di Marina Gersony
Il mondo della letteratura è scosso da un’onda lunga del conflitto mediorientale, che ora investe anche il piano culturale: sempre più autori, da Isabel Allende a Sally Rooney, scelgono di non farsi tradurre in ebraico, tagliando l’accesso diretto al pubblico israeliano.
La cilena Allende, ad esempio, ha dichiarato che «non è il momento giusto per pubblicare in Israele». Una scelta simile a quella della Rooney, che ha bloccato la versione in ebraico del suo ultimo romanzo in segno di adesione al movimento BDS.
Ma c’è una conseguenza meno visibile – e più preoccupante – che emerge da Israele. Deborah Harris, agente letteraria di punta, che negli ultimi cinquant’anni ha rappresentato i diritti di traduzione di 140 scrittori israeliani ed ebrei in oltre cinquanta Paesi, denuncia in un’intervista drammatica al magazine Hadassah quanto si sia inasprito il boicottaggio: «Le vendite sono calate del 70%» e «molti titoli israeliani non trovano più spazi all’estero».
Il boicottaggio, dunque, non colpisce solo gli autori occidentali: ricade pesantemente anche sugli scrittori israeliani, riducendone visibilità, scambi e opportunità. Dietro queste scelte laceranti (da un lato un intento “etico” – che però, guarda caso, si rivolge solo contro Israele e non per dire Turchia, Iran… -, dall’altro un impatto culturale ed economico devastante) si apre una riflessione urgente.
La letteratura dovrebbe essere ponte, non barriera. Ma quando diventa strumento di protesta rischia di confinare i lettori nei margini delle proprie responsabilità politiche. Chi paga il prezzo? Proprio la cultura, nel suo significato più profondo: lo scambio, la comprensione reciproca, la forza dirompente delle parole.
Può la letteratura sopravvivere ai confini imposti dai gesti simbolici? E, se sì, a quale costo per il dialogo e la pluralità culturale? Ma Harris resta battagliera: «Non credo che le cose resteranno così. Non sono disposta ad accettare che i nostri libri non vengano pubblicati. Credo che le cose stiano iniziando a cambiare. Ci sono persone, editor e co-agenti in vari Paesi che lavorano con noi e che sono instancabili quanto noi. Basta un libro per spezzare la maledizione del libro israeliano».