di Nathan Greppi
Una recente inchiesta del sito d’informazione americano Washington Free Beacon sostiene che un ente sostenuto dalle Nazioni Unite ha silenziosamente cambiato i propri standard per fare in modo che sia più facile denunciare la presenza di una carestia a Gaza.
Nel corso dei decenni, l’ONU ha più volte dimostrato di essere prevenuta a priori nei confronti d’Israele. Lo ha fatto nel 1960, quando ha contestato la cattura in Argentina da parte dell’intelligence israeliana del gerarca nazista Adolf Eichmann. Lo ha fatto nel 1975, quando ha emanato una risoluzione che equiparava il sionismo al razzismo (annullata nel 1991). E lo ha fatto nel 2016, quando l’UNESCO ha negato il legame storico degli ebrei con il Monte del Tempio e il Muro del Pianto a Gerusalemme.
Questa ostilità sembra essere ulteriormente confermata da una recente inchiesta del sito d’informazione americano Washington Free Beacon, la quale sostiene che un ente sostenuto dalle Nazioni Unite ha silenziosamente cambiato i propri standard per fare in modo che sia più facile denunciare la presenza di una carestia a Gaza.
Il rapporto
L’Integrated Food Security Phase Classification (IPC), una rete composta da governi occidentali, l’ONU e diverse organizzazioni no-profit, ha stabilito in un rapporto del 29 luglio che “nella Striscia di Gaza si sta attualmente verificando lo scenario peggiore di carestia”, affermando che “prove crescenti dimostrano che la fame diffusa, la malnutrizione e le malattie stanno causando un aumento dei decessi correlati alla fame”.
Testate come il New York Times, NPR, CNN ed ABC News si sono basate sul rapporto dell’IPC per affermare che le politiche israeliane hanno portato ad una carestia di massa. Il NY Times, in particolare, ha affermato che “mesi di severe restrizioni agli aiuti imposte da Israele sul territorio” hanno provocato una carestia “nella maggior parte di Gaza”.
Cambio di parametri
A differenza dei precedenti rapporti dell’IPC sulla situazione umanitaria a Gaza, il rapporto di luglio include un parametro, noto come “mid-upper arm circumference” (MUAC), che l’agenzia non ha mai utilizzato prima per determinare se si stia verificando una carestia. Il rapporto include anche una soglia ridotta per la percentuale di bambini che devono essere considerati malnutriti affinché l’IPC confermi la carestia, abbassata dal 30% al 15%.
Gli operatori umanitari tradizionalmente effettuano misurazioni dettagliate di peso e altezza per determinare se un bambino soffre di malnutrizione acuta. Il MUAC, al contrario, consiste solo nella circonferenza del braccio del bambino, una misurazione che può essere effettuata più rapidamente ed è ritenuta meno precisa. In passato, l’IPC ha dichiarato lo stato di carestia dopo aver scoperto che il 30% dei bambini in una determinata area soffriva di malnutrizione acuta, basandosi sulle misurazioni di peso e altezza. Nel recente rapporto su Gaza, invece, l’IPC ha affermato che avrebbe dichiarato lo stato di carestia se avesse scoperto che il 15% dei bambini soffriva di malnutrizione acuta, basandosi sulla misurazione della circonferenza del braccio e se avesse riscontrato “prove non specificate di un rapido peggioramento delle cause sottostanti”.

Critiche di settore
Il cambiamento negli standard, secondo un veterano nel settore degli aiuti umanitari interpellato dal Washington Free Beacon, suggerisce che l’IPC stia “abbassando l’asticella o cercando di rendere più facile determinare la presenza di una carestia”.
Secondo i dati raccolti unicamente sulla base del MUAC, meno dell’8% dei bambini a Deir al-Balah e Khan Yunis soffre di malnutrizione acuta. Tale percentuale è del 16,5% a Gaza City, appena al di sopra della nuova soglia del 15% ma ben al di sotto del livello del 30% tradizionalmente utilizzato dall’IPC.
Stando al Beacon, alcuni operatori umanitari intervistati dal sito avrebbero contestato l’utilizzo dei nuovi parametri. Uno, in particolare, ha fatto riferimento alle precedenti dichiarazioni di carestia rilasciate dall’IPC in Somalia, Sudan e Sudan del Sud, che utilizzavano tutte un altro parametro. “In tutte le carestie dichiarate, è stato utilizzato il 30% di malnutrizione totale, la maggior parte delle quali si basava sul rapporto peso/altezza che, ancora una volta, è molto più difficile da raccogliere, molto più oneroso, e si attesta sul 30%”, ha affermato la fonte. Ha aggiunto che abbassare l’asticella per Gaza equivale a “rendere più possibile, in sostanza, dichiarare qualsiasi cosa si voglia dichiarare”.
Fonti non attendibili
Oltre agli standard modificati, il rapporto di luglio dell’IPC afferma che “oltre 20.000 bambini sono stati ricoverati per cure di malnutrizione acuta tra aprile e metà luglio, di cui più di 3.000 gravemente malnutriti”. Afferma inoltre che gli ospedali di Gaza “hanno segnalato un rapido aumento dei decessi per fame tra i bambini di età inferiore ai cinque anni, con almeno 16 decessi segnalati dal 17 luglio”.
Tali dichiarazioni, come mostra la sezione “riferimenti” del rapporto, si basano su “documenti interni” provenienti da fonti “non pubblicamente disponibili”, rendendo impossibile per osservatori esterni verificarne l’attendibilità. Spesso i dati grezzi valutati dall’IPC provengono dal Ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas e che già in passato ha manipolato il numero dei morti, e da altre organizzazioni “umanitarie” vicine ai terroristi. Uno dei principali gruppi a fornire dati all’IPC, ad esempio, è Ard el Insan, che collabora a stretto contatto con il Ministero della Sanità di Gaza ed è stato accusato dall’istituto di ricerca israeliano NGO Monitor di fungere da copertura per Hamas.