Festival / Klezmer, qabbala e memoria… Si conclude Jewish and the City: un successo di migliaia di presenze

di Fiona Diwan

La melodia di “Adon Olam” vibra nell’aria tiepida della notte milanese: si tratta del violino, chitarra e contrabbasso del Trio Nefesh che, come una musica di liberazione e di gioia, suggellano la conclusione del Festival Jewish and the City. Sotto i portici e sul prato della Rotonda della Besana a Milano, l’allegria della musica klezmer esplode in un concerto all’aperto e con le sue note fa esplodere la vita in questo sito che fu un lugubre ossario cittadino, luogo di pestilenza e morte laddove stasera invece si celebra la vita e la volontà degli ebrei di rappresentare se stessi, il proprio patrimonio, il proprio pensiero e la sua storia millenaria, per comunicarla alla città e a chi la conosce poco, anche tra gli ebrei stessi. Poco prima, lungo la strada, gli ottoni squillanti, i fiati e le percussioni del gruppo Nema Problema avevano accompagnato, in un concerto itinerante, la gente che sfollava da via Guastalla, dopo la Lectio Magistralis del filosofo e pensatore francese Marc-Alain Ouaknin. E ancora musica, con la chitarra di Emanuele Segre che aveva incantato tutti, nel Tempio Centrale, con le musiche di Weiss, Giuliani e Castelnuovo-Tedesco.
E’ successo ieri, 1 ottobre 2013, per la serata di chiusura del primo Festival Internazionale di cultura ebraica a Milano, Jewish and the City appunto, un successo che ha registrato quasi 11 mila presenze, il tutto esaurito ovunque, dalle aule universitarie della Statale alla Sinagoga Centrale, dalle Gallerie d’Italia in piazza Scala, al Teatro Franco Parenti, dalla Fondazione Corriere all’Umanitaria al Memoriale della Shoah…, oltre 40 eventi, 90 ospiti e 11 luoghi in giro per la città. «Un successo che è stata una felice sorpresa. E’ stato il Primo festival ebraico a Milano e quindi non potevamo sapere a priori come sarebbe andata. Oggi è fondamentale non disperdere questo capitale di entusiasmo: dobbiamo moltiplicare il significato di questo successo anche tra gli iscritti della nostra Comunità. L’obiettivo iniziale era quello di comunicare su due livelli, quello interno, più ebraico, e quello esterno, milanese. E consolidare il legame vitale tra la Comunità ebraica e la città. Oratori laici e religiosi, uno spaccato a 360 gradi per un pubblico curioso, che ha così finalmente avuto modo di confrontarsi con il patrimonio culturale ebraico», spiega l’Assessore alla Cultura Daniele Cohen, all’indomani della kermesse.

Da Darwin alla Qabbala
Dal vivace dibattito sulla creazione alla luce della teoria darwiniana e della tradizione ebraica, avvenuto all’Università Statale tra Giulio Giorello, Rav Gianfranco Di Segni, Domenico Scarpa, a quello sulla storia e sulla lingua ebraica occorso nella stessa sede con lo storico della letteratura Alessandro Guetta e Giovanni Filoramo, docente di Storia del Cristianesimo, fino al confronto su “Shabbat è femminile” avvenuto alle Gallerie d’Italia, panel sul ruolo del femminile nella Torà, nella Qabbala e nella tradizione e vita quotidiana ebraica: i tre eventi della mattinata hanno registrato il tutto esaurito e una calda partecipazione di pubblico. Non diversamente dall’evento riservato agli insegnanti delle scuole e tenuto da David Piazza che, magistralmente, ha spiegato che cosa la pratica e la conoscenza del significato profondo dello Shabbat può insegnare ai non-ebrei.

“Chi riposa in se stesso non tiene conto del tempo”
Perché lo Shabbat è sospensione, è un ritrarsi dal fare forsennato e compulsivo della nostra vita quotidiana per concedere a noi stessi un giorno di ascolto interiore, per passare dalla dimensione del fare a quella dell’essere, fosse solo un giorno la settimana. Ma come si poteva pensare di osservare il sabato, ad esempio, nei lager nazisti? Quali furono le forme di resistenza spirituale degli ebrei nei campi di sterminio? All’argomento è stato dedicato l’incontro avvenuto al Memoriale della Shoà in piazzetta Safra, al Binario 21 della Stazione Centrale, dove per l’occasione è stato inaugurato l’Auditorium, incontro coordinato dal Presidente del Memoriale e direttore del Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli, insieme all’Associazione Figli della Shoà, a Rav Giuseppe Laras, presidente emerito dell’Assemblea dei rabbini d’Italia, a Wlodek Goldkorn responsabile culturale dell’Espresso e infine a Roberto Cazzola, editor di germanistica di Adelphi che ha letto alcuni straordinari brani tratti dai Diari di Hetty Hillesum, morta ad Auschwitz nel 1943.
«“Chi riposa in se stesso non tiene conto del tempo”…, scrive Hetty nel settembre del 1941», dice Cazzola e prosegue. «”Ritrarsi nel silenzio interiore…, riposare tra due profondi respiri a cui chiedo asilo per un giorno intero…, prestare ascolto a me stessa e al mondo…, oggi la mia vita è un ininterrotto ascoltare…, sono tra le nude braccia della vita, davanti al petto nudo della vita…, possiamo soffrire ma non soccombere…”. Così scriveva Hetty Hillesum – spiega Cazzola -, lei che era lucidamente consapevole dell’orgia distruttiva che il nazismo stava scatenando: una “addolorata contentezza” che non è forse una strenua forma di resistenza spirituale?». Difficile trattenere l’emozione, e solo la composta sensibilità di Ferruccio De Bortoli riesce a riportare l’incontro sui binari del delicato fluire delle parole, dei racconti, dei ricordi. Ricordi come quelli di Rav Laras che a stento trattiene il tremito quando ricorda la leggenda dei Lamed Wav, i 36 Giusti su cui poggia l’equilibrio del mondo, «Giusti che spesso erano persone semplici, quasi insignificanti, e che pure seppero compiere dei gesti minimi di assoluta grandezza, e così andare contro la logica impazzita dell’epoca. Come quello di una cartomante che, a guerra finita, di fronte alla disperazione di un uomo che la sta implorando di dirle se la sua amata moglie tornerà e se si è salvata dai campi, non ha più cuore di imbrogliarlo e, rinunciando al suo magro guadagno, confessa la sua impotenza, le sue bugie e l’inganno delle sue false speranze. «La resistenza spirituale è qualcosa di tutti i giorni. E possiamo resistere a una sola condizione: quella di fare uno sforzo per sollevarci e vedere dall’alto ciò che ci succede», dice Laras. «Fu la nostra portinaia a venderci ai tedeschi, il 2 ottobre 1943. Per ogni ebreo denunciato si ricevevamo cinque mila lire, una cifra importante per l’epoca, e noi eravamo un’intera famiglia, quindi lei avrebbe rimediato parecchi soldi», ricorda accorato rav Laras. E che dire dei Responsa del rabbino del ghetto di Korno, le risposte ai quesiti morali dei fedeli? E’ giusto fuggire dal ghetto o dal campo nazista quando sai che la tua fuga comporterà l’uccisione del tuo compagno di baracca, per rappresaglia? E’ giusto salvarsi quando sai che la tua salvezza potrà portare alla morte degli altri? Laras racconta il responso sorprendente del Rabbi di Korno: sì, è giusto, dovrai scappare, fuggire lo stesso e salvare la tua vita, anche perché gli altri, anche se tu rinunci e resti, non sai se resteranno vivi e se, tu stesso con loro, non siete già condannati. Quindi se ne hai la possibilità scappa e non esitare.

Memoriale, un luogo simbolo di Milano
E’ la resistenza dei ghetti di Varsavia e di Vilna a essere invece al centro dell’intervento di Wlodek Goldkorn che rievoca con voce spezzata la figura di colui che considera un maestro, Marek Edelman, il vice comandante della resistenza del ghetto di Varsavia. «Un giorno, quando era già vecchio e uno dei pochi sopravvissuti, l’asciutto, razionale e trattenuto Marek mi confessò: “sai, c’era amore nel ghetto! C’erano eros, magia, sesso, innamoramenti, incontri clandestini… e fu questa energia a tenerci in vita. Eravamo disperati ma lo stesso si organizzavano prime teatrali, tornei di scacchi, concerti, giornali clandestini, e si leggeva tanto, avevamo fame di lettura e un libro valeva più di un tozzo di pane”. E’ grazie al giornale Oneg Shabbat e a Emanuel Ringelblum -che sotterrò quelle cronache-, che oggi sappiamo cosa sia stata la resistenza spirituale nei ghetti nazisti, luoghi dove si moriva di fame e di freddo», conclude Goldkorn.

Il Festival è oggi quindi anche un’occasione per puntare i riflettori sul Memoriale, luogo ancora poco conosciuto dai milanesi. «Quest’evento è una specie di vernissage di questo luogo simbolo della storia recente di Milano», ha dichiarato il Vice Presidente del Memoriale, Roberto Jarach. «Da oggi il Memoriale sarà aperto alle visite scolastiche. Grazie all’appoggio e all’impegno di sponsor privati e istituzioni siamo arrivati a questo grande risultato. Ma ci mancano da ultimare la biblioteca e il 20 per cento dei lavori. Abbiamo ancora bisogno di sponsor e di sostegno per finire l’opera e regalare alla città un luogo in cui la coscienza collettiva possa confrontarsi con la propria storia e anche con le zone oscure del proprio passato».