Monastero dei Santi Quattro Coronati a Roma

Chiesa e Shoah: il soccorso agli ebrei

Eventi

di Giovanni Panzeri
La quarta sessione del convegno all’Università Gregoriana si è focalizzata sulle modalità del soccorso prestato dalla chiesa ai rifugiati ebrei, sull’identità di questi ultimi, sulle ragioni di eventuali rifiuti e su come le azioni della chiesa hanno influenzato i terribili eventi del rastrellamento di Roma del 1943.

Gran parte di questa ricerca si è basata sul lavoro del professor Hubert Wolf e del suo team, nel contesto del progetto ‘Asking the Pope for Help’, che si è occupato di classificare, studiare e ordinare le oltre 1593 petizioni di aiuto indirizzate  al pontefice dalle vittime delle persecuzioni, recuperate tra i nuovi documenti resi disponibili dalla Chiesa.

Queste lettere, che, vista la mole delle petizioni, erano inevitabilmente filtrate dai funzionari della curia romana, dimostrano che la responsabilità di Pio XII nel rispondere e prendere decisioni sui singoli casi era in realtà molto limitata.

“Inoltre queste petizioni esprimono le atrocità del tempo in modo molto concreto” afferma Wolff “ la gente si apriva completamente a Pio XII e racchiudeva in quelle lettere anche i racconti della vita prima delle discriminazioni. Sono insomma testimonianze dirette ed inestimabili della Shoah”.

Il Papato e il rastrellamento del ghetto di Roma

Durante l’intervento successivo il professor Osti Guerrazzi, dell’Università di Padova, ha seriamente messo in dubbio la teoria secondo cui l’azione del papato fu fondamentale nel limitare il numero di ebrei rastrellati durante l’incursione nazista nel ghetto di Roma, il 16 ottobre 1943.

I nazisti, secondo il professore, catturarono solo un migliaio di persone (rispetto alle 8000 pianificate) a causa della scarsità di truppe e risorse a disposizione e perché si resero conto “che continuare sarebbe stato inutile, dato che gli ebrei rimasti erano già stati tutti avvertiti e chi era riuscito a scampare alla cattura era ormai in fuga. La popolazione romana inoltre, aveva aiutato molti ebrei a nascondersi.” “La brevità della razzia a Roma dunque” osserva  Guerrazzi “non ebbe nulla a che vedere con le pressioni del Vaticano”.

“La verità è che le SS arrestavano chi volevano, quando volevano, senza alcun riguardo per l’autorità del pontefice.” continua Guerrazzi “E il silenzio del Papa fu motivato soprattutto dalla paura. Infatti in quel periodo al vaticano si riteneva possibile un attacco diretto da parte di Hitler, con l’obiettivo di rapire il Papa e portarlo in Germania.” I documenti emersi dall’Archivio vaticano sembrano confermare quest’ultima asserzione.

Gli istituti religiosi romani che diedero rifugio agli ebrei

La professoressa Grazia Loparco ha invece presentato una rassegna documentaria che cerca di ricostruire la fitta rete di istituti religiosi romani che offrirono rifugio agli ebrei, gestita per conto di Pio XII dal cardinale Montini (il futuro Paolo VI).

Dopo un lungo e complesso lavoro di ricerca e raccolta dei dati provenienti da numerosi fondi e archivi “abbiamo verificato la presenza di oltre 265 sedi di ospitalità, tra istituti religiosi, anche comprendenti diversi edifici, e sedi vaticane. Il salvataggio degli ebrei dunque interessò praticamente la metà degli istituti religiosi romani”. Questa ricerca e lo studio delle petizioni hanno inoltre permesso di verificare che la maggioranza dei rifugiati ebrei non fece petizione al Papa, ma si era limitato a chiedere asilo alle autorità ecclesiastiche locali. “Molti superiori aprirono le porte senza richiedere alcuna indicazione” spiega Loparco “ma ci fu anche chi rifiutò di dare asilo, per diversi motivi. In generale comunque sacerdoti, religiosi monache e suore presero posizione netta in favore della vita, mettendo da parte i voti di clausura e seguendo il principio della carità anche senza conoscere l’identità degli ospiti, ed è innegabile il coinvolgimento della Santa Sede”.

Le reti di soccorso a livello nazionale 

Liliana Picciotto, storica del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (CDEC), è poi intervenuta per fornire un’idea della dimensione del fenomeno a livello nazionale, mettendo a disposizione i dati raccolti sulle famiglie di sopravvissuti in oltre un decennio di lavoro nel contesto del progetto “Salvarsi” per il CDEC. “È da sottolineare prima di tutto che in quel momento gli ebrei non erano certo l’unica categoria di persone bisognose di soccorso. Decine di migliaia di soldati alleati o italiani, evasi dalle carceri o allo sbando in seguito alla firma dell’armistizio, cercavano di nascondersi, raggiungere la svizzera o le linee alleate.” Spiega Picciotto “Gli ebrei in Italia prima delle deportazioni erano circa 38.994, 7000 di questi furono deportati e 4000 ripararono in svizzera. Dei restanti circa un quinto furono salvati da istituzioni cattoliche, gli altri ricevettero il supporto di numerose reti nate spontaneamente, che di fatto rappresentarono il primo vero esempio di ribellione spontanea e collettiva al fascismo in oltre vent’anni”.

“Per quanto riguarda l’aiuto della Chiesa verso gli ebrei, questo si concentrò soprattutto nell’area di Roma, dove risiedevano la comunità ebraica più numerosa d’Italia e il maggior numero di istituzioni ecclesiastiche. Bisogna precisare” continua Picciotto “che spesso questo aiuto era frutto dell’iniziativa di cariche ecclesiastiche intermedie, che agivano con l’assenso passivo dei loro superiori.”

“Comunque la questione del pubblico silenzio della Chiesa, confrontato al numero di singoli interventi privati verso alcune migliaia di Ebrei, non può essere accantonata” conclude Picciotto “ e non può neanche essere dimenticato il loro silenzio su tutte le vicende precedenti: le leggi speciali, le persecuzioni e gli attacchi che investirono gli ebrei d’Europa nel corso degli anni 30”.

Il battesimo forzato: quando il soccorso rischia di diventare rapimento

L’intervento finale della sessione, del Dr. Matthew Tapie, riguarda quello che sicuramente è, ancora oggi, un punto particolarmente teso nelle relazioni tra ebraismo e chiesa cattolica: il battesimo forzato di bambini ebrei e il rifiuto di restituirli alle famiglie originarie.

A guerra finita la Chiesa si rifiutò di riportare alle famiglie ebraiche un certo numero di bambini ebrei, battezzati nel tentativo di sottrarli alle persecuzioni naziste, nella convinzione che la salvezza dell’anima del figlio avesse priorità sul diritto dei genitori. Tapie ha voluto risalire alle origini di questo comportamento,  scoprendo che non fa parte delle dottrine fondanti della Chiesa, e che teologi come Tommaso d’Acquino erano fermamente contrari alla pratica definendola “una violazione della legge naturale”.

(Foto: Monastero dei Santi Quattro Coronati a Roma. Fonte: Vaticannews)