Quello fascista? Un antisemitismo politico, utilitaristico e consapevole

di Ilaria Myr

Con l’introduzione dell’antisemitismo di Stato, Mussolini reinventa una nuova figura di nemico, scegliendo il bersaglio più probabile, gli ebrei, in un’epoca in cui essere nazionalisti e fascisti vuol dire anche essere antisemiti. Parla la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci, che loda la ricerca storica italiana sull’argomento, ma ammonisce: «attenzione a un nuovo movimento
di riabilitazione del fascismo»

Fino al 1938 gli ebrei sono ammessi all’interno del partito Nazionale fascista e, in alcuni casi, ne ricoprono delle responsabilità. Sempre fino a quell’anno, le pubblicazioni antisemite si contano sulle dita di una mano e Mussolini, pur essendo antisemita, non dimostra un atteggiamento ossessivo e strutturale come Hitler. Eppure, nel 1938 tutto cambia per gli ebrei italiani: vengono espulsi da ogni ambito della società, i pamphlet antisemiti si moltiplicano vertiginosamente e il Duce, quando capisce che l’antisemitismo può tornargli utile politicamente, emana una legislazione antiebraica, in alcuni casi più dura di quella di Norimberga. Tutti questi pezzi, insieme, vanno a comporre un puzzle complicato, difficile ancora oggi da mettere insieme, che caratterizza la politica antisemita dell’Italia fascista e che la storica francese Marie-Anne Matard-Bonucci, massima esperta di questi temi, non esita a definire “fenomeno di discontinuità”. In occasione degli 80 anni delle Leggi razziali non potevamo non intervistarla su questo argomento.

Quali sono i metodi con cui gli storici oggi trattano le Leggi razziali del 1938?
Negli ultimi due decenni su questo tema sono stati fatti molti studi. Condotti inizialmente sotto l’impulso del CDEC di Milano e di Michele Sarfatti (dopo i libri pionieristici di M. Michaelis e De Felice), hanno poi fatto il loro ingresso nelle università italiane e straniere. Non senza ironia, uno di questi studiosi, Alberto Cavaglion, costatava l’esistenza di una vera moda storiografica che comunicava l’idea «che l’Italia avesse conosciuto un antisemitismo di intensità comparabile con quello di Vienna, Berlino o Praga». Oggi disponiamo di studi monografici sulla maggioranza delle città e delle province in cui esistevano delle importanti comunità ebraiche e sulle diverse misure di persecuzione a cui furono sottoposte: spoliazioni, esclusioni professionali, divieto di frequentare la scuola, “epurazione culturale” e, certamente, deportazione, grazie in particolare al lavoro di Liliana Picciotto. Si comincia anche a conoscere bene il funzionamento dei campi italiani, grandi e piccoli. Oggi esiste una nuova generazione di giovani ricercatori, grazie anche agli aiuti dati dalla Fondazione per la Memoria della Shoah. In Francia sarebbe bello avere una storiografia così ricca e abbondante sul regime di Vichy.

A suo avviso, è vero che gli italiani non hanno ancora fatto i conti con la propria responsabilità nelle Leggi razziali?
La risposta dipende da che punto si osserva la situazione. A livello delle istituzioni e della ricerca non è vero, mentre, al contrario, esiste un movimento inquietante di riabilitazione del fascismo che conduce talvolta sia a minimizzare la portata delle Leggi razziali, sia ad attribuirne la responsabilità (nonostante quarant’anni di contributi storiografici) ai nazisti.

In particolare, che cosa ha portato Mussolini all’emanazione delle Leggi razziali? L’alleanza con Hitler, come vuole la vulgata, o un piano preciso precedente al Patto d’acciaio?
Fra gli storici ci sono ancora dibattiti su questo punto, ma l’esistenza stessa della discussione testimonia chiaramente la ricchezza dei dibattiti nel vostro Paese. Personalmente considero difficile non prendere in considerazione il fenomeno di discontinuità che segna l’adozione delle leggi antiebraiche. Gli ebrei sono ammessi all’interno del Partito Nazionale Fascista e in alcuni casi vi ricoprono delle responsabilità. Prima del 1937-1938, la presenza dell’antisemitismo politico (soprattutto se lo si paragona ad altri contesti nazionali come la Francia o la Germania) resta limitato. Esistono certamente dei fascisti e degli antisemiti “militanti”, ma sono poco influenti e tenuti a distanza da Mussolini. Da questo punto di vista, è interessante osservare il panorama delle pubblicazioni: dal 1938 si ha una crescita esponenziale di pamphlet antisemiti, che fra il 1922 e il 1937 si contavano sulle dita di una mano. Mussolini stesso è antisemita ma non in maniera strutturale e ossessiva come Hitler. È solo quando decide che la persecuzione degli ebrei ha un’utilità politica che mette in atto delle iniziative che rispondono a tre istanze del totalitarismo fascista. Si tratta prima di tutto di mantenere una pressione sulle élite politico-amministrative del regime che devono essere costantemente mobilitate, contro uno o più nemici reali o immaginari. Nel 1937 l’Italia conosce un momento di pausa dopo i grandi raduni nazionalisti per la guerra di Etiopia e le mobilitazioni – già meno popolari – per la guerra di Spagna. Con l’introduzione dell’antisemitismo di Stato, Mussolini reinventa una nuova figura di nemico, scegliendo il bersaglio più probabile in un contesto internazionale in cui molti Paesi, nel campo magnetico della Germania, adottano legislazioni antisemite. La Germania non impone la decisione di escludere gli ebrei, ma non è assente da questo contesto. Nella nebulosa di estrema destra che si rafforza dappertutto in Europa, è diventato sempre più difficile professare una fede nazionalista e fascista senza essere antisemiti. In pochi mesi, il regime crea una dottrina, una tradizione e un corpus di leggi antiebraiche rigorosamente applicate.
Se l’adozione delle Leggi razziali rappresenta senza dubbio una “svolta” nella storia del regime, dall’estate del 1938 l’antisemitismo diventa una componente a tutti gli effetti della cultura e delle pratiche politiche del fascismo.

In che cosa le Leggi razziali sono diverse da quelle tedesche di Norimberga?
In molti ambiti sono comparabili, mentre in materia di definizione dell’ebraicità l’Italia va anche più lontano della Germania nella definizione dei criteri cosiddetti biologici. Come la Germania, l’Italia vieta i matrimoni misti, ma non prevede la privazione della nazionalità, se non per quegli ebrei che l’hanno acquisita dopo l’1 gennaio 1919. Come in Germania, una moltitudine di divieti professionali, aggravata da varie aggiunte da parte delle amministrazioni, rende la vita degli ebrei sempre più difficile. Gli ebrei sono impoveriti e presto derubati dei propri beni. Queste persecuzioni si aggravano fortemente nel periodo della Repubblica Sociale italiana, durante la quale – questa volta sì – gli ebrei sono considerati come stranieri appartenenti a una “nazionalità nemica”. Come è ben documentato, le autorità della RSI partecipano in maniera attiva al loro arresto e deportazione.

A suo avviso quali sono i prossimi passi che la storiografia deve fare per arrivare a una comprensione maggiore e più profonda delle Leggi razziali?
La questione che resta ancora da documentare è quella della relazione fra ebrei e non ebrei durante questo periodo. L’idea dello storico Friedlander di sviluppare una storia “integrata” della Shoah che prenda in considerazione l’insieme di attitudini e reazioni delle popolazioni ebraiche e di quelle situate “alla frontiera” (come le definisce Cardosi), può essere applicata all’Italia. Il ruolo della Chiesa, poi, ha luci e ombre, ed è lontano dall’essere stato studiato in maniera esaustiva. Infine, le prospettive di storia comparata sono estremamente utili per valorizzare l’esistenza di circolazioni transnazionali in materia di politiche di persecuzione e al contempo le varie singolarità nazionali. Per concludere, soprattutto nel contesto attuale di risveglio della xenofobia, mi sembra che l’esempio italiano, anche se il fascismo creò delle condizioni particolari, inviti anche a riflettere sulle possibili conseguenze della strumentalizzazione politica delle questioni identitarie.

CHI È
Marie-Anne Matard-Bonucci è docente di Storia Contemporanea all’Università di Paris 8, nonché membro del prestigioso IUF, Institut Universitaire de France e fondatrice del Centro di ricerca e studi contro il razzismo e l’antisemitismo, che ha creato dopo il 7 gennaio 2015 e gli attentati a Charlie Hebdo e all’Hypercacher. È autrice di numerosi libri tra cui L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino. Il suo ultimo libro è Totalitarisme fasciste, CNRS Edition, 2018.