di Marina Gersony
Nove ebrei britannici su dieci hanno acceso le candele lo scorso anno, rendendo la Festa delle Luci la più osservata del calendario ebraico; nel mondo, circa l’80% della comunità ebraica celebra la menorah, un gesto di resilienza, identità e speranza che unisce generazioni, culture e continenti. Una ricorrenza che, quest’anno più che mai, apre un dibattito globale sulla forza dell’identità ebraica.
«Basta una piccola fiamma per raccontare secoli di resistenza». Così il Rabbino Jonathan Sacks ZTz”L descriveva il potere delle luci di Chanukkà, simbolo di un ebraismo che – allora come oggi – rifiuta di lasciarsi sedurre dal prestigio delle culture dominanti a scapito dei propri valori. Una singola candela può sembrare un gesto minimo, quasi fragile, ma per Sacks proprio in quella scintilla si gioca “la sopravvivenza stessa di una civiltà”.
Il grande Maestro, scomparso nel 2020 e ascoltato ben oltre i confini della Gran Bretagna, sapeva trasformare la Festa delle Luci in un messaggio globale e sorprendentemente attuale. «Le nostre prospettive cambiano», ricordava. «Spesso comprendiamo il senso profondo di un evento solo molto tempo dopo. E Chanukkà è l’esempio perfetto di come la storia riveli il suo significato più autentico a distanza di decenni, a volte di secoli».
In Gran Bretagna, e in tutto il mondo ebraico, quest’anno, la luce di Chanukkà sembra brillare più intensa che mai. Non è solo una metafora: secondo un nuovo studio dell’Institute for Jewish Policy Research (JPR), Chanukkà è ormai la festività ebraica più osservata nel Paese, superando persino i riti più tradizionali di Pesach e Rosh Hashanah. Lo rivela l’analisi pubblicata da Jewish News che offre uno spaccato sorprendente sulla vita ebraica britannica nel 2024.
In questo scenario globale segnato da un antisemitismo in crescita, Chanukkà si trasforma in un atto collettivo di resilienza. Le candele, accese quest’anno da circa l’80% degli ebrei nel mondo, diventano un gesto di luce contro l’oscurità, ma anche un modo per rinegoziare cosa significhi essere ebrei oggi: più che una difesa, una costruzione. Non più chiedersi soltanto come sopravvivere, ma come vivere un’identità piena, radicata e appagante.
La ricerca, condotta su oltre 4.800 adulti nell’ambito del sondaggio “Jews in Uncertain Times”, certifica che l’89% degli ebrei britannici ha acceso almeno una volta le candele durante l’ultima ricorrenza. Una percentuale sorprendente, che supera l’84% di chi ha partecipato a un seder di Pesach e il 74% che ha preso parte ai rituali di Rosh Hashanah negli anni precedenti. Numeri che raccontano una storia chiara: Chanukkà, con la sua semplicità e il suo calore, è la porta d’ingresso all’ebraicità più condivisa e trasversale.
Il dato più interessante è forse la forza inclusiva della festa. Se solo il 31% degli ebrei non praticanti dichiara di celebrarla ogni anno, ben il 68% ha comunque acceso le candele nel 2024. Il rituale della menorah, facile, domestico, intimo, supera identità religiose, differenze generazionali e livelli di osservanza. Come spiega il direttore esecutivo del JPR, Jonathan Boyd, Chanukkà ha la capacità unica di «parlare agli ebrei di ogni estrazione» grazie anche ai suoi paralleli stagionali con il Natale e alla dimensione familiare che trasmette stabilità e continuità, soprattutto in tempi incerti.
È proprio nella casa, sottolinea il rapporto, che si gioca la partita del futuro: la trasmissione dell’identità ebraica avviene in gesti semplici – l’accensione delle candele, il profumo dei latkes, la condivisione di una storia antica – che oggi assumono un valore ancor più profondo di fronte alle tensioni che attraversano le comunità ebraiche a livello globale.
E infatti, mentre il Regno Unito scopre la sorprendente centralità di Chanukkà nel proprio calendario culturale, altri osservatori colgono nella festa un significato ancora più ampio. Nelle stesse ore, sulle pagine del Jerusalem Post, lo storico e scrittore Gil Troy invita a leggere Chanukkà come una lente per comprendere i dilemmi dell’ebraismo contemporaneo, a poco più di un anno dal trauma del 7 ottobre.
Secondo Troy, Chanukkà diventa oggi un’arena simbolica in cui si confrontano due modi di pensare la sopravvivenza ebraica: da un lato i “freni”, cioè il legame religioso, identitario o sionista che tiene saldo il popolo ebraico; dall’altro la “bolla”, l’idea che la protezione – fisica o culturale – passi attraverso comunità più chiuse o attraverso la grande “bolla” d’Israele. Il 7 ottobre, osserva, ha incrinato molte certezze e acceso domande profonde sulla tenuta delle comunità soprattutto nella diaspora, dalla Francia al Canada, dall’Australia al Regno Unito stesso.
È ironico – e forse perfettamente in linea con lo spirito della festa – che proprio Chanukkà, che celebra la vittoria militare e spirituale dei Maccabei, continui a parlare anche alle società più aperte, dove generazioni di ebrei hanno reinventato la tradizione, trasformandola a volte in un ponte con la cultura circostante. Dalla “americanizzazione” della festa, fatta di decorazioni e otto giorni di regali, alla sua riscoperta in chiave più identitaria dopo il 7 ottobre, Chanukkà resta una costante: una storia che ogni epoca riscrive senza rinnegarne il senso originale.
E mentre in Gran Bretagna la festa conquista numeri da record e si consolida come il rituale domestico capace di unire più di ogni altro, risuona la domanda posta da Troy: non «come salvare l’ebraismo», ma «come renderlo vivo, intenso, significativo». Forse la risposta, quest’anno, arriva dalle finestre illuminate delle case ebraiche britanniche e di quelle sparse nel mondo: una menorah accesa, fragile ma tenace, continua a sfidare il buio.
Trascrizione
La storia stessa ha una storia. Il vero significato degli eventi cambia molto spesso quando li vediamo a posteriori. Non sempre comprendiamo il vero significato di un evento fino a molti decenni dopo, o a volte addirittura secoli dopo. Un classico esempio di questo è la storia di Chanukkà.
In un certo senso, la storia di Chanukkà è molto semplice. Fin dai tempi di Alessandro Magno di Macedonia, Israele era sotto il dominio dell’Impero alessandrino dei Greci. Ciò significava che nel III secolo a.C. era sotto il controllo dei Tolomei, che risiedevano in Egitto e ad Alessandria. Poi, durante il II secolo a.C., Israele passò sotto il dominio dei Seleucidi, che risiedevano in Siria.
Un leader seleucide in particolare, Antioco IV (che modestamente si faceva chiamare Epifane, che significa “Dio manifestato”), decise di imporre il ritmo dell’ellenizzazione agli ebrei della terra d’Israele. Tra le altre cose, proibì la pratica pubblica dell’ebraismo, eresse una statua di Zeus nel Tempio e offrì maiali in sacrificio davanti ad essa, in una profanazione dei valori ebraici che gli ebrei dell’epoca chiamavano l’Abominio della Desolazione.
Un anziano sacerdote di nome Mattityahu, i suoi figli e i loro sostenitori, passati alla storia come Maccabei, si ribellarono. Nei tre anni successivi ottennero una vittoria epocale sui Seleucidi, riconquistando Gerusalemme e riportandola sotto la sovranità ebraica. Purificarono il Tempio e lo riconsacrarono, accendendo la grande Menorah, il candelabro che si trovava nel Tempio, per una celebrazione durata otto giorni.
Questa è la storia di Chanukkà così come è stata narrata nel primo e nel secondo libro dei Maccabei. Ma non è così che la storia è stata raccontata nella tradizione ebraica, poiché è stato stabilito che i due libri dei Maccabei, e altri con lo stesso titolo, dovessero essere chiamati Sefarim Chitzoni’im, opere apocrife, e tenuti fuori dalla Bibbia. La storia di Chanukkà che viene invece raccontata è molto diversa, con un messaggio potente.
Il Talmud ci racconta che nel primo secolo, negli ultimi giorni del Secondo Tempio, un rabbino chiamato Yehoshua Ben Gamla istituì una rete di scuole in tutto Israele. Il risultato fu che, a partire dall’età di sei anni, ogni bambino del Paese riceveva un’istruzione universale finanziata con fondi pubblici. Questo fu il primo sistema educativo del suo genere al mondo, e anche una chiara indicazione dell’impegno ormai familiare degli ebrei per l’istruzione e per garantire che i nostri figli siano alfabetizzati nella loro tradizione. Secondo il Talmud, la memoria del rabbino Yehoshua ben Gamla è benedetta, perché senza il suo intervento la Torah sarebbe stata dimenticata in Israele. Senza di lui, non ci sarebbe stata sopravvivenza dell’ebraismo e, in definitiva, nessun ebreo.
Ciò che Rabbi Yehoshua Ben Gamla e gli altri Saggi capirono, e ciò che non fu compreso al tempo di Chanukkah, fu che la vera battaglia contro i Greci non era militare, ma culturale. A quel tempo, i Greci erano i più grandi al mondo in molti campi. Erano senza pari nei loro progressi nell’arte, nell’architettura, nella letteratura, nel teatro, nella filosofia. Ancora oggi, i loro successi non sono mai stati superati. Ma gli ebrei credevano comunque, e sicuramente la storia lo ha confermato, che nell’Ebraismo, nell’antico Israele e ancora oggi nella sua eredità, ci sia qualcosa di speciale. Qualcosa per cui valga la pena lottare.
L’Ebraismo, con la sua enfasi sulla santificazione della vita e la convinzione che ogni essere umano sia stato creato a immagine di Dio, custodiva verità eterne che non potevamo abbandonare. Questa era la distinzione unica tra la cultura greca e il mondo della Torah e dell’Ebraismo. Di conseguenza, gli ebrei hanno sempre saputo che la vera battaglia non si combatte necessariamente sul campo di battaglia fisico con armi fisiche, ma piuttosto nei cuori e nelle menti delle generazioni future.
Così l’Ebraismo e il popolo ebraico divennero una fede e una nazione che non si concentrava più sui suoi eroi militari, ma su quelli spirituali. Divenne una civiltà radicata nei testi, nei maestri e nelle case di studio. Diventammo il popolo i cui eroi erano insegnanti, le cui cittadelle erano scuole e la cui passione era l’apprendimento e la vita della mente. Il risultato finale fu che l’Ebraismo sopravvisse e prosperò nel corso dei secoli, mentre l’Antica Grecia, la Grecia di Atene, la Grecia di Alessandro Magno, declinava. Infatti, fu solo poco tempo dopo gli eventi della storia Chanukkà che la Grecia iniziò il suo declino e Roma sorse per prenderne il posto.
Questo è il messaggio di Chanukkà e, per articolare la nostra storia, ci concentriamo in modo piuttosto bello e simbolico su un solo piccolo dettaglio della catena originale di eventi: quell’unica ampolla di olio puro e incontaminato fu trovata dai Maccabei tra le macerie e le impurità del Tempio, appena sufficiente per accendere la Menorah finché non si fosse potuto reperire altro olio.
Uno degli aspetti più interessanti di questo passaggio di prospettiva dal modo originale di raccontare la storia a quello attuale si riflette nel nome stesso della festa. Chanukkà, dalla parola chanuch, significa ri-dedicazione. Questo è ciò che i Maccabei fecero al Tempio. Lo ridedicarono, come descritto nei libri dei Maccabei. Eppure, col tempo, Chanukkà si è associata alla parola chinuch, che significa educazione. Ciò che abbiamo ridedicato non è stato un edificio fisico – il Tempio – ma incarnazioni viventi dell’Ebraismo, ovvero i nostri figli, i nostri studenti, le persone a cui insegniamo e tramandiamo la nostra eredità e i nostri valori.
Da festa di una vittoria militare, Chanukkà è diventata la festa di una vittoria spirituale e di civiltà. Credo che questa storia della nostra storia abbia un messaggio per tutti noi. Ci insegna questa verità fondamentale, tanto rilevante per le nostre vite oggi quanto lo è stata in passato: per difendere fisicamente un paese serve un esercito, ma per difendere una civiltà serve l’istruzione, servono educatori e servono scuole. Sono queste le cose che hanno mantenuto vivo lo spirito ebraico e la menorah dei valori ebraici accesa per secoli in una luce eterna. Spesso ciò che al momento sembra essere la notizia principale, la vittoria militare, è, col senno di poi, secondario rispetto alla vittoria culturale di trasmettere i propri valori alla generazione successiva e di assicurarsi che i propri figli, e i loro, illuminino il mondo. Chanukkà Sameach – Buon Chanukkà a tutti voi!



