Testamento biologico. Dubbi e chiarimenti alla serata organizzata da Kesher

di Paolo Castellano
Che cos’è il testamento biologico? Quali sono le leggi italiane che lo regolamentano? E quali sono infine le interpretazioni rabbiniche sui temi legati al “fine vita”? Questi sono solo alcuni dei numerosi punti toccati durante l’incontro dell’associazione Kesher “Il testamento biologico”. Al dibattito, che si è svolto il 21 maggio presso il Noam, hanno preso parte il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, il giurista Emanuele Calò e il presidente dell’Associazione Medica Ebraica David Fargion. Ha introdotto e moderato Rav Roberto della Rocca.  

Sono molti i dubbi sulle disposizioni e sui documenti riguardanti i fiduciari che devono prendere decisioni al posto di una persona malata, priva di coscienza. Emanuele Calò ha infatti spiegato che in Italia esistono delle leggi sul “fine vita” ma che devono essere approfondite da chi è interessato al tema. Calò, nella sua dettagliata disamina, si è concentrato sul valore legale delle disposizioni di fine vita. Parlando delle Legge 76, il giurista ha affermato che vengono a formarsi due istituti: «Il primo concerne le disposizioni anticipate di trattamento – si può decidere di lasciarsi morire di sete e fame. Il secondo caso permette invece di designare un rappresentante che decida per noi in caso di incapacità». Il consenso informato è il cosiddetto DAT (disposizione trattamento anticipato).

Rav Riccardo di Segni si è invece concentrato sulla visione dell’ebraismo riguardante il testamento biologico. «Una persona decide quello che vuole del suo corpo. Una visione in contrasto col paternalismo medico. Una volta il parere del dottore era indiscutibile. Oggi invece abbiamo noi in qualche modo l’ultima parola», ha commentato Rav Di Segni. Il Rabbino capo di Roma ha poi esposto i suoi argomenti nel campo della terapia del dolore e sull’ammissibilità delle cure. «L’ebraismo non ammette il suicidio. Per l’ebreo la vita è sacra e ha il dovere di mantenere in salute il suo corpo. Tuttavia chi commette un suicidio spesso è una persona malata, con gravi problemi. Ogni caso è unico», ha specificato Rav Di Segni.

Anche David Fargion ha sottolineato l’unicità del paziente. «Ogni malattia va inquadrata in un contesto. Per il medico è una grande responsabilità e sofferenza assistere al dramma umano del malato e della sua famiglia. Tuttavia un dottore ha il compito di non accanirsi sul paziente, indicando il percorso più giusto da seguire in base all’esperienza professionale».

(Da sinistra David Fargion, Rav Riccardo Di Segni, Rav Roberto Della Rocca e Emanuele Calò)

 

@castelpao