Parashat Vayerà. Onoriamo Dio onorando la Sua immagine: l’umanità

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Gli idolatri del tempo di Abramo adoravano il sole, le stelle e le forze della natura come dèi. Adoravano il potere e i potenti. Abramo sapeva, tuttavia, che Dio non è nella natura ma al di là della natura. C’è una sola cosa nell’universo sulla quale Egli ha impresso la Sua immagine: la persona umana, ogni persona, potente e impotente allo stesso modo.

 

È una delle scene più famose della Bibbia. Abramo è seduto all’ingresso della sua tenda, nel calore del giorno, quando tre sconosciuti passano di lì. Egli li invita a riposarsi e a prendere un pò di cibo. Il testo li chiama anashim – “uomini”. In realtà sono angeli, venuti per dire a Sara che avrà un figlio (Genesi 18).

Il capitolo sembra semplice. Tuttavia, è complesso e ambiguo.
È composto da tre sezioni:
Versetto 1: Dio appare ad Abramo.
Versetti 2–16: Abramo e gli uomini/angeli.
Versetti 17–33: Il dialogo tra Dio e Abramo riguardo al destino di Sodoma.

Come sono collegate tra loro queste sezioni? Si tratta di una scena, di due o di tre?
La risposta più ovvia è tre. Ognuna delle sezioni sopra indicate è un evento separato.
Per prima cosa, Dio appare ad Abramo, come spiega Rashi, “per visitare il malato” dopo la circoncisione di Abramo. Poi arrivano i visitatori con la notizia del figlio di Sara. Infine, ha luogo il grande dialogo sulla giustizia.

Maimonide suggerisce (Guida dei perplessi II:42) che ci siano due scene (la visita degli angeli e il dialogo con Dio). Il primo versetto non descrive affatto un evento. È, piuttosto, un’intestazione di capitolo.

La terza possibilità è che abbiamo una singola scena continua. Dio appare ad Abramo, ma prima che Egli possa parlare, Abramo vede i passanti e chiede a Dio di aspettare mentre offre loro del cibo. Solo quando essi se ne sono andati – al versetto 17 – egli si rivolge di nuovo a Dio, e la conversazione inizia.

Il modo in cui interpretiamo il capitolo influenzerà il modo in cui traduciamo la parola Adonai nel terzo versetto. Potrebbe significare (1) Dio, oppure (2) “miei signori” o “signori”.
Nel primo caso, Abramo si rivolgerebbe al Cielo. Nel secondo, starebbe parlando ai passanti.

Diverse traduzioni inglesi adottano la seconda opzione. Eccone un esempio: Il Signore apparve ad Abramo… Egli alzò gli occhi e vide tre uomini in piedi di fronte a lui. Vedendoli, si affrettò dalla porta della sua tenda per andar loro incontro. Inchinandosi profondamente, disse: “Signori, se ho trovato grazia ai vostri occhi, non passate oltre il vostro servo senza una visita.”

La stessa ambiguità appare nel capitolo successivo, quando due dei visitatori di Abramo (in questo capitolo descritti come angeli) visitano Lot a Sodoma: I due angeli arrivarono a Sodoma la sera, mentre Lot era seduto presso le porte della città. Quando li vide, si alzò per andar loro incontro e, inchinandosi profondamente, disse: “Vi prego, signori, venite nella casa del vostro servo per passare la notte e lavarvi i piedi.” (Genesi 19:2)

Normalmente, le differenze di interpretazione del racconto biblico non hanno implicazioni halakhiche. Sono questioni di legittimo disaccordo. Questo caso è insolito, perché se traduciamo Adonai come “Dio”, si tratta di un nome sacro, e sia la scrittura della parola da parte di uno scriba, sia il modo in cui trattiamo una pergamena o un documento che lo contiene, hanno speciali rigorosità nella legge ebraica. Se invece lo traduciamo come “miei signori” o “signori”, allora non ha alcuna santità particolare.

La lettura più semplice di entrambi i testi – quello riguardante Abramo e quello riguardante Lot – sarebbe leggere la parola in entrambi i casi come “signori”. Tuttavia, la legge ebraica stabilì diversamente.
Nel secondo caso – la scena con Lot – essa è letta come “signori”, ma nel primo è letta come “Dio”. Questo è un fatto straordinario, perché suggerisce che Abramo interruppe Dio proprio mentre stava per parlargli, e Gli chiese di aspettare mentre si occupava dei suoi ospiti. Così la tradizione stabilì che il passo dovesse essere letto: Il Signore gli apparve… Abramo alzò gli occhi e vide tre uomini che stavano lì vicino. Appena li vide, corse dall’ingresso della sua tenda per salutarli e si inchinò fino a terra. [Rivolgendosi a Dio] disse: “Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, ti prego, non passare oltre il tuo servo [cioè: ti prego, aspettami finché avrò dato ospitalità a questi uomini].” [Poi si rivolse agli uomini e disse:] “Si porti un pò d’acqua, lavatevi i piedi e riposatevi sotto l’albero…” (Genesi 18:1–4)

Questa audace interpretazione divenne la base di un principio dell’ebraismo: “Più grande è dare l’ospitalità, che ricevere la Presenza Divina.”
Di fronte alla scelta tra ascoltare Dio e offrire ospitalità a quelli che sembravano esseri umani, Abramo scelse la seconda. Dio accolse la sua richiesta e attese mentre Abramo portava ai visitatori cibo e bevande, prima di impegnarsi in un dialogo con lui riguardo al destino di Sodoma.

Come può essere così? Non è forse irrispettoso, nel migliore dei casi, o eretico, nel peggiore, mettere i bisogni degli esseri umani prima di attendere alla presenza di Dio?

Ciò che il passo ci dice, però, è qualcosa di immensa profondità. Gli idolatri del tempo di Abramo adoravano il sole, le stelle e le forze della natura come dèi. Adoravano il potere e i potenti. Abramo sapeva, tuttavia, che Dio non è nella natura ma al di là della natura. C’è una sola cosa nell’universo sulla quale Egli ha impresso la Sua immagine: la persona umana, ogni persona, potente e impotente allo stesso modo.

Le forze della natura sono impersonali, ed è per questo che coloro che le adorano alla fine perdono la loro umanità. Come dice il Salmo: I loro idoli sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocche ma non parlano, occhi ma non vedono; hanno orecchie ma non odono, narici ma non odorano…I loro artefici diventano come loro, così come tutti quelli che in essi confidano. (Salmo 115)

Non si possono adorare forze impersonali e rimanere persone: compassionevoli, umane, generose, indulgenti. Proprio perché crediamo che Dio sia personale, qualcuno a cui possiamo dire “Tu”, onoriamo la dignità umana come sacra. Abramo, padre del monoteismo, conosceva la verità paradossale che vivere una vita di fede, significa vedere la traccia di Dio nel volto dello straniero. È facile accogliere la Presenza Divina quando Dio appare come Dio. Ciò che è difficile è percepire la Presenza Divina quando viene travestita da tre anonimi viandanti. Questa fu la grandezza di Abramo. Egli sapeva che servire Dio e offrire ospitalità agli stranieri non erano due cose, ma una sola.

Uno dei commenti più belli su questo episodio fu dato da Rabbi Shalom di Belz, che notò che nel versetto 2 i visitatori sono descritti come “in piedi sopra Abramo” (nitzavim alav). Nel versetto 8, Abramo è descritto come “in piedi sopra di loro” (omed alehem). Egli disse: all’inizio, i visitatori erano più alti di Abramo perché erano angeli e lui solo un essere umano. Ma quando egli diede loro cibo, bevande e riparo, egli si elevò persino al di sopra degli angeli.
Onoriamo Dio onorando la Sua immagine: l’umanità.

Di Rabbi Jonathan Sacks zzl

 

(Foto: Bartolomé Esteban Murillo, Abramo e i tre angeli, 1670-1674)