Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Il significato degli eventi di Chayè Sara è che Abramo realizzò che Dio contava su di lui. La fede non significa passività. Significa il coraggio di agire e di non lasciarsi mai scoraggiare. Il futuro accadrà, ma siamo noi – ispirati, potenziati, rafforzati dalla promessa – a doverlo realizzare. (Incisione del 1868 sull’incontro fra Rebecca e Isacco).
La parashà di Chayè Sara si concentra su due episodi, entrambi narrati a lungo e con dettagli intricati.
Abramo compra un campo con una grotta come luogo di sepoltura per Sara, e da istruzioni al suo servo per cercare una moglie per suo figlio Isacco.
Perché questi due eventi? La risposta semplice è perché sono accaduti. Tuttavia, questo non può essere tutto. Noi fraintendiamo la Torà se la pensiamo come un libro che ci racconta semplicemente cosa è successo. Questo è una spiegazione necessaria, ma non sufficiente, del racconto biblico. La Torà identificandosi come tale, definisce il suo stesso genere. Non è un libro di storia. Torà significa “insegnamento”. Racconta cosa è successo solo quando gli eventi che sono accaduti allora hanno rilevanza per ciò che dobbiamo sapere ora.
Qual è dunque “l’insegnamento” in questi due episodi? La risposta è inaspettata.
Abramo, il primo portatore del patto, riceve due promesse – entrambe dichiarate cinque volte.
La prima è riguardo a una terra. Più e più volte gli viene detto, da Dio, che la terra verso cui ha viaggiato – Canaan – sarà un giorno sua:
1. Allora il Signore apparve ad Abram e disse: “Ai tuoi discendenti darò questa terra.” Lì costruì un altare al Signore, che gli era apparso. (Genesi 12:7)
2. Dopo che Lot si era separato da lui, il Signore disse ad Avram: “Alza i tuoi occhi e guarda intorno da dove sei verso nord, sud, est e ovest. Tutta la terra che vedi la darò a te e ai tuoi discendenti per sempre… Alzati e cammina lungo la lunghezza e la larghezza della terra, perché a te la darò.” (Genesi 13:14-17)
3. E gli disse: “Io sono il Signore che ti ho fatto uscire da Ur dei Caldei per darti questa terra da possedere.” (Genesi 15:7)
4. In quel giorno il Signore fece un patto con Avram: “Ai tuoi discendenti darò questa terra, dal Fiume d’Egitto al grande fiume Eufrate, la terra dei Keniti, dei Kenizziti, dei Kadmoniti, degli Ittiti, dei Perizziti, dei Refaim, degli Amorrei, dei Cananei, dei Gergesei e dei Gebusei.” (Genesi 15:18-21)
5. “Stabilirò il Mio patto tra Me e te e i tuoi discendenti dopo di te attraverso le generazioni: un patto eterno. Sarò Dio per te e i tuoi discendenti dopo di te, e darò a te e ai tuoi discendenti dopo di te la terra dove ora vivete come stranieri, l’intera terra di Canaan, in possesso eterno, e sarò il loro Dio.” (Genesi 17:7-8)
La seconda era la promessa dei figli, anch’essa dichiarata cinque volte:
1. “Farò di te una grande nazione, e ti benedirò e renderò grande il tuo nome. Diventerai una benedizione.” (Genesi 12:2)
2. “Farò i tuoi discendenti come la polvere della terra: se qualcuno potesse contare la polvere della terra, solo allora i tuoi discendenti potrebbero essere contati.” (Genesi 13:16)
3. Lo portò fuori e disse: “Guarda il cielo e conta le stelle – se davvero puoi contarle.” Gli disse: “così saranno i tuoi discendenti.” (Genesi 15:5)
4. “E Dio gli disse: ‘Per quanto riguarda Me – questo è il Mio patto con te: sarai padre di una moltitudine di nazioni. Non sarai più chiamato Avram. Il tuo nome sarà Avraham, perché ti ho reso padre di una moltitudine di nazioni.’” (Genesi 17:4-5)
5. “Ti benedirò grandemente e farò i tuoi discendenti numerosi come le stelle del cielo, come la sabbia sulla riva del mare.” (Genesi 22:17)
Queste sono promesse straordinarie. La terra nella sua lunghezza e larghezza sarà di Abramo e dei suoi figli come “possesso eterno”. Abramo avrà tanti figli quanto la polvere della terra, le stelle del cielo e la sabbia sulla riva del mare. Sarà padre, non di una sola nazione, ma di molte. Tuttavia, quale è la realtà al momento della morte di Sara? Abramo non possiede alcuna terra e ha solo un figlio (ne aveva un altro, Ismaele, ma gli era stato detto che non sarebbe stato il portatore del patto).
Il significato dei due episodi è ora chiaro. In primo luogo, Abramo affronta una lunga trattativa con gli Ittiti per acquistare un campo con una grotta in cui seppellire Sara. È un incontro teso, persino umiliante. Gli Ittiti dicono una cosa e ne intendono un’altra. Come gruppo, dicono: “Signore, ascoltaci. Tu sei un principe di Dio in mezzo a noi. Seppellisci il tuo morto nella migliore delle nostre tombe”. (Genesi 23:6) Efron, il proprietario del campo che Abramo desidera acquistare, dice: “Ascoltami, ti cedo il campo e ti cedo la grotta che vi si trova. Te la cedo alla presenza del mio popolo. Seppellisci il tuo morto”. (Genesi 23/11)
Come il racconto chiarisce, questa elaborata generosità è di facciata ad una contrattazione estremamente dura. Abramo sa di essere “un forestiero e straniero tra voi” (Genesi 23:4) significando, tra le altre cose, che non ha diritto a possedere terra. Questo è il senso della loro risposta che, spogliata del suo velo di cortesia, significa: “Usa uno dei nostri luoghi di sepoltura. Non puoi acquisire il tuo.” Abramo non si lascia scoraggiare. Insiste nel voler comprare il suo. La risposta di Efron – “È tuo. Te lo do” – è in realtà il preludio a una richiesta di prezzo gonfiato: quattrocento sicli d’argento. Alla fine, tuttavia, Abramo possiede la terra. Il trasferimento finale della proprietà è registrato in precisa prosa legale (Genesi 23:17-20) per segnalare che, finalmente, Abramo possiede una parte della terra. È una piccola parte: un campo e una grotta. Un luogo di sepoltura, comprato a caro prezzo. Questa è tutta la promessa divina della terra che Abramo vedrà nella sua vita.
Il capitolo successivo, uno dei più lunghi nei libri mosaici, racconta della preoccupazione di Abramo affinché Isacco abbia una moglie.
Lui ha – dobbiamo presumere – almeno 37 anni (la sua età alla morte di Sara) e ancora non è sposato. Abramo ha un figlio ma nessun nipote e nessuna discendenza. Come con l’acquisto della grotta, così qui: acquisire una nuora richiederà molto denaro e dure trattative.
Il servo, arrivato nei pressi della famiglia di Abramo, trova subito la ragazza, Rebecca, prima ancora di aver finito di pregare Dio di aiutarlo a trovarla. Assicurarsi che venga liberata dalla sua famiglia è un’altra questione. Egli porta oro, argento e vestiti per la ragazza. Dà costosi doni al fratello e alla madre. La famiglia fa un pasto celebrativo. Ma quando il servo vuole partire, il fratello e la madre dicono: “Lascia che la ragazza resti con noi per un altro anno o dieci [mesi].” (Genesi 24:55) Labano, il fratello di Rebecca, svolge un ruolo non diverso da quello di Efron: la parvenza di generosità nasconde una determinazione dura, persino sfruttatrice, per ottenere un affare proficuo. Alla fine la pazienza dà i suoi frutti. Rebecca parte. Isacco la sposa. Il patto continuerà.
Questi, quindi, non sono episodi minori. Raccontano una storia difficile. Sì, Abramo avrà una terra. Avrà infiniti figli. Ma queste cose non accadranno presto, né all’improvviso, né facilmente. Né avverranno senza sforzo umano. Al contrario, solo la volontà più concentrata li porterà a compimento. La promessa divina non è ciò che sembrava all’inizio: una dichiarazione che Dio agirà. È in realtà una richiesta, un invito, da Dio ad Abramo e ai suoi figli a che agiscano. Dio li aiuterà. Il risultato sarà quello che Dio ha detto. Ma non senza totale impegno della famiglia di Abramo contro ostacoli che a volte sembreranno insuperabili.
Una terra: Israele. E figli: continuità ebraica. Il fatto straordinario è che oggi, quattromila anni dopo, rimangono le preoccupazioni dominanti degli ebrei in tutto il mondo – la sicurezza e protezione di Israele come casa ebraica, e il futuro del popolo ebraico. Le speranze e le paure di Abramo sono le nostre. (Esiste forse un altro popolo, mi chiedo, le cui preoccupazioni oggi sono quelle di quattro millenni fa? L’identità attraverso il tempo è stupefacente).
Ora come allora, la promessa divina non significa che possiamo lasciare il futuro a Dio. Questa idea non ha posto nel mondo immaginativo del primo libro della Torà. Al contrario: il patto è la sfida di Dio a noi, non nostra a Dio. Il significato degli eventi di Chayè Sara è che Abramo realizzò che Dio contava su di lui. La fede non significa passività. Significa il coraggio di agire e di non lasciarsi mai scoraggiare. Il futuro accadrà, ma siamo noi – ispirati, potenziati, rafforzati dalla promessa – a doverlo realizzare.
di Rabbi Jonathan Sacks zzl



