Rav Lord Jonathan Sacks

Rav Jonathan Sacks: «Senza moralità non può esistere felicità»

Libri

di Fiona Diwan

«Dobbiamo cercare il Bene comune, oltre le divisioni», perché solo le società basate sul Noi e non sull’Io, sulla responsabilità collettiva e non sull’egoismo e l’autoreferenzialità, sono sopravvissute nei millenni. E hanno fatto la storia

«Esiste, in natura e nell’umanità, una gamma sorprendente di forze che guariscono ciò che è stato danneggiato e riparano ciò che è stato rotto. Queste forze sono inglobate nella vita stessa, con la sua creatività e capacità di autorinnovamento. Questa è la base empirica della speranza. La natura sostiene le specie in grado di ristabilirsi e la storia favorisce le culture che fanno altrettanto». Così scrive Rav Jonathan Sacks in piena pandemia, nel 2020, pochi mesi prima dalla sua morte avvenuta il 7 novembre 2020, a 72 anni. Un elogio della speranza, della potenza della vita, della prodigiosa capacità di autoguarigione di cui i corpi – sociali, umani, animali e vegetali – sono dotati. Con queste parole, contenute nell’Introduzione, Sacks ci consegna un’opera che è un testamento spirituale di 400 pagine, un libro “maestoso” che è la summa di uno sguardo filosofico sul mondo e sull’attualità, una visione maturata in questi tempi di “prostrazione” da virus e di violenta polarizzazione del dibattito politico, di gogne mediatiche e di nuove guerre di religione con i suoi eccidi compiuti sotto copertura del nome di Dio. Un libro dal titolo significativo: Moralità. Ristabilire il bene comune in tempi di divisione, nell’ottima traduzione di Rosanella Volponi (Giuntina, 20 euro).

La fede umanistica contro i mali dell’oggi
Un’analisi lucida quella di Sacks, a tratti spietata, delle svariate patologie che affliggono il nostro presente. Ma anche una disamina che sa aprirsi all’abbraccio di un orizzonte ottimistico, con una fede umanistica che mai ha abbandonato Sacks, nemmeno nei momenti più bui. Non a caso, nella prefazione al libro, Sacks parla della moglie Elaine e la ringrazia. Di che cosa? Di essere così totalmente differente da lui. Festeggiando le nozze d’oro, nel 2020, improvvisamente, racconta Sacks, viene colpito da un’evidenza da cui nasce «la mia teoria che è una sorta di riassunto di questo libro: sono le persone diverse da noi che ci fanno crescere». Sacks mette al bando ogni pessimismo culturale, non indulge in funerei pensieri di scontri di civiltà o di implosione del sistema. In questo, Sacks resta legato all’incrollabile principio della fede nella vita propria dei Maestri dell’ebraismo, e non concede neppure un centimetro ai corifei del lamento e del vittimismo, a quelli del “se continuiamo così ci schianteremo tutti”, “poveri noi, questo virus ce lo siamo meritato”…

Sacks analizza ogni aspetto della vita contemporanea, pubblico e privato, arena politica, economica e mediatica, ma anche ciò che accade nelle quattro mura domestiche; dalla “dittatura” della tecnologia all’intossicazione da social media di cui sono vittima gli adolescenti, dalla manipolazione dell’informazione all’anestesia della parola autentica, quella che si scambia guardando negli occhi chi si ha davanti e non proteggendosi dietro lo scudo di un anonimo schermo. Tuttavia Sacks scrive con lo sguardo puntato non sulla malattia quanto sulla guarigione. Perché la salute – di un corpo fisico o sociale – non significa non ammalarsi mai, ma è piuttosto la capacità di ristabilirsi, di trovare le risorse per ritornare in equilibrio, è la capacità del cuore di ritrovare le normali pulsazioni dopo una corsa scomposta, senza bloccarsi nel ritmo affannoso della tachicardia patologica dei nostri tempi.

Tradizione filosofica e pensiero ebraico, etica e attualità, economia, sociologia e politica. Sacks affronta i grandi temi del presente analizzati alla luce di un ebraismo capace di dispiegare un millenario messaggio universale, ivi compresi il gioco di rimandi ad altri illustri pensatori, i riferimenti ad altre tradizioni, correnti, visioni del mondo. Teologo, filosofo, leader religioso e saggista (ha scritto 25 libri), oratore di rara perizia e per decenni voce di dialogo religioso per la BBC inglese, Sacks ci regala oggi con quest’opera un affondo vertiginoso sulle questioni scottanti della nostra epoca, dai mercati senza principi morali ai diktat delle più spregiudicate e ciniche logiche economiche fino all’immoralità delle diseguaglianze retributive (il rapporto tra la retribuzione di un dirigente e quella di un impiegato della sua stessa azienda è oggi in media di 312 a 1, mentre negli anni Sessanta era di 20 a 1), fino alle odierne democrazie messe in scacco da populismi e mala gestione delle ondate migratorie.

Bellissimi i capitoli dedicati al pericolo del collasso della famiglia e al suo stato di fragilità attuale; e poi il capitolo dedicato agli abissi di solitudine vissuti ogni giorno da troppe persone; o ancora, il capitolo sui social newtwork, sempre meno socievoli e sempre più divisivi e istigatori di litigio, che spesso finiscono per nutrire un Ego malato o ipertrofico. Io, io, io: ovvero autorealizzazione, autonomia, autoespressione, autostima, autenticità, individualismo, questi i mantra, le parole chiave degli ultimi 40 anni, con una enfasi posta sui “diritti” e non sulle responsabilità. Ma tutte le società basate sull’Io sono destinate a morire, oggi come in passato, scrive Sacks. Solo le società basate sul Noi sono sopravvissute, nei millenni.

Ritrovare la bussola morale
Ciò che più sembra preoccupare Sacks oggi è la generale perdita della bussola morale, lo smarrimento del più elementare senso dell’altro e della dignità che merita anche chi non la pensa come noi, il predominio di un particolarismo esasperato, la malattia autoreferenziale che cancella il dialogo, il cancro narcisistico che sta distruggendo le coscienze dei giovani e facendo saltare coppie e matrimoni. Insomma, la perdita della capacità di uno scambio dialogico, elemento che sta alla base delle moderne democrazie e delle più evolute conquiste del vivere civile. Sacks ci riporta alla parola chiave dell’ebraismo, Shemà, ascolta. «Da qui l’importanza della voce interiore, della coscienza, del senso di colpa piuttosto che della vergogna; del pentimento non della negazione; del perdono piuttosto che della pacificazione; dell’integrità dell’individuo malgrado le sue azioni. Questo era e rimane uno dei cambiamenti più rivoluzionari della storia dell’etica, e grande è il debito della civiltà occidentale nei confronti dell’ebraismo», scrive il filosofo inglese.
«Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me», diceva Kant. In definitiva, tutto va ricondotto al libero arbitrio, alla capacità di scelta dell’essere umano, ribadisce Sacks, perché «la moralità è un elemento essenziale dell’ambiente umano, importante come il mercato e lo Stato ma non appaltabile a nessuno dei due. La moralità umanizza la competizione per la ricchezza e per il potere. È l’affrancamento dalla nostra solitudine», è lo spostamento dall’Io al Noi, unica chiave possibile per trasformare la vita. Questo è Moralità, afferma il pensatore, capire che «un paese è forte quando si prende cura dei deboli, che diventa ricco quando si occupa dei poveri, che diventa invulnerabile quando presta attenzione ai vulnerabili. Se ci sta a cuore il futuro della democrazia dobbiamo recuperare quel senso di moralità condivisa che ci unisce l’uno all’altro in un legame di attenzione e compassione reciproche. Non c’è libertà senza moralità, né libera scelta senza responsabilità, nessun Io attuabile senza il sostegno di un Noi».

Un’appassionante cavalcata nella filosofia politica, nell’etica, nel costume e nella storia, da Nietzsche a Kirkegaard, dal Talmud a Socrate, da Mick Jagger a Maimonide, da Darwin a George Orwell, Shammai, Hillel e i Beatles, solo per citarne una minima parte. E su tutto, lo spirito della Torà e della Legge ebraica che soffia come un vento primigenio su qualsiasi codice morale occidentale di ieri e di domani. Racconti da Bereshit, discussioni tra Abramo e il Padreterno, midrashim, storie di patriarchi e profeti… L’idea è che una società libera è una conquista morale, una verità questa che è stata dimenticata, ignorata o negata da un Occidente troppo ego riferito, che concentrandosi sull’individuo ha perso il senso del bene comune, l’attenzione per gli altri. Ecco perché oggi la democrazia liberale è in pericolo: perché ha perso il suo legame con la visione etica che l’aveva partorita. Ed è immersa in un clima culturale avvelenato.

Dalla Brexit ai gilet gialli francesi, dai pericoli di un nuovo autoritarismo («il Liberalismo è obsoleto», ripete Putin in continuazione), al tono del dibattito pubblico sempre più rabbioso e offensivo, dal riscaldamento globale fino al crescente abuso di droghe e alcol tra i giovani, fino all’impennata del tasso di suicidi. In merito, già nel 1890 il sociologo Emile Durkheim ci faceva notare che in una società in cui c’era anomia – l’assenza di un codice morale condiviso – ci sarebbe stato un aumento del tasso di suicidi. Ma Sacks non si limita a questi temi: affronta i violenti attacchi alla libertà di parola avvenuti negli atenei più prestigiosi del mondo, a Oxford, Cambridge…, luoghi in cui la libertà di espressione dovrebbe essere sacra; i recenti fenomeni della Cancel culture, del Me too, la nuova intolleranza nelle università britanniche e americane, ovvero l’idea che certe opinioni o persone possano essere messe al bando solo perché potrebbero turbare qualcuno (ad esempio, se parla uno studente ebreo la cosa potrebbe urtare un musulmano; se parla un maschio eterosessuale potrebbe disturbare gli omosessuali…), la limitazione della libertà di parola con il no-platforming (l’opportunità di parlare e essere ascoltati che viene negata, per non offendere).

Urge un mutamento climatico culturale, ribadisce Sacks. Il filosofo ci sommerge con centinaia di dati, citazioni, ricerche, analisi sociologiche, filosofiche, storiche, ci indica una possibile strada per uscire da un’impasse pericolosa, smantellando l’illusione che il bene del singolo possa prescindere da quello della collettività e ricordandoci quanto siamo interconnessi gli uni agli altri.
«È la nostra esistenza in quanto agenti morali, la nostra abilità di restare fuori dai nostri istinti e desideri, la nostra capacità di trattenerci dal fare ciò che possiamo e vogliano perché sappiamo che può nuocere agli altri… che ci rendono diversi e conferiscono dignità alla vita umana. Non siamo insetti, schiuma, muffa melmosa, un’increspatura nel flusso dei dati cosmici. Possiamo essere la polvere della terra ma dentro di noi c’è, dice la Bibbia, il respiro di Dio. Abbiamo desideri immortali. Siamo animali morali».