Parashà Toledot, Isacco benedice Giacobbe

Parashat Toledòt. La comunicazione è importante

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Il Netziv (Naftali Zvi Yehuda Berlin, 1816–1893, decano della yeshiva a Volozhin) fece l’astuta osservazione che Isacco e Rebecca sembrano soffrire di una mancanza di comunicazione. Ha notato che la “relazione di Rebecca con Isacco non era la stessa di quella tra Sara e Abramo o Rachele e Giacobbe. Quando avevano un problema, non avevano paura di parlarne. Non era così con Rebecca.” (Ha’amek Davar a Gen. 24:65)

Il Netziv percepisce questa distanza dal primo momento in cui Rebecca vede Isacco, mentre “medita nel campo” (Gen. 24:63), a quel punto è scesa dal suo cammello e “si è coperta con un velo” (Gen. 24:65). Commenta: “Si è coperta per timore reverenziale e senso di inadeguatezza, come se si sentisse indegna di essere sua moglie, e da quel momento questa trepidazione è stata fissata nella sua mente”. La loro relazione, suggerisce Netziv, non è mai stata casuale, schietta e comunicativa. Il risultato è stato, una serie di momenti critici, un fallimento della comunicazione. Ad esempio, sembra probabile che Rebecca non abbia mai informato Isacco dell’oracolo che aveva avuto prima della nascita dei gemelli, Esaù e Giacobbe, in cui Dio le disse che “l’anziano servirà il minore” (Genesi 25:23)

Questa, a quanto pare, è una delle ragioni per cui lei amava Giacobbe piuttosto che Esaù, sapendo che era lui il prescelto da Dio. Se Isacco avesse saputo questa predizione del futuro dei loro figli, avrebbe comunque favorito Esaù? Probabilmente non lo sapeva, perché Rebecca non glielo aveva detto. Ecco perché, molti anni dopo, quando viene a sapere che Isacco stava per benedire Esaù, è costretta a fare un piano ingannevole: dice a Giacobbe di fingere di essere Esaù. Perché non dice semplicemente a Isacco che è Giacobbe che sarà benedetto? Perché questo l’avrebbe costretta ad ammettere di aver tenuto il marito all’oscuro della profezia per tutti gli anni in cui i bambini crescevano. Se avesse parlato con Isacco il giorno della benedizione, Isacco avrebbe potuto dire qualcosa che avrebbe cambiato l’intero corso della loro vita e di quella dei loro figli. Immagino Isacco che dica: “Naturalmente so che sarà Giacobbe e non Esaù a mantenere il patto, ma ho in mente due benedizioni abbastanza diverse, una per ciascuno dei nostri figli. Darò a Esaù una benedizione di ricchezza e potere: “Possa Dio darti la rugiada del cielo e la ricchezza della terra … Che le nazioni ti servano e i popoli si inchinino davanti a te” (Genesi 27: 28-29). Darò a Giacobbe la benedizione che Dio diede ad Abrahamo e a me, la benedizione della discendenza e della terra promessa: “Possa Dio Onnipotente benedirti e renderti fecondo e aumentare il tuo numero fino a diventare una comunità di popoli. Possa Egli dare a te e alla tua discendenza la benedizione data ad Abramo, in modo che tu possa prendere possesso della terra in cui ora risiedi come straniero, la terra che Dio diede ad Abramo”. (Gen. 28: 3-4).

Isacco non ha mai avuto intenzione di dare la benedizione del patto a Esaù. Voleva dare a ogni figlio la benedizione che più gli si addiceva. L’intero inganno pianificato da Rebecca e compiuto da Giacobbe non sarebbe stato mai necessario. Perché Rebecca non lo ha capito? Perché lei e suo marito non hanno comunicato. Per questo paghiamo le conseguenze. Isacco vecchio e cieco, si sentì tradito da Giacobbe. Lui “tremava fortemente” quando si rese conto di cosa era successo, disse a Esaù: “Tuo fratello è venuto con inganno”. Allo stesso modo Esaù si sentì tradito e provò un odio così violento nei confronti di Giacobbe, che giurò di ucciderlo. Rebecca fu costretta a mandare Yaacov in esilio per più di due decenni, privandosi così della compagnia del figlio che amava. Per quanto riguarda Giacobbe, le conseguenze dell’inganno durarono una vita, provocando conflitti tra le sue mogli e persino tra i suoi figli. “Pochi e malvagi sono stati i miei giorni
vita ”(Gen. 47: 9), disse al Faraone.
Tante vite segnate da un atto che non era nemmeno necessario – Isacco infatti diede a Giacobbe “la benedizione di Abramo” senza alcun inganno, sapendo che era Giacobbe e non Esaù.

Questo è il prezzo umano che paghiamo per una mancata comunicazione. La Torah è eccezionalmente sincera su tali questioni, che è ciò che la rende una guida così potente per la vita: la vita reale, tra persone reali con problemi reali. La comunicazione è importante. In principio Dio creò il mondo naturale con le parole: “E Dio disse: “Sia”. Creiamo il mondo sociale con le parole. Il Targum ha tradotto la frase: “E l’uomo divenne un’anima vivente”, (Genesi 2: 7) come “E l’uomo divenne un’anima parlante”. Per noi la parola è vita. La vita è relazione. E le relazioni umane si costruiscono attraverso la comunicazione. Possiamo raccontare ad altre persone le nostre speranze, le nostre paure, i nostri sentimenti e pensieri.

Questo è il motivo per cui qualsiasi leader, da un genitore a un CEO, deve impostare come compito una comunicazione buona, forte, onesta e aperta. Questo è ciò che rende famiglie, team e una culture aziendale salutare. Tutti devono sapere quali sono i loro obiettivi, sono come una squadra, quali sono i loro ruoli specifici, quale responsabilità portano, e quali valori e comportamenti dovrebbero esemplificare. Ci dev’essere un elogio per chi fa bene, così come una feedback costruttivo che aiuti le persone a fare meglio. La persona deve sentirsi rispettata qualunque siano i suoi sbagli. Ci sono momenti in cui molto dipende da una comunicazione chiara. Non è eccessivo dire che ci sono situazioni in cui il destino del mondo dipende da questo.

Tanti aspetti della nostra vita sono influenzati dalla disinformazione e migliorati da una comunicazione genuina. Questo è il motivo per cui amici, genitori, partner e leader devono stabilire una cultura in cui avvenga una comunicazione onesta, aperta e rispettosa e che coinvolga non solo il parlare ma anche l’ascolto. Senza questo, i problemi attendono dietro le quinte.
Di Rabbi Jonathan Sacks z”l