Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Con Pinchas entra nel mondo di Israele un nuovo tipo umano: lo zelota.
«Pinchas figlio di Elazar, figlio di Aharon il sacerdote, ha allontanato la Mia collera dai figli d’Israele, essendo stato zelante con il Mio zelo in mezzo a loro, così che Io non ho annientato i figli d’Israele nel Mio zelo.» (Numeri 25:11)
Molti secoli dopo, fu seguito dall’unica altra figura nel Tanach descritta come zelante: il profeta Elia, che dice a Dio sul monte Horev: Sono stato molto zelante per il Signore, Dio degli eserciti” (I Re 19:14).
La tradizione ebraica, in effetti, identificò e collegò ancor più profondamente i due uomini:«Pinchas è Elia» (Yalkut Shimoni, Torà, 771).
Pinchas, dice il Targum Yonatan (su Numeri 25:12), «divenne un angelo che vive per sempre e sarà l’araldo della redenzione alla Fine dei Giorni». Ciò che è davvero affascinante è il modo in cui l’ebraismo, sia biblico che post-biblico, ha trattato l’idea dello zelota.
Cominciamo ricordando i due contesti.
Il primo è quello di Pinchas. Dopo aver fallito nel maledire gli Israeliti, Bilam escogitò sul finire una strategia che ebbe successo. Convinse le donne moabite a sedurre gli uomini israeliti e a trascinarli poi nell’idolatria. Questo suscitò una collera divina intensa, e scoppiò una piaga tra gli Israeliti. A peggiorare la situazione, fu Zimri, un capo della tribù di Shimon, che introdusse nel campo una donna madianita con cui intrattenne rapporti intimi in modo sfacciato. Forse percependo che Mosè si sentiva impotente – lui stesso aveva sposato una donna madianita – Pinchas prese l’iniziativa, li pugnalò entrambi e pose fine sia all’immoralità che alla piaga, che aveva già ucciso 24.000 Israeliti. Questa è la sua storia.
La storia di Elia, invece, inizia con l’ascesa al trono del regno del nord (Israele) da parte di Achav. Il re aveva sposato Izével (Jezebel), figlia del re di Sidon, e sotto la sua influenza introdusse il culto di Baal nel regno, costruendo un tempio pagano e innalzando un’asta sacra a Samaria in onore della dea madre ugaritica Asherah. Jezebel, nel frattempo, stava organizzando una campagna di sterminio dei “profeti del Signore”. La Bibbia (I Re 16) afferma che Achav «fece più male agli occhi del Signore di tutti quelli che c’erano stati prima di lui».
Elia annunciò che ci sarebbe stata una siccità per punire il re e la nazione idolatra. Confrontato da Achav, Elia lo sfidò a convocare i 450 profeti di Baal per una prova sul Monte Carmel. Quando tutti furono riuniti, Elia lanciò la sfida: ognuno avrebbe preparato un sacrificio e invocato il proprio dio; il Dio che avrebbe risposto con il fuoco dal cielo sarebbe stato riconosciuto come il vero ed unico. I profeti di Baal accettarono, prepararono i loro sacrifici e invocarono Baal, ma non accadde nulla.
In un raro momento di ironia tagliente, Elia li derise dicendo: gridate più forte! Forse Baal è occupato o in viaggio, o forse sta dormendo. I falsi profeti si agitarono in preda al fanatismo, si fecero incisioni finché il sangue colò dai loro tagli, ma di nuovo non accadde nulla. Elia allora preparò il suo sacrificio, ordinando che fosse bagnato tre volte con acqua per rendere ancora più difficile l’accensione. Poi invocò Dio. Il fuoco scese dal cielo e consumò il sacrificio. Il popolo, sbalordito, gridò: «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!», parole che oggi proclamiamo al culmine della tefillà di Neilà alla fine di Yom Kippur. Il popolo poi mise a morte i falsi profeti di Baal. Dio era stato rivendicato.
Non c’è dubbio che Pinchas ed Elia furono eroi religiosi. Intervennero in momenti di crisi morale e religiosa nazionale, e di evidente collera divina. Agirono mentre tutti gli altri, nel migliore dei casi, restavano a guardare. Rischiarono la vita. La folla avrebbe potuto rivoltarsi contro di loro. Infatti, dopo il processo sul Carmel, Jezebel dichiarò di voler uccidere Elia. Entrambi, Pinchas ed Elia, agirono per amore di Dio e del benessere spirituale del popolo. E Dio stesso, nella Torà, è chiamato più volte “zealous, zelante. Tuttavia, il trattamento loro riservato nella Torà scritta e orale è profondamente ambivalente. Dio concede a Pinchas “il Mio patto di pace”, cioè che non dovrà mai più agire come zelota. In effetti, nell’ebraismo, lo spargimento di sangue umano è incompatibile con il servizio nel Santuario. (Re Davide fu escluso dalla costruzione del Tempio per questo motivo: vedi I Cronache 22:8; 28:3).
Quanto a Elia, fu implicitamente rimproverato da Dio in una delle scene più grandiose della Bibbia. Sul monte Horev, Dio gli mostra un turbine, un terremoto e un fuoco, ma Dio non è in nessuno di essi. Poi Dio si manifesta in una “voce sottile e sommessa” (I Re 19). Dio gli chiede per la seconda volta: «Che fai qui, Elia?» Ed Elia risponde con le stesse identiche parole della prima volta: «Sono stato molto zelante per il Signore, Dio degli eserciti».
Elia non ha capito che Dio sta cercando di dirgli che non si trova nella violenza e nel confronto, ma nella dolcezza e nella parola sussurrata.
Dio allora gli ordina di nominare Elisha come suo successore.
In altre parole: Pinchas ed Elia vengono entrambi dolcemente rimproverati da Dio.
Halakhicamente, il precedente di Pinchas è molto limitato. Anche se il suo atto fu legale, i Maestri affermano comunque che se Zimri si fosse girato e avesse ucciso Pinchas, sarebbe stato innocente, poiché avrebbe agito per autodifesa. Se Pinchas avesse colpito anche un solo istante dopo l’atto di immoralità, sarebbe stato colpevole di omicidio. E se avesse chiesto a un tribunale se fosse autorizzato a fare ciò che stava per fare, la risposta sarebbe stata no. Questo è un raro caso della regola: הלכה ואין מורין כן “È una legge, ma non la si insegna.” (Sanhedrin 82a)
Perché questa ambivalenza morale?
La risposta più semplice è che lo zelota non agisce all’interno dei normali parametri della legge. Zimri potrebbe anche aver commesso un peccato punibile con la morte, ma Pinchas eseguì la punizione senza processo.
Elia potrebbe aver agito per eliminare l’idolatria da Israele, ma fece un’azione, offrire un sacrificio fuori dal Tempio, normalmente proibita dalla legge ebraica.
Ci sono circostanze attenuanti, nella legge ebraica, in cui il re o il tribunale possono infliggere punizioni extragiudiziali per garantire l’ordine sociale (vedi Maimonide, Hilchot Sanhedrin 24:4; Hilchot Melachim 3:10).
Ma Pinchas non era re né rappresentante di un tribunale. Agì di propria iniziativa, prendendo la legge nelle sue mani (avid dina lenafshei).
Ci sono situazioni in cui questo può essere giustificato, quando le conseguenze dell’inazione sarebbero catastrofiche.
Ma in generale, non ne abbiamo l’autorità, poiché il risultato sarebbe anarchia e violenza su vasta scala.
Ancora più profondamente, lo zelota di fatto prende il posto di Dio. Come dice Rashi, commentando il versetto: «Pinchas … ha allontanato la Mia collera … essendo stato zelante con il Mio zelo», Rashi scrive: «Ha eseguito la Mia vendetta e mostrato la collera che Io avrei dovuto mostrare» (Rashi su Numeri 25:11).
Nell’ebraismo siamo comandati a “camminare nelle vie di Dio” e a imitare i Suoi attributi: “Come Egli è misericordioso e compassionevole, così sii anche tu misericordioso e compassionevole.” Ma questo non vale per l’esecuzione della punizione o la vendetta. Dio, che conosce tutto, può giudicare senza processo; noi, esseri umani, non possiamo farlo. Ci sono forme di giustizia che appartengono solo a Dio.
Lo zelota che si prende la legge nelle proprie mani intraprende un cammino moralmente pericoloso. Solo i più santi possono farlo, una sola volta nella vita, solo nelle circostanze più estreme, quando la nazione è in pericolo, non c’è altra via e nessun altro che possa agire. Anche allora, se lo zelota chiedesse il permesso a un tribunale, gli sarebbe negato.
Pinchas dà il nome a questa parashà in cui Mosè chiede a Dio di designare un successore. Rav Menahem Mendel, il Rebbe di Kotzk, si chiese: Perché non fu Pinchas, l’eroe del momento, a essere scelto, invece di Yehoshua? Risposta: Uno zelota non può essere un leader. Un leader deve avere pazienza, tolleranza e rispetto per il processo legale. Gli zeloti nella Gerusalemme assediata negli ultimi giorni del Secondo Tempio giocarono un ruolo significativo nella distruzione della città. Erano più intenti a combattere tra di loro che contro i Romani fuori dalle mura.
Nulla nella vita religiosa è più rischioso dello zelo, e nulla è più profondo della verità che Dio insegnò a Elia: Dio non si trova nell’uso della forza, ma nella voce sottile e sommessa che guida il peccatore lontano dal peccato. Quanto alla vendetta, essa appartiene solo a Dio.
Scritto da rabbi Jonathan Sacks nel 2012