di Fiona Diwan
C’era una volta una nana che a dorso d’asino andava a raccattare in giro femmine folli e le conduceva verso un reame lontano per consegnarle alle cure creative di un Primario…
Quella qui narrata è una fiaba disturbata, una fiaba per adulti che racconta di un viaggio nel disagio mentale e nella follia femminile, di impazzimenti veri e presunti, devianza reale o decretata dagli altri, mariti, fratelli, madri, padri… Eccole le eroine borderline, bipolari, schizoidi, depressive, alienate, raccontate dal talento di Danielle Sassoon, uno spunto che si origina dall’elenco delle patologie che autorizzavano l’internamento delle donne in manicomio fino al 1978, prima dell’entrata in vigore della legge Basaglia. Perché, incredibile a leggersi, una donna poteva finire in manicomio per un nonnulla e se presentava le seguenti malattie (da non credersi): loquacità, instabilità, stravaganza, capricciosità, esibizionismo, civettuolità, ninfomania, esuberanza, insolenza, irosità, petulanza, attitudine menzognera… Queste alcune delle 33 diagnosi previste dall’insigne psichiatria di allora. Ecco allora un libro per raccontare l’alienazione in forma di favola ma anche un volume che è un mirabile e prezioso libro d’arte, la sintesi matura e sconvolgente di un talento artistico unico, dispiegato su due linguaggi, il disegno e la scrittura.
Un percorso narrativo che affonda nell’esperienza della marginalità e dell’esilio interiore sperimentato da Danielle Sassoon in anni giovanili e da cui oggi si dichiara guarita. Il ritmo del racconto è da fiaba, da filastrocca, rassicurante e feroce al tempo stesso: ci si avventura in territori pericolosi, ci sono mostri, c’è la minaccia, la paura e una liberazione che non ti aspetti. I disegni riproducono spazi chiusi e asfittici, stanze che non proteggono ma ingoiano, muri spalancati su profondità abissali, ambienti famigliari claustrofobici che respingono: il racconto si tinge qui e là di atmosfere allucinate e surreali, alla Kafka, mentre il disegno è di una vitalità corrosiva (che ricorda Francisco Goya), con una immaginazione abitata da una vena dissacrante e disturbante, che vuole denunciare ciò su cui la presunta gentilezza dei nostri sguardi si rifiuta di posarsi… Un canto per gli emarginati, la poesia degli sconfitti e dei non-salvati, il grottesco, l’infelice, lo sgraziato, il fragile, tutti inghiottiti da voragini dolorose, tutti caduti sul piano inclinato della vita e della perdita di sè. Questo vuole raccontare Sassoon.
Ispirato visivamente all’Art Brut e alle opere di Carol Rama, ai fumetti anni Ottanta della rivista Frigidaire di Tanino Liberatore ma anche alla vivida e disturbante audacia delle fotografie di Diane Arbus e Lisette Model, il volume trasmette l’idea che a essere bipolare è l’umanità stessa e che curarla con la rimozione ha sempre causato effetti tragici e nefasti. Perché, come diceva il grande storico dell’arte Aby Warburg (ricoverato per anni in una clinica psichiatrica), l’arte racconta storie di fantasmi e nel suo narrare riattiva “il percorso della psiche lungo i margini di un abisso che sempre tentiamo di rimuovere e sempre si spalanca”.
Danielle Sassoon, Il Raglio, Corsiero editore, pp. 93, 35,00 euro