di Nina Prenda
Attraverso interviste a studenti ebrei e israeliani, la task force documenta numerosi episodi definiti “disturbanti”, con un’attenzione particolare alle dinamiche in classe. A uno studente israeliano è stato chiesto pubblicamente come si sentisse rispetto al “colonialismo dei coloni”, mentre a un ebreo è stato detto: «È un vero peccato che la tua gente sia sopravvissuta per commettere un genocidio di massa». Segnalata anche una diffusa introduzione di condanne morali contro Israele in corsi non attinenti alla politica o al Medio Oriente.
La task force sull’antisemitismo della Columbia University ha pubblicato il suo quarto e ultimo rapporto, un documento di 70 pagine che fotografa un clima accademico segnato da episodi ricorrenti di discriminazione nei confronti di studenti ebrei e israeliani. Il rapporto sostiene che questi studenti siano stati spesso individuati come capri espiatori, in particolare nelle aule, e denuncia una carenza strutturale di docenti specializzati sul Medio Oriente che non adottino un approccio esplicitamente antisionista.
Il lavoro della task force, come organismo investigativo, nasce nel contesto delle forti tensioni esplose nel campus dopo l’attacco di Hamas in Israele del 7 ottobre 2023 e la successiva guerra a Gaza. Il rapporto cerca di bilanciare la libertà accademica e la libertà di parola con le preoccupazioni della discriminazione contro gli ebrei.
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«Esortiamo l’Università a proteggere la libertà di espressione nella massima misura possibile, nel rispetto delle leggi contro la discriminazione», si legge nel documento. «La censura non ha posto a Columbia. Nemmeno la discriminazione».
Attraverso interviste a studenti ebrei e israeliani, la task force documenta numerosi episodi definiti “disturbanti”, con un’attenzione particolare alle dinamiche in classe. L’episodio ritenuto più grave riguarda l’interruzione di un corso tenuto da un professore israeliano all’inizio del semestre primaverile 2025. Secondo il rapporto, si trattava di uno dei pochi corsi disponibili per chi non voleva studiare il Medio Oriente esclusivamente da una prospettiva antisionista. Proprio per questo, il corso è stato preso di mira dai propal, in quanto “progettato per studiare il sionismo, e non semplicemente per condannarlo”. L’università ha condannato l’episodio e ha avviato procedimenti disciplinari contro gli studenti coinvolti. La risposta istituzionale ha però innescato nuove proteste: alcuni studenti hanno occupato edifici e una biblioteca del campus, provocando la sospensione o la cancellazione di diverse lezioni. In almeno un caso, un docente ha annullato una lezione per consentire agli studenti di partecipare alla rivolta.
Il rapporto afferma che alcuni docenti hanno individuato studenti ebrei e israeliani come bersagli personali durante le lezioni, una pratica che viola le linee guida del Dipartimento federale dell’Istruzione. Vengono citati esempi puntuali: a uno studente israeliano è stato chiesto pubblicamente come si sentisse rispetto al “colonialismo dei coloni”; un altro è stato definito “occupante”. Una studentessa veterana dell’esercito israeliano, Tzahal, presente a una lezione sul conflitto, ha riferito che l’IDF veniva descritto come un “esercito di assassini” e che l’insegnante l’ha indicata davanti alla classe suggerendo che dovesse essere considerata una di loro, quindi “un’assassina”.
Non mancano episodi che coinvolgono studenti ebrei non israeliani. A uno di loro è stato detto: «È un vero peccato che la tua gente sia sopravvissuta per commettere un genocidio di massa». Secondo il rapporto, diversi studenti hanno preferito non dichiarare la propria identità ebraica o israeliana per timore di ritorsioni.
Durante un corso introduttivo obbligatorio per oltre 400 studenti alla Mailman School of Public Health della Columbia University, un insegnante ha detto agli studenti che tre donatori ebrei della scuola stavano “riciclando denaro sporco” e chiamavano Israele “il cosiddetto Israele”. L’insegnante ha poi liquidato le lamentele come provenienti da “studenti bianchi privilegiati”.
La task force segnala inoltre una diffusa introduzione di condanne morali contro Israele in corsi non attinenti alla politica o al Medio Oriente. Una lezione introduttiva di astronomia si è aperta con una discussione sul “genocidio” a Gaza; in un corso di arabo, agli studenti è stata insegnata una frase che definiva la lobby sionista come la più influente su Joe Biden. In un’altra lezione, un docente ha sostenuto che le denunce di violenze sessuali da parte di Hamas fossero esagerate o inventate.
In un altro caso, un docente ha letto ad alta voce, senza consenso, un’e-mail privata di uno studente che criticava l’impostazione di un corso sul conflitto israelo-palestinese, utilizzandola come spunto per confutare pubblicamente le sue posizioni.
Il rapporto descrive un clima in cui contenuti antisionisti sono diventati “un elemento centrale” anche in corsi su femminismo, fotografia, architettura, musica e gestione del non profit. Le classi dedicate al Medio Oriente, aggiunge la task force, sono state spesso caratterizzate da condanne unilaterali di Israele e da affermazioni storicamente false, come l’idea che Theodor Herzl fosse antisemita o che gli ebrei dell’Europa orientale non fossero realmente ebrei.
Gli studenti ebrei e israeliani che volevano studiare il Medio Oriente alla Columbia hanno detto che non erano in grado di farlo perché quasi tutte le classi trattavano il sionismo e Israele come “fondamentalmente illegittimo”. “Columbia manca di competenze di facoltà a tempo pieno nella storia del Medio Oriente, nella politica, nell’economia politica e nella politica che non sia esplicitamente anti-sionista”, ha detto il rapporto, esortando l’università a “lavorare rapidamente per aggiungere più diversità intellettuale a queste offerte”.
Il documento ricorda inoltre che gli ebrei costituiscono una classe protetta ai sensi della legge federale e che definire ebrei o israeliani come “sionisti” non esclude la possibilità di discriminazione. Tra le raccomandazioni figurano misure per prevenire interruzioni delle lezioni, molestie, pressioni a partecipare alle proteste e l’uso di stereotipi o temi altamente divisivi in corsi non pertinenti.
La task force prende posizione anche contro il boicottaggio delle università israeliane e invita alla cautela nei confronti dei docenti che esprimono opinioni sui media o sui social su temi che esulano dalla loro competenza accademica. Secondo il rapporto, molti studenti sono rimasti indignati da dichiarazioni della facoltà percepite come una giustificazione o persino una celebrazione di atrocità terroristiche, nonché dall’uso di stereotipi antisemiti.
Elisha Baker, studentessa ebrea, ha scritto sul giornale del campus Columbia Spectator di apprezzare gli sforzi dell’università contro l’antisemitismo, ma ha criticato l’assenza di conseguenze per l’università che ha sostenuto o partecipato attivamente all’accampamento di protesta. «La questione irrisolta della responsabilità della facoltà resta una ferita aperta», ha scritto. «Il silenzio dell’Università non è moralmente difendibile».
I tre rapporti precedenti della task force avevano affrontato le regole sulle proteste, le esperienze dirette di antisemitismo e il clima generale del campus. In una dichiarazione diffusa, la presidente ad interim della Columbia, Claire Shipman, ha ringraziato la task force, affermando che l’università si trova oggi «in un posto nuovo e molto migliore», pur riconoscendo che resta ancora molto lavoro da fare.



