di Michael Soncin
Yivo, Institute for Jewish Research, compie 100 anni. Dai vicoli di Varsavia e Lodz alle strade di New York. Fondato nel 1925 a Berlino e a Vilnius, lo YIVO ha come missione lo studio, la preservazione, la diffusione della storia e cultura Yiddish, il mondo degli ebrei dell’Europa orientale. Una memoria viva e vegeta: i 100 anni dello YIVO raccontati dal suo direttore, Jonathan Brent
È l’unico archivio ebraico prebellico ad essere sopravvissuto alla Shoah. Dalla fondazione nel 1925 a Berlino e a Vilnius ha avuto e ha come missione lo studio, la preservazione e la diffusione della storia e della cultura degli ebrei dell’Europa orientale, in tutto il mondo. Tra i suoi sostenitori ricordiamo personaggi illustri come Albert Einstein e Sigmund Freud. Oggi il prestigioso istituto, con un grande passato davanti a sé e nuovi progetti per il futuro, festeggia un secolo di esistenza.
Di questo importante anniversario abbiamo parlato con Jonathan Brent, direttore dello YIVO, un immigrato dalle radici polacche, trapiantate sul suolo americano. Brent è un accademico, coautore di Stalin’s Last Crime: The Plot Against the Jewish Doctors, 1948-1953 e direttore editoriale fino al 2009 presso la Yale Press, dove ha fondato l’acclamata collana Annals of Communism. Brent racconta a Bet Magazine la storia dell’Istituto, dalla sede di Vilnius in Polonia, attuale Lituania, dove era stato fondato nel 1925, fino al trasferimento a New York, a causa della Seconda guerra mondiale, dove risiede dal 1940. Così lo Yivo, Institute for Jewish Research, ha avuto una seconda vita e possibilità, come tanti ebrei fuggiti negli Stati Uniti e che si sono salvati dalle persecuzioni nazifasciste.
UN ARCHIVIO UNICO AL MONDO
«Non esiste altra organizzazione sull’intero pianeta che possieda collezioni come le nostre, risalenti a più di 500 anni fa, capaci di mostrare come si sono sviluppate le famiglie ebraiche e com’era la loro vita quotidiana. Questo è uno degli aspetti davvero importanti dello Yivo: riguarda la vita quotidiana e non i rituali religiosi».
L’unicità delle collezioni dello Yivo, di cui parla Brent, è facilmente quantificabile. Gli archivi contengono un numero impressionante di cose, 24 milioni di oggetti, tra raccolte e strumenti musicali, collezioni teatrali e artistiche, fotografie e film, manoscritti, diari, corrispondenze, memorie e documenti personali. La biblioteca invece ospita oltre 400.000 volumi in tutte le lingue europee ed è la sede della più grande collezione di libri, opuscoli, giornali e riviste in lingua yiddish al mondo.
«Abbiamo materiali italiani, spagnoli, africani, polacchi, russi, ucraini, americani e altri ancora. Ciò che l’Istituzione Yivo rappresenta è la storia racchiusa in questi materiali. Costituiscono un elemento fondamentale per l’identità ebraica e per il futuro degli ebrei che vivono non solo nella diaspora, ma anche per quelli che vivono in Israele».
CENT’ANNI DI RESILIENZA
«L’Istituto Yivo ha sofferto sia durante il regime nazista sia durante quello sovietico. La perseveranza di questa organizzazione, durante questo secolo, dimostra la forza delle nostre tradizioni e l’importanza di continuare a comprendere la storia e la resilienza del popolo ebraico dell’Europa orientale, nel periodo in cui fu sterminata. L’85% dei sei milioni di ebrei assassinati parlava yiddish: questa cifra rappresenta la maggioranza dei parlanti yiddish sulla Terra».
Ai giorni nostri, sono tantissime le persone che visitano lo Yivo: dalle scuole superiori, ebraiche e no, alle università; dagli studiosi di lingua yiddish ai gruppi di sinagoghe.
«Abbiamo anche funzionari governativi che non sono ebrei. È molto importante per il governo locale, per il governo federale, comprendere la storia ebraica di un popolo che a un certo punto rappresentava il 40% della popolazione della città di New York. Parte di queste persone hanno contribuito a costruire il teatro, Hollywood, gli ospedali, i musei, le biblioteche. È davvero significativo», commenta Brent.
FORD, IL CATTIVO MAESTRO DEL FÜHRER
Gli ebrei hanno avuto anche un ruolo importante nello sviluppo delle Unions, i sindacati negli Stati Uniti, soprattutto nel XX secolo, cosa poco gradita a Henry Ford, imprenditore americano di origini irlandesi, tra i fondatori della nota casa produttrice di automobili, che porta il suo cognome. Gli era stato detto che tutti gli ebrei erano comunisti.
«A Ford gli ebrei non piacevano comunque, perché erano coinvolti nella costruzione dei sindacati. Nel 1921 aveva pubblicato L’ebreo internazionale, un orribile libro antisemita, che parlava del progetto di dominio del mondo da parte degli ebrei. I nostri archivi sono quindi di estrema rilevanza perché aiutano a combattere l’antisemitismo, consentendo di comprendere come menzogne di questo tipo si siano rivelate una terribile calunnia contro il popolo ebraico. Il volume di Ford era sul comodino di Adolf Hitler ed è stato una parte determinante dell’intero progetto, inclusa la costruzione della scienza razziale, che equiparava gli ebrei ai bolscevichi».
L’IMPONENTE PROGETTO DI DIGITALIZZAZIONE
Fino a poco tempo fa, per consultare la colossale collezione bisognava recarsi fisicamente nella sala di lettura dello Yivo a New York. «Dal 2014 abbiamo iniziato a digitalizzare i nostri materiali. Era il momento di portare sul digitale tutto ciò che era stato salvato dallo Yivo prima della guerra. Per farlo abbiamo collaborato con il governo e varie istituzioni in Lituania, digitalizzando 2,5 milioni di documenti e circa 20.000 libri. Attualmente, altri 3 milioni di documenti sono stati aggiunti. Da 5000/6000 persone all’anno, che si recavano fisicamente sul posto, siamo passati a oltre 750.000 tra studenti, ricercatori e insegnanti, che consultano i nostri materiali online. Cosa significa questo? Che dobbiamo continuare a pubblicare i nostri documenti su internet, affinché anche voi in Italia possiate leggere questi materiali. L’accesso è gratuito». Sono diverse le sezioni tematiche che fanno parte di questo imponente progetto di digitalizzazione. Come spiega il direttore, al momento stanno scansionando 3,5 milioni di documenti sul Jewish Labor Bund, comunemente conosciuto come Bund, il movimento socialista ebraico, fondato nel 1897 a Vilnius.che includono i movimenti politici e sociali associati al Bund, sia in Europa sia in America. «Il progetto dovrebbe essere completato nel 2030. Successivamente, ci impegneremo in un altro massiccio progetto di digitalizzazione di tutto il nostro materiale genealogico. È di grandissimo valore per le persone in tutto il mondo che sono alla ricerca dei propri parenti. Riteniamo che sia nostro obbligo, responsabilità e dovere nei confronti del popolo ebraico rendere questo materiale il più disponibile possibile. Ed è di vitale importanza oggi, quando il mondo ebraico è così diviso e pieno di rancore tra un gruppo e l’altro. Non so come sia la situazione in Italia, ma negli Stati Uniti, tanti giovani ebrei sono contro Israele. Soprattutto tra i ragazzi ebrei in età universitaria a cui è stata inculcata un’ideologia di estrema sinistra. I loro insegnanti predicano questa ideologia. È tremendo. Quindi è più importante che mai diffondere questi materiali affinché le persone possano riconnettersi, non attraverso una fede in cui potrebbero o non potrebbero più credere, ma attraverso la storia famigliare, chi erano i loro nonni, le loro zie e zii. In altre parole, attraverso le loro famiglie».
YIVO E ISRAELE: LA SPERANZA NELLA NUOVA GENERAZIONE
L’istituto newyorkese ha avviato un nuovo programma di borse di studio con l’Università Ben-Gurion in Israele. Oltre agli scambi con diverse istituzioni israeliane, la collaborazione più stretta è con la Biblioteca Nazionale di Israele, attraverso le opere del grande scrittore yiddish Chaim Grade.

«Le due istituzioni hanno acquistato l’archivio di Grade, che si trova a New York presso lo Yivo e la Biblioteca Nazionale di Israele è stata d’aiuto nel digitalizzarlo. Entrambe sono comproprietarie dei diritti d’autore delle opere di Grade. Devo però sottolineare – spiega Brent – che le istituzioni israeliane non sembrano particolarmente interessate allo Yivo. Forse perché non sono interessate a quel tipo di cultura, alla materia yiddish. Probabilmente sono impegnate in altre questioni. Però so che tanti giovani israeliani sono molto curiosi di conoscere le loro radici dell’Europa orientale. Vanno in Polonia, in Ucraina e in Lituania, alla ricerca di informazioni sui loro nonni. Penso che stia nascendo una nuova generazione che contribuirà a rafforzare questo rapporto».
A proposito di nuove generazioni, ogni volta che mi capita di intervistare uno specialista del mondo yiddish c’è una domanda fissa che continuo a fare, nella speranza inconscia che possa darmi la risposta tanto voluta. Chiedo sempre, consapevolmente, se la letteratura yiddish, cancellata dalla Shoah, potrà mai vedere una nuova alba. Lo stesso ho chiesto a Jonathan Brent: «Sono sicuro che se avessi posto una domanda simile a qualcuno nel XIV secolo, ti avrebbe risposto: “No, lo yiddish è solo la lingua degli affari. La vera lingua degli ebrei è l’ebraico, quella è la lingua della creazione letteraria”. Eppure, sei secoli dopo, abbiamo Sholem Aleichem, abbiamo Isaac Leib Peretz, Avrom Sutzkever e Dovid Bergelson. Oggi sono circa 600.000 i parlanti yiddish, ma la maggior parte di loro sono chassidim, che non producono letteratura. Per loro, lo yiddish non è una lingua culturale. Al momento ritengo che non vi siano scrittori in yiddish significativi, anche se è qualcosa che tutti vorremmo. Nessuno sa cosa ci può riservare il futuro».
Jonathan Brent spiega che lo Yivo non è stato fondato in un anno qualsiasi: «Il 1925 fu un anno in cui gli ebrei provarono un grande senso di ottimismo per il futuro. La Prima guerra mondiale era finita e gli Accordi di Versailles, per quanto terribili sotto molti aspetti, per le minoranze dell’Europa orientale, in particolare per gli ebrei, rappresentarono una boccata d’aria fresca. Lenin era morto nel 1924. Era un periodo di relativa libertà e calma. Lo yiddish era incoraggiato in Unione Sovietica. La vita ebraica nell’Europa orientale fiorì per davvero in quel periodo. Poi nel 1941 i nazisti distrussero i nostri archivi, uccidendo molti leader ebrei dello Yivo. I ricercatori dello Yivo nel ghetto di Łódź, di Vilnius e di Varsavia, erano le persone che hanno tenuto traccia della vita degli ebrei nei campi». Da quando lo Yivo si è trasferito a New York nel 1940, con l’arrivo di Max Weinreich (1894-1969), è stato il momento di un nuovo inizio. Weinreich, fondatore e storico direttore dello Yivo in Polonia era intenzionato fin dall’inizio a dimostrare il merito dell’istituto. A contribuire al prestigio ci furono infatti personaggi del calibro di Chagall, ma anche Freud ed Einstein, che facevano parte del consiglio d’onore.
In un libro le meraviglie dello YIVO
Archivi e biblioteche sono luoghi potenti. Possono creare la storia o cancellarla», afferma Stefanie Halpern, direttrice delle collezioni dello Yivo, che in occasione del centenario del celebre istituto ha curato il volume 100 Objects from the Collections of the YIVO Institute for Jewish Research. Con i saggi di 57 studiosi di spicco e riccamente illustrato, questo libro è un viaggio nel tempo alla scoperta della civiltà ebraica dell’Europa dell’est. «Raccogliere e preservare i documenti è un atto decisivo che definisce quali storie riteniamo importanti e quali individui, famiglie, organizzazioni e persino nazioni debbano essere raccontate. Questo libro condivide solo una frazione dei tesori custoditi allo Yivo». E in questa frazione ritroviamo il diario di Theodor Herzl, il padre del Sionismo moderno, degli schizzi di Marc Chagall, un trio di burattini di Yosl Cutler che assieme a Zuni Maud ha fondato il primo teatro yiddish animato di burattini a New York e poi un manoscritto di Sholem Aleichem.
Proseguendo, una sezione interessante è dedicata alle riviste stampate in lingua yiddish. La più conosciuta e famosa di tutte è il Forverts, pubblicata a New York, di cui possiamo ammirare una delle prime copie, esattamente la numero cinque, datata al 30 maggio del 1897. Fondato da Abraham Cahan è stato uno dei periodici yiddish di piu ampio successo nella storia. Nel 1920 aveva raggiunto un milione di lettori. Nel corso della sua storia, oltre a parlare poi di letteratura e poesia è stato un prezioso aiuto per gli immigrati di lingua yiddish arrivati in America, poiché dava loro indicazioni su come votare, come farsi un’assicurazione o come si doveva camminare per le strade senza essere derubati.
In Unione Sovietica c’era poi il Birobidzhaner Shtern, un notiziario che veniva affisso sui muri. In origine era l’edizione bilingue, in yiddish e russo, poi è culminata in due differenti testate. Non era altro che un mix tra notizie internazionali e locali.


Nel periodo tra le due guerre, le piccole riviste yiddish fiorirono a livello globale, tra queste, incontriamo a Varsavia il Khalyastre (La Banda), i cui contenuti rispecchiano il tumulto della cultura ebraica del periodo, vivacissima testata su cui intervenivano anche autori come Isaac B. Singer. The Jewish Baker’s Voice, pubblicato nella Grande Mela, settimanalmente in yiddish e in inglese, è stato la voce dei panettieri ebrei newyorkesi che reclamavano i loro diritti di lavoratori per ottenere condizioni migliori. In origine le panetterie ebraiche non erano regolamentate e i fornai lavoravano in ambienti insopportabilmente caldi, dormendo spesso nelle cantine. Da 18 ore al giorno, riuscirono ad ottenere un turno di 7 ore. Sempre in Polonia, Der Yidisher Emigrant offriva principalmente ai potenziali emigranti una prospettiva utile sulle possibili destinazioni. Non poteva mancare un giornalino dedicato ai più piccoli: Kinderland, stampato a New York, era uno di questi, dove si vede nella copertina un’enorme capra arancione cavalcata da una ragazza raffigurata in una verde silhouette. Più “yiddish” di così!
Manger: un esotico (e pettegolo) cantastorie, da Ashkenaz ai personaggi biblici
Un autore da (ri)leggere e riscoprire, che ci fa capire che il paradiso non è sempre tutto latte e miele
Un’immancabile sigaretta accesa che gli pendeva dalle labbra, occhi fiammeggianti, capelli folti e spettinati. Questo era Itsik Manger a 27 anni, appena giunto a Varsavia nelle vesti – una delle tante adottate nel corso della sua vita, reali o (re)inventate – di poeta rumeno. Il suo arrivo nella città polacca, nel panorama della letteratura yiddish era alquanto esotico. «Il mio decennio più bello», così aveva definito quel periodo tra il 1928 e il 1938.
Esaminando la sua produzione artistica, quello è stato certamente il suo momento più prolifico, culminato poco dopo con la pubblicazione dell’opera forse più famosa al grande pubblico: Le meravigliose avventure di Shmuel- Abe Abervo, recentemente pubblicata in Italia da Belforte, editore livornese che quest’anno festeggia 220 anni dalla fondazione avvenuta nel 1805. La nuova edizione è impreziosita dalle stupende, sature illustrazioni (dallo stile italianissimo) di Michele Ferri. «È il canto del cigno del suo decennio più aureo», scrive nell’introduzione l’ebraista Mattia Di Taranto.
Il capolavoro in prosa parte dall’assunto che ogni bambino prima di nascere è stato un piccolo angelo che vive in paradiso; ma, al momento della nascita nel mondo terreno, viene accompagnato alla frontiera del paradiso, compito che spetta ad un angelo apposito con la funzione di tagliargli le ali, dandogli un leggero colpetto sul naso. Tale stratagemma servirebbe a fargli dimenticare la sua vita precedente e tutto quello che aveva appreso fino a quel momento. Sarebbe questo il motivo per cui i neonati devono imparare tutto da zero. Ebbene, il protagonista Shmuel-Abe Abervo riesce furbescamente ad evitare la cancellazione della memoria, arrivando sulla Terra con tutti i ricordi intatti della sua vita, prima della nuova nascita. E così condividerà questi aneddoti con i propri genitori e tre delle personalità più importanti del paese oltre… a noi increduli lettori. La sua impareggiabile testimonianza è come oro colato per i cercatori di pettegolezzi, perché svela le piccole manie e debolezze di rabbini, patriarchi e altri personaggi della Bibbia. Ci racconta che anche in paradiso non fila tutto liscio come si è soliti immaginare, ma che sicuramente è un posto migliore rispetto a ogni shtetl dell’Europa orientale. Una storia orchestrata così mirabilmente poteva fuoriuscire solo da un inchiostro intinto nel calamaio yiddish, capace di unire un misto tra provocazione, umorismo (ebraico ma tassativamente orientaleggiante) e rimandi alle sacre scritture.

Lo yiddish non è solo una lingua è un modo di essere, di pensare, di immaginare, di scrivere e anche sì… di disegnare (un capitolo a parte di cui si potrebbe parlare in un’altra sede sono gli illustratori). È uno stile! E Manger ne è una delle tante dimostrazioni. È stato un poeta, un drammaturgo, un prosatore e un saggista: un vero esploratore della parola. Parte di questa ricca produzione ha riguardato la materia biblica, unita al folklore ebraico. Da ricordare Megile-lider (Canti della Megillah), dove ha riscritto il Libro di Ester.
Chi era Itsik Manger
Manger nacque nel 1901, con nome di Isidor Helfer, a Cernovitz, nella multietnica e florida capitale della provincia asburgica di Bucovina. Il padre, che di mestiere faceva il sarto, aveva coniato il termine yiddish literatoyre, abbinamento di letteratura e Torah. Itsik nel corso della sua vita transitò in varie località europee. Quando i nazisti invasero la Francia lui si trovava a Parigi, ma riuscì fortunatamente a fuggire andando in Inghilterra. Gli ultimi anni della sua esistenza, piena di premi e riconoscimenti pubblici, li passò negli Stati Uniti e Israele, dove arrivò nel 1958, e che considerò simbolicamente come la sua casa. Ed è proprio lì a Gedera che nel 1968 è risalito nei giardini dell’Eden…
E chissà da lassù quali altri gossip che non sappiamo vorrebbe
raccontarci… (M. Soncin)
All0 YIVO 50 appuntamenti all’anno
Lezioni, conferenze e concerti, con la partecipazione di studiosi, scrittori, artisti e performer pluripremiati, vanno a formare un calendario annuale di quasi 50 appuntamenti. Impossibile quindi anche solo accennare agli innumerevoli eventi e corsi online e dal vivo, che lo Yivo porta avanti, per coloro che non solo vogliono imparare la lingua yiddish, ma anche la cultura degli ebrei ashkenaziti dell’Europa orientale. Tra questi, da non perdere è il programma Uriel Weinreich di lingua, letteratura e cultura yiddish. È il più antico programma intensivo di apprendimento dello yiddish che si tiene ogni estate del 1968. L’autorevolezza dell’istituto può sembrare ovvia, ma è bene rimarcare che le regole dello Yivo per la traslitterazione dallo yiddish all’inglese rappresentano lo standard più accettato e utilizzato da editori e accademici.
Le mostre per il centenario YIVO
In occasione dei 100 anni, Yivo ha realizzato tre mostre che mettono in luce le storie emerse dalle sue straordinarie collezioni, visibili al pubblico fino al 31 dicembre 2025 (i titoli qui riportati sono tradotti in italiano dall’inglese, ndr). C’è Evviva gli Zamlers! Le collezioni di YIVO raggiungono i 100 anni, che rende omaggio agli zamlers (“collezionisti”), coloro che hanno raccolto i pezzi ora parte dello straordinario patrimonio dello Yivo: libri, documenti opere d’arte e oggetti. Poi La brigata di carta: il contrabbando dei tesori ebraici nella Vilnius occupata dai nazisti, esposizione che onora un gruppo di coraggiosi poeti e studiosi ebrei che durante la Shoah ha rischiato la propria vita salvando libri e manoscritti rari dall’edificio dello Yivo, nascondendoli nella speranza che sopravvivessero alla guerra. Infine, La Biblioteca Strashun: libri rari salvati dalle ceneri di Vilnius, fondata nel 1892 a Vilnius, costruita sulla prestigiosa collezione del rinomato studioso e bibliofilo Rabbino Matisyahu Strashun. Un patrimonio che è stato in parte salvato e digitalizzato, preservando così l’eredità della vita ebraica a Vilnius, conosciuta anche come la “Gerusalemme della Lituania”.
Info: Yivo.org
Foto in alto: © John_Halpern



