Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Bamidbar riprende la narrazione da dove l’avevamo lasciata verso la fine di Shemot. Il popolo è giunto dall’Egitto al Monte Sinai. Lì ha ricevuto la Torà. Lì ha fatto il Vitello d’Oro. Lì è stato perdonato dopo l’appassionata supplica di Mosè, e lì ha costruito il Mishkan (il Tabernacolo), inaugurato il primo di Nissan, quasi un anno dopo l’Esodo. Ora, un mese dopo, nel primo giorno del secondo mese (Iyar), sono pronti a proseguire verso la seconda parte del viaggio, dal Sinai alla Terra Promessa.
Eppure c’è un curioso ritardo nella narrazione. Passano dieci capitoli prima che gli Israeliti inizino effettivamente a viaggiare (Numeri 10:33). Prima c’è un censimento. Poi si racconta dell’organizzazione delle tribù attorno all’Ohel Moed – la Tenda del Convegno. C’è un lungo resoconto sui Leviti, le loro famiglie e i rispettivi ruoli. Poi ci sono le leggi riguardanti la purezza dell’accampamento, il risarcimento al proselita, la sotah (la donna sospettata di adulterio), e il nazireo. Una lunga serie di passaggi descrive i preparativi finali per il viaggio. Solo allora partono. Perché questa lunga serie di apparenti digressioni?
È facile pensare che la Torà racconti semplicemente gli eventi così come sono accaduti, intervallati da vari comandamenti. Secondo questa visione, la Torà è storia più legge. Questo è ciò che è accaduto, queste sono le regole che dobbiamo osservare, e c’è una connessione tra loro, talvolta chiara (come nel caso delle leggi accompagnate dal promemoria “eri schiavo in Egitto”), altre volte meno.
Ma la Torà non è semplice storia come sequenza di eventi. La Torà parla delle verità che emergono attraverso il tempo. Questa è una delle grandi differenze tra l’antico Israele e l’antica Grecia. L’antica Grecia cercava la verità contemplando la natura e la ragione. La prima ha dato origine alla scienza, la seconda alla filosofia. L’antico Israele trovava la verità nella storia, negli eventi e in ciò che Dio ci diceva di imparare da essi. La scienza riguarda la natura; l’ebraismo riguarda la natura umana, e c’è una grande differenza tra le due. La natura non conosce nulla del libero arbitrio. Gli scienziati spesso negano che esista. Ma l’umanità è costituita dalla sua libertà. Siamo ciò che scegliamo di essere. Nessun pianeta sceglie di essere ospitale alla vita. Nessun pesce sceglie di essere un eroe. Nessun pavone sceglie di essere vanitoso. Gli esseri umani scelgono. E in questo fatto nasce il dramma a cui tutta la Torà fa da commento: come può la libertà coesistere con l’ordine? Il dramma si svolge sul palcoscenico della storia e si sviluppa attraverso cinque atti, ognuno con molteplici scene.
La struttura di base della narrazione è grossomodo la stessa in tutti e cinque i casi. Prima Dio crea l’ordine. Poi l’umanità crea il caos. Seguono terribili conseguenze. Poi Dio ricomincia, profondamente addolorato ma senza mai perdere la fede nell’unica forma di vita sulla quale ha posto la Sua immagine e alla quale ha dato il dono singolare che ha reso l’umanità simile a Dio, cioè la libertà stessa.
Atto I è narrato in Genesi 1–11. Dio crea un universo ordinato e plasma l’umanità dalla polvere della terra nella quale soffia il proprio alito. Ma gli esseri umani peccano: prima Adamo ed Eva, poi Caino, poi la generazione del Diluvio. La terra è piena di violenza. Dio manda il Diluvio e ricomincia, facendo un patto con Noè. L’umanità pecca di nuovo costruendo la Torre di Babele (il primo atto di imperialismo, come ho sostenuto in un precedente studio). Così Dio ricomincia di nuovo, cercando un modello che mostri al mondo cosa significa vivere in risposta fedele alla parola di Dio. Lo trova in Abramo e Sara.
Atto II è narrato in Genesi 12–50. Il nuovo ordine si basa sulla famiglia e la fedeltà, l’amore e la fiducia. Ma anche questo inizia a sgretolarsi. C’è tensione tra Esaù e Giacobbe, tra le mogli di Giacobbe, Lea e Rachel, e tra i loro figli. Dieci dei figli di Giacobbe vendono l’undicesimo, Giuseppe, come schiavo. Questo è un oltraggio alla libertà, e segue la catastrofe – non un Diluvio ma una carestia, a causa della quale la famiglia di Giacobbe va in esilio in Egitto, dove l’intero popolo viene ridotto in schiavitù. Dio sta per ricominciare di nuovo, non con una famiglia questa volta ma con una nazione, che è ciò che i figli di Abramo sono ora diventati.
Atto III è il tema del libro di Shemot. Dio salva gli Israeliti dall’Egitto come aveva salvato Noè dal Diluvio. Come con Noè (e Abramo), Dio fa un patto, questa volta al Sinai, ed è molto più esteso dei precedenti. È un progetto per l’ordine sociale, per un’intera società basata sulla legge e la giustizia. Eppure ancora una volta, gli esseri umani creano il caos, facendo un Vitello d’Oro a soli quaranta giorni dalla grande rivelazione. Dio minaccia la catastrofe, di distruggere l’intero popolo e ricominciare con Mosè, come aveva fatto con Noè e Abramo (Esodo 32:10). Solo l’appassionata supplica di Mosè impedisce che ciò avvenga. Dio quindi istituisce un nuovo ordine.
Atto IV inizia con il racconto di questo ordine, che è in modo senza precedenti lungo, da Esodo 35, per tutto il libro di Vayikra e i primi dieci capitoli di Bamidbar. La natura di questo nuovo ordine è che Dio non è più solo il regista della storia e il datore della legge. Diventa una Presenza permanente in mezzo all’accampamento. Da qui la costruzione del Mishkan, che occupa l’ultimo terzo di Shemot, e le leggi di purezza e santità, così come quelle di amore e giustizia, che costituiscono praticamente l’intero libro di Vayikra. Purezza e santità sono richieste dal fatto che Dio è improvvisamente diventato vicino. Nel Tabernacolo, la Presenza Divina ha una dimora sulla terra, e chi si avvicina a Dio deve essere santo e puro. Ora gli Israeliti sono pronti per iniziare la fase successiva del viaggio, ma solo dopo una lunga introduzione.
Quella lunga introduzione, all’inizio di Bamidbar, riguarda tutta la creazione di un senso di ordine all’interno dell’accampamento. Da qui il censimento, e la disposizione dettagliata delle tribù, e il lungo resoconto dei Leviti, la tribù che faceva da mediatore tra il popolo e la Presenza Divina. Da qui anche, nella Parashà della prossima settimana, le tre leggi – il risarcimento al proselita, la sotah e il nazireo – rivolte alle tre forze che mettono sempre in pericolo l’ordine sociale: furto, adulterio e alcol. È come se Dio stesse dicendo agli Israeliti: ecco come appare l’ordine. Ogni persona ha il suo posto nella famiglia, nella tribù e nella nazione. Tutti sono stati contati e ogni persona conta. Conservate e proteggete quest’ordine, perché senza di esso non potete entrare nella terra, combattere le sue battaglie e creare una società giusta.
Tragicamente, man mano che il libro di Bamidbar si sviluppa, vediamo che gli Israeliti si rivelano essere i propri peggiori nemici. Si lamentano del cibo. Miriam e Aronne si lamentano di Mosè. Poi arriva un’altra sventura, l’episodio delle spie, in cui il popolo, demoralizzato, mostra di non essere ancora pronto per la libertà. Ancora una volta, come nel caso del Vitello d’oro, c’è caos nell’accampamento. Ancora una volta Dio minaccia di distruggere la nazione e ricominciare con Mosè (Numeri 14:12). Ancora una volta, solo l’intensa supplica di Mosè salva la situazione. Dio decide ancora una volta di ricominciare, questa volta con la prossima generazione e un nuovo leader. Il libro di Devarim è il preludio di Mosè all’Atto V, che si svolge nei giorni del suo successore Giosuè.
La storia ebraica è una storia strana. Più e più volte il popolo ebraico si è diviso: ai tempi del Primo Tempio, quando il regno si è diviso in due; nel tardo periodo del Secondo Tempio, quando fu spinto in gruppi e sette rivali; e nell’era moderna, all’inizio del XIX secolo, quando si frammentò in religiosi e secolari nell’Europa orientale, ortodossi e altri in Occidente. Queste divisioni non si sono ancora sanate.
E così il popolo ebraico continua a ripetere la storia raccontata cinque volte nella Torà. Dio crea l’ordine. Gli esseri umani creano il caos. Succedono cose brutte, poi Dio e Israele ricominciano. Questa storia finirà mai? In un modo o nell’altro, non è una coincidenza che Bamidbar preceda di solito Shavuot, l’anniversario del dono della Torà al Sinai. Dio non si stanca mai di ricordarci che la sfida umana centrale in ogni epoca è se la libertà possa coesistere con l’ordine. Può, quando gli esseri umani scelgono liberamente di seguire le leggi di Dio, date in un modo all’umanità dopo il Diluvio e in un altro a Israele dopo l’Esodo.
L’alternativa, antica e moderna, è il dominio del potere, in cui, come disse Tucidide, i forti fanno ciò che vogliono e i deboli soffrono ciò che devono. Questa non è libertà secondo la Torà, né è una ricetta per l’amore e la giustizia. Ogni anno, mentre ci prepariamo a Shavuot leggendo la Parashat Bamidbar, sentiamo la chiamata di Dio: ecco, nella Torà – e nelle sue mitzvot – la via per creare una libertà che onora l’ordine, e un ordine sociale che onora la libertà umana. Non c’è altra via.
Redazione Rabbi Jonathan Sacks zzl