini della Shoa, nell’era della comunicazione di massa, rischia di banalizzarla. Un fenomeno che si esprime bene nei ragazzi che si fanno selfie sorridenti davanti ai memoriali del massacro ma anche, ad esempio, nell’uso dei simboli dell’olocausto da parte dei No Vax”.

Da tutto ciò nasce la questione alla base di questo seminario “Come tramandare la memoria in un’era in cui i testimoni sono rimasti in pochi e si rischia che resti solo qualche riga nei libri di storia?”.

“Per questo,” afferma Santerini “abbiamo scelto di intensificare i viaggi della memoria, anche in Italia, costituendo una rete dei luoghi della memoria italiani. Ma allo stesso tempo noi insegnanti, visto che i giovani soprattutto oggi possono attraversare anche luoghi carichi di significato con la mente altrove, dobbiamo essere guide che fanno parlare le immagini, le testimonianze e gli spazi, per senza sovrapporci ad essi”.

È poi intervenuta Sira Fatucci, in rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, per descrivere la storia dei viaggi della memoria e sottolineare l’effetto causato dalla visita dei luoghi sui ragazzi: “c’è un cambiamento da quando entrano a quando escono da questi luoghi, i loro occhi cambiano, anche se forse negli ultimi anni c’è un po’ più di leggerezza. Nei viaggi della memoria i giovani partono, ritornano e poi elaborano la loro esperienza con le loro modalità di pensiero e creatività, spesso anche con passione, perché il viaggio della memoria veramente segna sempre chi lo fa. Per affrontarlo tuttavia è indispensabile studiare bene, prima, la storia di quanto è successo perché, come recita la scritta di Primo Levi sulla lapide del memoriale italiano ad Auschwitz, se comprendere è possibile conoscere è necessario”.

Le pietre d’inciampo

Il seminario è proseguito con l’intervento di Daniela Dana Tedeschi, dell’Associazione Figli della Shoah, che ha descritto il fenomeno delle “pietre d’inciampo”, un monumento “per una memoria condivisa e diffusa” ideato dall’artista tedesco Gunter Demnig nel 1992. Il progetto riguarda le vittime di tutte le deportazioni nazifacsiste e consiste nell’installare pietre sormontate da targhe di ottone con i loro dati personali nel selciato davanti a quelle che furono le loro case.

Può essere considerato un progetto dal “basso e in espansione” perché chiunque, può richiedere l’installazione di una pietra, e nel 2019 si contavano già oltre 70.000 pietre.

Le pietre d’inciampo costituiscono un modo di far “tornare” le vittime nei luoghi in cui hanno vissuto per essere ricordate come individui, non solo come numeri, “non sono delle lapidi” afferma Dana Tedeschi “ le pietre d’inciampo sono un inciampo nella realtà e vivono nella città, vivono davanti alle case delle persone, nella loro quotidianità”.

Il lavoro del CDEC, per fare conoscere ciò che è stato

Il lavoro di ricerca proposto dalla Fondazione Centro di Comunicazione Ebraica Contemporanea, rappresentata da Patrizia Baldi, si concentra invece più sui “luoghi della memoria” presenti sul nostro territorio, in particolare a Milano.

Infatti, secondo Baldi, per assolvere alla vera funzione educativa della memoria “ovvero non solo quella di ricordare, ma di prevenire” devono essere considerati non solo i luoghi legati agli anni della deportazione “tra il 43 e il 45”, ma anche quelli legati alla perdita dei diritti e all’inizio delle persecuzioni nel nostro paese, quindi dal 38’ in poi.

Questo, spiega Baldi, è fondamentale perché “la Shoah è accaduta qui, in queste scuole, per queste vie, in queste case, carceri e stazioni. La prossimità e familiarità dei luoghi in cui viviamo per alcuni ha una forza dirompente nel ridurre la distanza con il passato, quei luoghi interagiscono con i nostri sensi, e tocca a noi accompagnatori, formatori e ricercatori, essere la loro voce”.

Il Memoriale della Shoah

Salvatore Colacicco ha invece raccontato la storia del Memoriale della Shoah a Milano e del suo Binario 21, purtroppo poco conosciuti dai non addetti ai lavori. L’immane zona della stazione, situata in pieno centro, fu dedicata prima alla distribuzione della posta poi, dal 1943, alla deportazione di oppositori politici ed ebrei verso i campi di concentramento e sterminio.

Il Giardino dei Giusti e Sciesopoli, luoghi del bene

Il seminario è infine terminato con due interventi dedicati a luoghi legati alla speranza e alla salvezza, a chi ha resistito al fascismo e a chi è riuscito a sopravvivergli.

Il Giardino dei Giusti di Milano è stato presentato al pubblico da Annamaria Samuelli della Fondazione Gariwo, mentre il professor Marco Cavallarin ha fatto rivivere tramite le sue parole la Sciesopoli Ebraica di Selvino, il luogo dove per anni hanno trovato rifugio, cure e istruzione i bambini resi orfani dall’Olocausto.

Come ha ricordato la professoressa Santerini infatti “non si tratta di dare un lieto fine a un dolore insopportabile ma di scoprire la possibilità di reagire, la resistenza al male, il non rassegnarsi, il poter continuare a vivere e a sperare.”

 

(Foto: Fondazione Memoriale della Shoah di Milano ONLU, Niccolò Piuzzi)