Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Solo essendo fedeli a Dio, le persone rimangono fedeli le une alle altre. Solo aprendosi a una forza più grande di sé stesse, le persone diventano più grandi di quanto siano. Solo comprendendo le forze profonde che plasmano la storia, un popolo può vincere le devastazioni della storia.
Durante le tre settimane tra il 17 di Tammuz e Tishà beAv, mentre ricordiamo la distruzione dei Templi, leggiamo tre dei brani più strazianti della letteratura profetica, i primi due dall’inizio del libro di Geremia, il terzo, la prossima settimana, dal primo capitolo di Isaia.
Forse in nessun altro momento dell’anno siamo così acutamente consapevoli della forza duratura dei grandi visionari dell’antico Israele. I profeti non avevano potere. Non erano re né membri della corte reale. (Di solito) non erano sacerdoti né parte dell’establishment religioso. Non ricoprivano alcun incarico. Non erano eletti. Spesso erano profondamente impopolari, nessuno più dell’autore dell’haftarà di questa settimana, Geremia, il quale fu arrestato, frustato, abusato, processato e si salvò a stento la vita. Solo raramente i profeti venivano ascoltati durante la loro esistenza. Eppure le loro parole furono registrate per i posteri e divennero una parte fondamentale del Tanach, la Bibbia ebraica. Furono i primi critici sociali della storia, e il loro messaggio continua attraverso i secoli. Come disse Kierkegaard: quando un re muore, il suo potere finisce; quando un profeta muore, la sua influenza comincia.
Ciò che rendeva distintivo il profeta non era il fatto che prevedesse il futuro. Il mondo antico era pieno di persone del genere: indovini, oracoli, lettori di rune (sistema segnico usato dalle antiche popolazioni germaniche), sciamani e altri divinatori, ognuno dei quali pretendeva di avere una corsia preferenziale con le forze che governano il destino e “plasmano le nostre sorti, per quanto noi le sgrezziamo come vogliamo”.
Il giudaismo non ha tempo per queste persone. La Torà vieta chi “pratica divinazione o magia, interpreta presagi, si dà alla stregoneria, lancia incantesimi, o è un medium o un evocatore di spiriti o consulta i morti” (Devarim 18:10-11). Disconosce queste pratiche perché crede nella libertà umana. Il futuro non è pre-scritto. Dipende da noi e dalle scelte che facciamo.
Se una previsione si avvera, ha avuto successo; se una profezia si avvera, ha fallito. Il profeta parla del futuro che accadrà se non ascoltiamo il pericolo e non cambiamo condotta. Egli (o ella – vi furono sette profetesse bibliche) non prevede; avverte.
Neppure il profeta era distintivo nel benedire o maledire il popolo. Questo era il dono di Bil’am, non di Isaia o di Geremia. Nel giudaismo, la benedizione giunge tramite i sacerdoti, non i profeti. Diverse cose rendevano unici i profeti. La prima era il loro senso della storia. I profeti furono i primi a vedere Dio nella storia. Tendiamo a dare per scontato il nostro senso del tempo. Il tempo accade. Il tempo scorre. Come dice il detto, il tempo è il modo di Dio per impedire che tutto accada contemporaneamente. Ma in realtà esistono diversi modi di relazionarsi al tempo, e differenti civiltà lo hanno percepito in modi diversi.
C’è il tempo ciclico: il tempo come lento giro delle stagioni, o il ciclo di nascita, crescita, declino e morte. Il tempo ciclico è quello che si trova in natura. Alcuni alberi vivono a lungo; la maggior parte dei moscerini vive poco; ma tutto ciò che vive, muore. La specie sopravvive, i singoli individui no. In Kohelet leggiamo l’espressione più celebre del tempo ciclico nel giudaismo: “Il sole sorge e il sole tramonta, e si affretta a tornare là dove sorge. Il vento va verso sud e gira verso nord; gira e rigira, e ritorna sempre nel suo circuito… Ciò che è stato sarà, ciò che si è fatto si rifarà; non c’è nulla di nuovo sotto il sole.”
Poi c’è il tempo lineare: il tempo come una sequenza inesorabile di causa ed effetto. L’astronomo francese Pierre-Simon Laplace espresse questa idea nella forma più celebre nel 1814, quando affermò che se si “conoscessero tutte le forze che mettono in moto la natura, e tutte le posizioni degli elementi che la compongono,” insieme a tutte le leggi della fisica e della chimica, allora “nulla sarebbe incerto e il futuro, proprio come il passato, sarebbe presente” davanti ai nostri occhi. Karl Marx applicò questa idea alla società e alla storia. È nota come “inevitabilità storica”, e quando è trasferita agli affari umani equivale a una massiccia negazione della libertà personale.
Infine esiste il tempo come mera sequenza di eventi senza un filo conduttore o un tema di fondo. Questo porta al tipo di storiografia inaugurato dagli studiosi dell’antica Grecia, come Erodoto e Tucidide.
Ognuna di queste visioni ha il suo posto: la prima nella biologia, la seconda nella fisica, la terza nella storia secolare. Ma nessuna è il tempo così come lo comprendevano i profeti. I profeti vedevano il tempo come l’arena in cui si svolgeva il grande dramma tra Dio e l’umanità, in particolare nella storia di Israele. Se Israele era fedele alla sua missione, alla sua alleanza, allora prosperava. Se era infedele, falliva. Subiva sconfitta ed esilio. Questo è ciò che Geremia non si stancava mai di dire ai suoi contemporanei.
La seconda intuizione profetica era il legame indissolubile tra monoteismo e moralità. In qualche modo i profeti percepivano – è implicito in tutte le loro parole, anche se non lo spiegano esplicitamente – che l’idolatria non era solo falsa. Era anche corruttrice. Vedeva l’universo come una molteplicità di poteri spesso in conflitto. La battaglia andava al più forte. Il potere vinceva sulla giustizia. Sopravviveva il più adatto mentre i deboli perivano. Nietzsche credeva in questo, così come i darwinisti sociali.
I profeti si opponevano a questo con tutte le loro forze. Per loro, il potere di Dio era secondario; ciò che contava era la giustizia di Dio. Proprio perché Dio amava e aveva redento Israele, Israele Gli doveva lealtà come unico sovrano supremo, e se era infedele a Dio lo sarebbe stato anche verso gli esseri umani. Avrebbe mentito, rubato, imbrogliato, ecc. Geremia dubita che vi fosse una sola persona onesta in tutta Gerusalemme (Geremia 5:1). Il popolo sarebbe diventato adultero e promiscuo: “Io avevo saziato tutti i loro bisogni, eppure commettevano adulterio e affollavano le case delle prostitute. Sono stalloni ben nutriti e ardenti, ognuno nitrisce per la moglie del prossimo.” (Geremia 5:7-8)
La terza grande intuizione era la preminenza dell’etica sulla politica. I profeti parlano sorprendentemente poco di politica. Sì, Shmuel era diffidente verso la monarchia, ma troviamo quasi nulla in Isaia o Geremia sul modo in cui il regno Israele o quello di Giuda dovrebbero essere governati. Invece, ascoltiamo una costante insistenza sul fatto che la forza di una nazione – certamente quella di Israele o Giuda – non è né militare né demografica, ma morale e spirituale. Se il popolo mantiene la fede in Dio e negli altri, nessuna forza sulla terra può sconfiggerlo. Se non lo fa, nessuna forza potrà salvarlo. Come dice Geremia nell’haftarà di questa settimana, scopriranno troppo tardi che i loro falsi dèi offrivano falsi conforti: “Dicono al legno: ‘Tu sei mio padre’, e alla pietra: ‘Tu mi hai generato.’ Essi mi hanno voltato le spalle e non il volto; eppure quando sono in difficoltà dicono: ‘Vieni e salvaci!’ Dove sono dunque gli dèi che vi siete fatti? Che vengano, se possono salvarvi quando siete in difficoltà! Poiché quanti sono i tuoi villaggi, o Giuda, tanti sono i tuoi dèi.” (Geremia 2:27-28)
Geremia, il più appassionato e tormentato tra i profeti, è passato alla storia come il profeta della sventura. Ma ciò è ingiusto. Egli fu anche supremamente un profeta della speranza. È colui che disse che il popolo di Israele sarà “eterno quanto le leggi del sole, della luna e delle stelle” (Geremia 31:35). È l’uomo che, mentre i Babilonesi assediavano Gerusalemme, comprò un campo come gesto pubblico di fiducia che gli ebrei sarebbero tornati dall’esilio: “Poiché così dice il Signore degli eserciti, il Dio d’Israele: Case, campi e vigne saranno di nuovo comprati in questo paese.” (Geremia 32:15)
I sentimenti di sventura e di speranza di Geremia non erano in conflitto: erano due facce della stessa medaglia. Il Dio che aveva condannato il Suo popolo all’esilio sarebbe stato anche il Dio che lo avrebbe ricondotto indietro, poiché sebbene il Suo popolo potesse abbandonarlo, Egli non lo avrebbe mai abbandonato. Geremia poteva aver perso fiducia negli uomini; non perse mai fiducia in Dio.
La profezia cessò in Israele con Chaggài, Zekharia e Malachì nell’epoca del Secondo Tempio. Ma le verità profetiche non hanno smesso di essere vere. Solo essendo fedeli a Dio, le persone rimangono fedeli le une alle altre. Solo aprendosi a una forza più grande di sé stesse, le persone diventano più grandi di quanto siano. Solo comprendendo le forze profonde che plasmano la storia, un popolo può vincere le devastazioni della storia. Ci è voluto molto tempo perché l’Israele biblico imparasse queste verità, e moltissimo tempo prima che ritornasse alla propria terra, rientrando nell’arena della storia. Non dobbiamo mai più dimenticarle.
Scritto da raggi Jehonatan Sacks nel 2012